LAV, HSI/Europe, ALI - Animal Law Italia, Essere Animali chiedono lo stop ad allevamento e commercio di pellicce in Unione Europea, con l’Iniziativa dei Cittadini Europei “Fur Free Europe” che, ad oggi, ha raggiunto +350mila firme

Humane Society International


Alessio Morabito

MILANO—Nella serata di ieri, 20 settembre, data di inaugurazione della Settimana della Moda a Milano, le associazioni LAV, Humane Society International/Europe, ALI – Animal Law Italia ed Essere Animali hanno proiettato sull’edificio al civico 31 di Piazza Duomo dove ha sede la Camera Nazionale della Moda Italiana, organizzatrice delle Fashion Week, un messaggio importante e urgente: “Act now for a Fur Free Europe”.

Un esplicito invito alla mobilitazione rivolto a tutti i cittadini europei per indurre la Commissione Europea ad avviare un’iniziativa legislativa finalizzata all’estensione in tutti gli Stati Membri del divieto di allevamento di animali allo scopo di ricavarne pellicce e, anche, all’introduzione in tutta l’Unione Europea di un divieto di commercio ed importazione di prodotti di pellicceria.

Dopo il recente ampio successo raggiunto con le Iniziative dei Cittadini Europei (ICE) “End the Cage Age” (per lo stop alle gabbie negli allevamenti, raggiungendo 1,4 milioni di firme validate) e “Salviamo i Cosmetici Cruelty Free” (per lo stop alla sperimentazione animale, raccogliendo 1,4 milioni di firme), le associazioni animaliste di tutta Europa, rappresentate in Italia da Essere Animali, Humane Society International/Europe, ALI – Animal Law Italia e LAV, hanno dato avvio, già lo scorso 18 maggio, all’ICE “Fur Free Europe” riscuotendo, ancora una volta, un ampio consenso: nei primi 4 mesi sono già state raggiunte oltre 350.000 firme. L’obiettivo è di superare la quota di 1 milione di firme necessaria per impegnare la Commissione UE a dare seguito all’Iniziativa dei Cittadini Europei.

L’Iniziativa dei Cittadini Europei è lo strumento previsto dal diritto comunitario per generare un processo decisionale più democratico, per questo le istanze che beneficiano di un ampio consenso (la procedura prevede almeno 1 milione di firme valide raccolte in dodici mesi e in almeno sette Stati Membri) devono essere prese in considerazione dalla Commissione Europea.

In Europa sono già 13 gli Stati che hanno formalmente messo al bando l’attività di allevamento di animali allo scopo di ricavarne pellicce (Austria, Belgio – dal 2023, Croazia, Estonia – dal 2026, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia); tra questi anche l’Italia con il divieto vigente dall’1 gennaio di quest’anno e grazie al quale verranno risparmiati ogni anno non meno di 60.000 visoni che, stando all’ultimo ciclo produttivo utile, ogni anno venivano appositamente allevati per poi essere uccisi. Altri Stati Membri hanno posto restrizioni: in Germania non esistono più allevamenti; in Spagna non è possibile avviarne di nuovi. In area europea, hanno vietato gli allevamenti di animali da pelliccia anche Regno Unito, Norvegia (dal 2025) Serbia, Macedonia del Nord, Bosnia (dal 2028) ed anche in Svizzera sono in vigore disposizioni locali particolarmente restrittive, che di fatto impediscono l’apertura di allevamenti.

Per coerenza, “Fur Free Europe” chiede anche il divieto di commercio e di import di prodotti di pelliccia; un divieto che, nel rispetto delle regole del commercio internazionale, è già vigente in California (dal 2019) e in Israele (dal 2021).

Il testo integrale dell’ICE “Fur Free Europe” è disponibile sul sito istituzionale della Commissione UE a questo link.

È possibile firmare anche dai siti delle singole organizzazioni:

Sebbene vigano tanti divieti nazionali, nell’Unione Europea ancora 18 milioni di animali (visoni, volpi, cani procioni, cincillà) vengono appositamente allevati ogni anno per poi essere uccisi al fine di ricavarne pellicce.

Sono ormai molte le principali case di moda globali che della scelta fur-free hanno fatto un valore aggiunto delle proprie politiche di sostenibilità. Tra le italiane: Elisabetta Franchi, Giorgio Armani, Gucci, Versace, Prada, Valentino, D&G, Zegna, e YNAP Group. Un trend che si riflette anche nei numeri: in Italia il giro d’affari del commercio di pellicce è calato da 1,8 miliardi di euro nel 2006 a 814 milioni di euro nel 2018 (fonte: Associazione Italiana Pellicceria).

“Si rende dunque necessario un intervento legislativo a livello europeo per armonizzare, in tutti gli Stati membri, il divieto di allevamento e per introdurre in tutta l’Unione Europea anche il divieto di commercio ed import di prodotti di pelliccia” – concludono le associazioni promotrici dell’ICE “Fur Free Europe” in Italia.

Foto e video (creare account per il download)

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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

Due terzi si oppongono anche alla caccia in scatola al leone e alla caccia di specie specifiche

Humane Society International


Two male lions named Netsai and Humba in Hwange National Park, Zimbabwe.
Dex Kotze

ROMA/CITTA’ DEL CAPO, Sudafrica—I cittadini sudafricani si sono espressi contro la crudele pratica della caccia al trofeo di animali selvatici. Un nuovo sondaggio Ipsos del 2022, commissionato dall’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International/Africa, rivela che il 68% della popolazione sudafricana si oppone alla caccia al trofeo, un incremento del 12% rispetto al 2018. La maggioranza si oppone alla pratica della cosiddetta caccia al leone in scatola (canned hunting). Inoltre, il sondaggio dimostra l’opposizione dell’opinione pubblica alla caccia al trofeo di specie specifiche, tra cui rinoceronti neri, elefanti e leopardi. All’inizio di quest’anno, il governo sudafricano ha reso note le quote di caccia e di esportazione di queste specie per il 2022.

Il Sudafrica è il maggior esportatore africano di trofei di animali selvatici e il secondo esportatore mondiale (dopo il Canada) di specie di mammiferi elencate nella Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES).

Matthew Schurch, specialista della fauna selvatica per HSI/Africa, dichiara: “Questo nuovo sondaggio dimostra senza ombra di dubbio che la maggior parte dei sudafricani rifiuta l’ingiustificabile pratica della caccia al trofeo, compresa la caccia al leone in scatola, e l’opposizione alla caccia al trofeo continua a crescere. Il governo sudafricano non è al passo con l’opinione pubblica, perché permette alle persone di cacciare animali selvatici allo scopo di raccogliere i loro resti per “abbellire” le proprie case. La caccia al trofeo non contribuisce in modo significativo alla conservazione. In Sudafrica, un terzo dei trofei di caccia di mammiferi elencati nella CITES proviene da animali allevati in cattività e la maggior parte di essi è costituita da specie non autoctone o non soggette a una gestione scientifica della popolazione. Questa uccisione insensata di animali selvatici non solo è immorale e crudele, ma è anche una vergogna per il Sudafrica”.

Questa importante indagine Ipsos riporta solo dati locali provenienti da una popolazione sudafricana diversificata in tutte le province. I principali risultati del sondaggio mostrano che:

  • Il 68% dei sudafricani si oppone completamente o in qualche misura alla pratica della caccia al trofeo, con un aumento rispetto al 56% dell’analogo sondaggio effettuato nel 2018;
  • Il 65% dei sudafricani si oppone completamente o in qualche misura alla pratica della caccia al leone in scatola, con un aumento rispetto al 60% dell’analogo sondaggio del 2018.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe afferma: “La posizione dei cittadini sudafricani, emersa da questi nuovi sondaggi, evidenzia l’importanza di azioni concrete contro la caccia al trofeo, sia da parte dei paesi esportatori sia da quelli importatori come il nostro. Il Sudafrica è infatti il quarto paese di origine di tutti i trofei di caccia importati in Italia, nonostante i sondaggi mostrano che l’89% degli italiani sia contrario alla caccia al trofeo di animali selvatici presenti in Africa. Sebbene l’Italia non possa vietare l’uccisione di questi animali nei paesi in cui è diffusa, può decidere di vietare l’importazione dei trofei per fermare il proprio coinvolgimento in questa pratica macabra e dannosa.”

Secondo il rapporto “I numeri della caccia al trofeo: Il ruolo dell’Unione europea nella caccia al trofeo a livello mondiale” pubblicato da HSI/Europe, l’Italia ha importato 322 trofei di caccia di 22 specie protette a livello internazionale tra il 2014 e il 2018, risultando il primo importatore di trofei di ippopotamo (145) nell’UE e il quarto importatore di trofei di leone africano di origine selvatica. L’Italia ha anche svolto un ruolo significativo nel commercio UE di trofei di elefante africano, essendo il quinto più grande importatore UE di questa specie.

HSI è incoraggiato da una sentenza dell’aprile 2022 emessa da un tribunale sudafricano in una causa intentata da HSI/Africa, in cui si afferma che le quote di caccia e di esportazione per leopardi, rinoceronti neri ed elefanti previste dal paese per il 2022 potrebbero essere invalide e illegali.

Un precedente studio che illustra il ruolo del Sudafrica nel commercio internazionale di trofei di caccia di specie di mammiferi elencate dalla CITES nel periodo 2014-2018 ha dimostrato che circa l’83% dei trofei di mammiferi elencati dalla CITES esportati dal Sudafrica sono animali allevati in cattività, specie non autoctone o specie autoctone senza un piano nazionale di gestione della conservazione né dati adeguati sulle loro popolazioni selvatiche o sull’impatto, su queste ultime, della caccia al trofeo. Questi dati minano direttamente l’affermazione che la caccia al trofeo promuova la conservazione.

Alcuni numeri della caccia al trofeo in Sudafrica:

  • Il Sudafrica è il secondo più grande esportatore di trofei di caccia di specie di mammiferi elencate dalla CITES a livello globale, esportando il 16% del totale globale di trofei di caccia – 4.204 in media all’anno;
  • Il Sudafrica è il più grande esportatore di specie di mammiferi elencate dalla CITES in Africa. Il Sudafrica ha esportato il 50% in più di trofei rispetto al secondo esportatore africano, la Namibia, e più di tre volte rispetto al terzo esportatore africano, lo Zimbabwe;
  • Il 68% dei trofei di mammiferi CITES esportati dal Sudafrica proveniva da animali selvatici, mentre il 32% da animali in cattività, il 19% allevati in cattività e il 13% nati in cattività.

Scarica il rapporto del sondaggio Ipsos

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Contatti: Eva-Maria Heinen, communications and press manager Italy: emheinen.hsi@gmail.com

 

Sei punti per un Paese più giusto per gli animali

Humane Society International


HSI

ROMA—Contrasto al randagismo, tutela della fauna selvatica, stop all’uso degli animali nei circhi e negli spettacoli, protezione degli animali allevati a fini alimentari, superamento della sperimentazione animale e tutela degli animali nel nostro sistema giuridico e istituzionale-amministrativo. Questi i sei principali macro-temi attorno ai quali si concentrano le proposte delle associazioni animaliste firmatarie del manifesto “Anche gli animali votano“, un programma per le elezioni politiche 2022 indirizzato a partiti, candidati Premier e candidati al Parlamento che si fonda sul principio della protezione e della tutela degli animali. Le associazioni animaliste nazionali e internazionali Animal Equality Italia, Animalisti Italiani, Animal Law Italia, CIWF Italia, ENPA, Essere Animali, Humane Society International/Europe, LAC, LAV, LEIDAA, LNDC Animal Protection, OIPA e Save the Dogs and Other Animals, ciascuna nel rispetto della diversità dei propri fini statutari*, chiedono ai protagonisti delle prossime elezioni del 25 settembre 2022 l’impegno   alla concreta attuazione del Principio fondamentale costituzionale della tutela degli animali, della biodiversità, dell’ambiente e degli ecosistemi entrato in vigore il 9 marzo scorso, mediante la realizzazione di una serie di punti programmatici per la prossima Legislatura.

“Le gravi crisi climatica, pandemica ed economica – affermano le Associazioni – derivano anche dallo sfruttamento e maltrattamento degli animali. Inoltre, gli incendi, il caldo e la siccità senza precedenti hanno avuto gravissime conseguenze sulla fauna selvatica e sugli habitat. Gli effetti sono davanti agli occhi di chiunque voglia vedere. Oggi più che mai sono necessari atti importanti da parte del Parlamento e del Governo sia in sede nazionale che europea e internazionale. La necessità del rispetto per gli animali assume ormai da tempo un ruolo centrale per gran parte dell’opinione pubblica, come testimoniano tutti i sondaggi. Pertanto, i temi della campagna elettorale, come sicurezza, lavoro, immigrazione, salute, spesa pubblica, scuola, ricerca, famiglia, legalità, devono avere una declinazione anche nella tutela degli animali”.

Tra le richieste afferenti ai sei macro-temi:

  • Introduzione di sanzioni più efficaci nel Codice penale per il contrasto ai maltrattamenti e agli altri reati, realizzazione e sostegno di strutture di accoglienza degli animali salvati e l’istituzione di un Garante nazionale dei diritti degli animali.
  • Piena applicazione e rafforzamento della normativa sulla prevenzione del randagismo e incentivazione della sterilizzazione di cani e gatti anche di proprietà, e riduzione dell’aliquota IVA su cibo per animali e prestazioni veterinarie.
  • Tutela degli animali selvatici attraverso il pieno esercizio da parte dello Stato dei poteri in materia di tutela della fauna selvatica, l’abolizione delle importazioni di trofei di caccia e l’incremento delle aree protette.
  • Attuazione della Legge-delega approvata dal Parlamento nel luglio scorso per il superamento dell’uso degli animali in circhi e spettacoli viaggianti estendendolo ai delfinari, e stop all’uso degli animali nelle feste locali, palii, carrozzelle;
  • Il sostegno al divieto europeo dell’utilizzo delle gabbie nell’allevamento, attuazione dello stop previsto dalla Legge di delegazione europea alla triturazione dei pulcini e la promozione delle scelte alimentari vegetali;
  • Superamento della sperimentazione animale, investendo nella prevenzione delle malattie e nella ricerca scientifica “human based” con la destinazione del 50% dei fondi pubblici.

*Le richieste contenute in questo manifesto sono state elaborate da associazioni indipendenti e in alcuni casi, tra di esse, vi sono divergenze nei contenuti e nei propri fini statutari. Racchiudono un punto di incontro comune alle organizzazioni aderenti e si riferiscono all’attività svolta sul territorio nazionale, senza esprimere necessariamente la posizione delle organizzazioni sul piano internazionale.

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Contatto:  Martina Pluda, direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

L’organizzazione internazionale per la protezione degli animali e l’associazione mondiale delle compagnie aeree pubblicano raccomandazioni per portare in salvo cani e gatti in tempi di crisi

Humane Society International


UAnimals

BRUXELLES—L’organizzazione internazionale per la protezione degli animali Humane Society International (HSI) e l’International Air Transport Association (IATA) rilasciano un elenco di raccomandazioni per i governi e il settore del trasporto aereo con l’obbiettivo di facilitare, in tempi di crisi, il trasporto sicuro di animali d’affezione, come cani e gatti, che evacuano o si rifugiano in paesi terzi con i loro proprietari.

 

Le raccomandazioni si basano sulle Live Animal Regulations della IATA che rappresentano lo standard globale per il trasporto aereo di animali in modo sicuro e compassionevole.

L’elenco delle raccomandazioni comprende:

  • L’introduzione di flessibilità sulla documentazione richiesta – si raccomanda ai governi di allentare i requisiti documentali veterinari per il trasporto di cani, gatti e altri animali da compagnia.
  • La valutazione delle strutture di accoglienza a terra – si raccomanda agli aeroporti di identificare ulteriori spazi in conformità ai requisiti di sicurezza per la custodia di animali vivi.
  • La fornitura di informazioni – si raccomanda alle parti interessate di aggiornare i propri materiali di comunicazione per fornire informazioni chiare e coerenti ai proprietari di animali da compagnia su tutti i canali di assistenza ai clienti, compresi i call center, le comunicazioni via e-mail e chat e sui profili social media.
  • La collaborazione con le compagnie specializzate nel trasporto di animali e con i produttori di gabbie da trasporto – si raccomanda agli aeroporti di cercare l’aiuto di queste realtà per rendere disponibili ulteriori contenitori per il trasporto di animali vivi (in cabina e stiva) nei principali punti di partenza.

Katherine Polak, vicepresidente del dipartimento per gli animali da compagnia di Humane Society International e membro della “Companion Animal Temporary Task Force” della IATA, ha dichiarato: “In tempi di crisi, l’importanza di tenere insieme animali domestici e persone non può essere sottovalutata. Il legame speciale che abbiamo con i nostri amati compagni animali è molto importante e durante conflitti e crisi essi forniscono conforto e un senso di stabilità a chi attraversa grandi difficoltà. Le attività di soccorso agli animali domestici dei rifugiati ucraini svolta da HSI, ci ha mostrato cosa siano disposte a fare le persone per portare in salvo i propri animali. Per questo motivo siamo incredibilmente orgogliosi di collaborare con la IATA per garantire che i rifugiati possano portare con sé i loro amati amici a quattro zampe, in modo che, a prescindere dal conflitto o dalla crisi e in qualsiasi parte del mondo, animali e persone possano restare uniti”.

Brendan Sullivan, responsabile mondiale del settore cargo della IATA, ha dichiarato: “Il settore dell’aviazione è un primo soccorritore fondamentale nelle situazioni di crisi. La risposta umanitaria all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non è stata diversa. L’aviazione ha aiutato le persone a mettersi in salvo e a consegnare gli aiuti umanitari, e le compagnie aeree che hanno operato in prima linea nella crisi hanno riconosciuto l’importanza di aiutare le famiglie a rimanere unite ai loro animali domestici. Le compagnie aeree in prima linea nella crisi, come KLM, LOT Polish Airlines e Bulgaria Air, sono state leader nell’introdurre misure per aiutare le persone in fuga a portare con sé i propri animali d’affezione. Anche la Commissione europea ha affrontato la questione consigliando a tutti gli Stati Membri dell’UE di alleggerire i requisiti veterinari per cani, gatti e altri animali da compagnia al seguito dei rifugiati. Grazie al lavoro con HSI abbiamo imparato da questa esperienza e il settore sarà ancora più preparato per crisi future”.

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Contatto:

 

La coalizione End The Cage Age: “L’Italia sostenga senza indugi l’impegno della Commissione UE di mettere fine all'era delle gabbie”

Humane Society International


End of the Cage Age/CIWF

ROMA—Una nuova video-inchiesta sotto copertura, condotta da Compassion in World Farming e pubblicata oggi dalla coalizione italiana End the Cage Age, rivela ancora una volta le terribili sofferenze a cui sono sottoposte le scrofe allevate in gabbia. “È fondamentale che l’UE vieti le gabbie, come promesso dalla Commissione europea lo scorso giugno. L’Italia deve sostenere il divieto, senza se e senza ma”. Le immagini raccolte mostrano la realtà della vita in gabbia per le scrofe in due allevamenti italiani e fa parte di una più ampia inchiesta che ha coinvolto in tutto 16 allevamenti in diversi Paesi europei (Francia, Spagna e Polonia, oltre all’Italia), inclusi alcuni che riforniscono marchi considerati “d’eccellenza”, come, nel caso italiano, il prosciutto di Parma e in Francia, il prosciutto di Bayonne.

La video-inchiesta rivela che le scrofe sono costrette a:

  • passare circa metà della loro vita in gabbie così piccole da impedire qualsiasi tipo di movimento al di fuori di mettersi in piedi e sdraiarsi;
  • giacere sulle proprie deiezioni e urina, cosa che va contro la loro natura;
  • sopportare la sofferenza di non essere in grado di prendersi cura dei loro piccoli per via della restrizione imposta dalle gabbie;
  • avere comportamenti anomali come mordere le sbarre e masticare a vuoto per via della frustrazione.

Secondo le stime, queste condizioni rappresentano una terribile realtà per l’85% delle scrofe nell’Unione Europea, e in Italia addirittura per il 94%.

Per la coalizione italiana End The Cage Age, questa è l’ennesima prova dell’urgenza di una norma europea che metta fine all’orrore degli allevamenti in gabbia, causa di atroci sofferenze ogni anno per milioni di animali nei confini dell’UE. La coalizione si rivolge al Governo italiano, perché prenda posizione contro l’uso delle gabbie negli allevamenti e sostenga l’impegno della Commissione Europea.

Lo scorso 30 giugno 2021, infatti, la Commissione europea si è impegnata a eliminare gradualmente, fino a vietare del tutto, l’uso delle gabbie negli allevamenti europei tramite una normativa dedicata – un risultato straordinario dovuto ai 1,4 milioni di persone che hanno firmato l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) End the Cage Age. Ma, una volta presentata, la proposta legislativa dovrà essere valutata e approvata anche dal Consiglio dell’Unione Europea, composto dai ministri degli Stati Membri. Per questo fondamentale che l’Italia sostenga senza riserva questa transizione.

Una transizione che oltre che doverosa, è anche fattibile – come dimostrano due studi presentati a fine maggio da LAV e CIWF Italia, quest’ultimo proprio incentrato sulla transizione a sistemi di allevamento senza gabbie per le scrofe.

“Questa nuova video-inchiesta mette in luce la realtà della vita in gabbia per centinaia di migliaia di scrofe italiane: sono costrette a una vita di inimmaginabile miseria in gabbie minuscole. Non possono muoversi, nutrire adeguatamente i propri piccoli o esprimere comportamenti naturali, e sono così frustrate che ricorrono a comportamenti anomali come il mordere le sbarre,” – commentano le associazioni.

“È sconvolgente – continuano – che queste condizioni non solo siano tipiche degli allevamenti di suini che riforniscono produttori standard ma anche di quelli che riforniscono marchi considerati ‘d’eccellenza’ come il Prosciutto di Parma. In Italia, stimiamo che il 94% delle scrofe potrebbe vivere in sistemi simili.”

“Non possiamo pensare che questi animali debbano aspettare ancora: è ora che l’UE ponga fine per legge all’era delle gabbie,” – afferma la coalizione. “Chiediamo all’Italia di sostenere in sede europea il divieto delle gabbie, senza se e senza ma.”

Fotografie e video dell’inchiesta liberamente utilizzabili con il credit: End The Cage/CIWF.

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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

 

“USA e UE hanno l'obbligo morale di smettere di contribuire a questa industria e di istituire politiche che sostengano forme etiche di turismo e aiuti esteri”

Humane Society International


HSI

BRUXELLES—In un documento che delinea la posizione comune di 137 organizzazioni per la conservazione e la protezione degli animali di tutto il mondo, tra cui 45 organizzazioni non governative provenienti da Paesi africani, le stesse si esprimono contro la caccia ai trofei e esortano i decisori politici a vietarne le importazioni.

Mona Schweizer di Pro Wildlife, afferma: “La caccia al trofeo è una delle peggiori forme di sfruttamento della fauna selvatica e non è né etica, né sostenibile. Di fronte alla crisi globale della biodiversità causata dall’uomo, è inaccettabile che lo sfruttamento della fauna selvatica al solo scopo di ottenere un trofeo di caccia sia ancora consentito e che i trofei possano essere importati legalmente. È ora che i governi pongano fine a questa pratica dannosa”.

Tra il 2014 e il 2018 sono stati importati, a livello globale, quasi 125.000 trofei di specie protette dalla CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione), con gli Stati Uniti e l’Unione Europea quali maggiori importatori.

La caccia al trofeo influisce negativamente sulla sopravvivenza delle specie e mina gli sforzi fatti per la loro conservazione. I cacciatori di trofei spesso prendono di mira specie rare e minacciate o specifici animali che presentano particolari caratteristiche fisiche, eliminando individui spesso essenziali per la riproduzione e la stabilità dei gruppi sociali. Prendendo di mira questi animali, i cacciatori di trofei, direttamente e indirettamente, contribuiscono al declino delle popolazioni, all’alterazione della struttura sociale e alla riduzione della resilienza di moltissime specie. L’industria della caccia al trofeo spinge la domanda di parti e prodotti di specie a rischio e incentiva e privilegia la loro uccisione attraverso sistemi a premi e altri metodi promozionali.

Inoltre, l’abbattimento di animali di specie protette e in via di estinzione è spesso un privilegio dei cacciatori stranieri, mentre l’accesso alla fauna selvatica e al territorio è spesso limitato per le popolazioni locali. L’esclusione delle comunità locali e gli effetti sociali destabilizzanti della caccia al trofeo su molte specie possono alimentare il conflitto uomo-animale, anziché mitigarlo. Queste situazioni sono ulteriormente aggravate dal fatto che l’industria della caccia al trofeo non riesce a fornire benefici economici significativi alle comunità locali, contrariamente a quanto sostenuto dalle lobby che fanno pressione a favore di queste pratiche di caccia. Infatti, poiché la maggior parte delle cacce viene condotta su terreni privati e il settore venatorio è afflitto dalla corruzione, i proventi della caccia al trofeo finiscono solitamente nelle tasche degli operatori venatori, dei proprietari terrieri e delle élite locali.

Mark Jones, head of policy di Born Free, ha commentato: “Noi di Born Free ci battiamo da tempo per la fine della caccia al trofeo per motivi morali ed etici. In questo periodo di crisi per la fauna selvatica e la biodiversità, non è giusto che i cacciatori europei possano pagare per uccidere animali selvatici minacciati, sia all’interno dell’UE che all’estero, e spedire i trofei a casa loro. La caccia al trofeo causa immensa sofferenza agli animali, mentre fa poco o nulla per la conservazione della fauna selvatica o per le comunità locali. In molti casi, infatti, i cacciatori di trofei sottraggono singoli animali chiave a popolazioni fragili, danneggiandone l’integrità sociale e genetica. È tempo che i responsabili politici dell’Unione Europea ascoltino la stragrande maggioranza dei loro cittadini e pongano definitivamente fine alla caccia al trofeo all’interno dell’UE e all’importazione di trofei, cercando modi alternativi e più efficaci per finanziare la protezione della fauna selvatica e lo sviluppo delle comunità locali”.

La caccia al trofeo non solo ostacola gli sforzi di conservazione e genera benefici economici minimi, ma solleva anche problemi etici e di benessere degli animali. Sparare agli animali per divertimento, semplicemente per ottenere un trofeo come status symbol, è eticamente ingiustificabile, non tiene conto del loro valore intrinseco riducendoli a merci e dà un prezzo alla morte, prezzo che riflette la somma che i cacciatori stranieri sono disposti a pagare per l’uccisione. Inoltre, i cacciatori di trofei spesso impiegano e incentivano metodi di caccia che aumentano la sofferenza dell’animale, come l’uso di archi e frecce, armi ad avancarica, pistole o cani che inseguono gli animali per ore, fino allo sfinimento.

Joanna Swabe, direttrice delle relazioni istituzionali di Humane Society International/Europe, ha dichiarato: “Il beneficio economico – che nell’industria della caccia al trofeo, nel migliore dei casi, è minimo – non è una scusa per permettere l’uccisione di animali per divertimento o per compensare i danni biologici ed ecologici, spesso irreversibili, che provoca alle specie protette, quando ci sono flussi di reddito alternativi e più lucrativi disponibili per lo sviluppo e la conservazione. In qualità di maggiori importatori di trofei di caccia al mondo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno l’obbligo morale di smettere di contribuire a questa industria dannosa attraverso l’importazione di trofei di caccia e di istituire politiche che sostengano forme etiche di turismo e aiuti esteri. “

In molti paesi del mondo, i cittadini si oppongono alla caccia al trofeo e all’importazione di trofei di caccia. Sondaggi condotti nell’UE, in Svizzera e negli Stati Uniti confermano che tra il 75% e il 96% degli intervistati si oppone alla caccia al trofeo e sostiene un divieto di importazione di trofei. In Sudafrica, il principale esportatore africano di trofei di caccia di specie protette, il 64% degli intervistati disapprova della caccia al trofeo.

Reineke Hameleers, CEO di Eurogroup for Animals, ha concluso: “Poiché la pratica immorale della caccia al trofeo danneggia la conservazione delle specie e l’economia da decenni, è necessario un cambio di policy. Insieme, con la voce unita di 137 ONG di tutto il mondo, chiediamo ai governi di assumersi la responsabilità, proteggendo realmente le specie e la biodiversità e vietando l’importazione di trofei di caccia”.

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Contatti:

Essere Animali, Humane Society International/Europe, LAV, LEIDAA: “Il Ministro Patuanelli rispetti la legge”

Humane Society International


HSI

ROMA—Dal 1° gennaio di quest’anno, come stabilito dalla Legge di bilancio 2022 (L. 234 del 30 dicembre 2021, art. 1, commi 980-984), in Italia è vietato allevare animali da pelliccia: è una vittoria storica per la quale le associazioni si battono da sempre. Resta il problema dei circa 5.700 visoni riproduttori ancora detenuti, in deroga e ormai oltre la scadenza del 30 giugno stabilita per legge, negli stabilimenti destinati alla chiusura: per legge, entro il 31 gennaio il Ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli (di concerto con i Ministri della Salute Roberto Speranza e della Transizione ecologica Roberto Cingolani) avrebbe dovuto disciplinare non solo i criteri e le modalità di indennizzo per gli allevatori, ma anche l’eventuale cessione degli animali ancora rinchiusi negli stabilimenti e il loro trasferimento, a determinate condizioni, in strutture gestite direttamente da associazioni animaliste o in collaborazione con le stesse.

Nonostante la costante pressione delle organizzazioni Essere Animali, Humane Society International/Europe, LAV, LEIDAA e le recenti assicurazioni del Sottosegretario alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio in Parlamento, del decreto attuativo, con le previsioni su indennizzi e cessione, al momento non si hanno notizie.

La legge di bilancio consente agli allevatori di detenere gli ultimi visoni rimasti nelle strutture “per il periodo necessario alla dismissione delle stesse e comunque non oltre il 30 giugno 2022”. A cinque mesi dalla scadenza per la pubblicazione del decreto, e con il termine per la dismissione ormai scaduto, il Ministro non ha rispettato la legge, lasciando migliaia di animali a languire nelle gabbie. Il risultato è paradossale: l’allevamento è vietato, ma 5.700 animali soffrono ancora negli stabilimenti, mentre alcuni, quantomeno, avrebbero già potuto essere trasferiti in strutture specializzate nella detenzione di animali selvatici, nel rispetto, allo stesso tempo, delle loro esigenze etologiche e dei ragionevoli criteri di igiene e biosicurezza.

In questi mesi Essere Animali, Humane Society International/Europe, LAV, LEIDAA  hanno fatto il possibile per richiamare i ministri alle loro responsabilità: hanno chiesto l’istituzione di una consulta tra tutte le parti interessate alla attuazione della normativa, hanno dato disponibilità all’accoglimento di alcuni animali in base a precisi protocolli, hanno fatto presentare Interrogazioni parlamentari, hanno incontrato il 6 maggio il Ministro Stefano Patuanelli e, da ultimo, hanno fornito una proposta di requisiti minimi strutturali e gestionali per la detenzione dei visoni in strutture diverse da quelle con finalità commerciali.

“Spiace constatare che, dopo uno straordinario risultato come il divieto di allevare animali per ricavarne pellicce, ottenuto con anni di campagne delle associazioni e dei cittadini italiani e grazie all’impegno dello stesso governo Draghi (che fece proprio inserendolo nel maxiemendamento approvato il 24 dicembre al Senato, proposto dall’On. Michela Vittoria Brambilla e presentato dalla Sen. Loredana De Petris), il Ministro Stefano Patuanelli non abbia portato a termine il lavoro entro la scadenza prevista, lasciando gli animali a soffrire nelle gabbie” – affermano le organizzazioni.

Il divieto di allevamento di animali destinati alla produzione di pellicce è un traguardo storico, che eviterà, stando ai dati dell’ultimo ciclo produttivo negli allevamenti italiani (2019), lo sfruttamento di 60.000 visoni l’anno. I visoni rimasti sono 5.736 (dato aggiornato a maggio) e sono stabulati tra Lombardia, Emilia-Romagna, Abruzzo. Si tratta di animali riproduttori, ossia quelli che nel 2021 avrebbero dovuto avviare un nuovo ciclo produttivo che però era stato fermato dalle misure anti-Covid del ministero della Salute, poiché il concentramento di migliaia di visoni in allevamenti intensivi costituisce notoriamente un potenziale serbatoio per la diffusione del virus SARS-CoV-2 e, soprattutto, di sue nuove varianti. Tra il 2020 e il 2021 sono stati accertati due focolai in allevamenti italiani di visoni.

Negli anni 2021 e 2022, il divieto di riproduzione dei visoni disposto prima con Ordinanza del Ministro della Salute e poi diventato divieto permanente di allevamento per legge, ha già evitato la nascita e l’uccisione di non meno di 120.000 animali.

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Contatto: direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

Richiesto alle autorità di Yulin di vietare il festival della carne di cane per tutelare gli animali, il loro benessere e la salute pubblica

Humane Society International


Vshine

YULIN—Ad un mese dal solstizio d’estate, il periodo in cui si consuma la carne di cane, alcuni attivisti cinesi sono intervenuti per salvare la vita dell’ultimo cane trovato vivo in un negozio di carne di cane a Yulin, nella provincia di Guangxi. Il cane, chiamato Lucky dai suoi soccorritori, è stato trovato incatenato fuori dal negozio, vicino ad un cartello che indicava che fosse in vendita per la sua carne. L’Akita era l’ultimo cane della giornata a dover essere macellato prima che gli attivisti convincessero il proprietario del negozio a cederlo. Dai suoi comportamenti era evidente che un tempo era stato un cane da compagnia e che quindi, molto probabilmente, era stato rubato.

In considerazione delle misure anti COVID-19 cinesi, gli animalisti cinesi stanno sollecitando le autorità di Yulin a vietare il raduno annuale di giugno, in occasione del cosiddetto “Festival del litchi e della carne di cane”, in cui aumenta la macellazione di cani e gatti per il consumo umano. Lanciato nel 2010 dai commercianti di carne di cane per incrementare le vendite di un settore in calo, l’evento inizia il 21 giugno e attira migliaia di visitatori da tutta la provincia meridionale, che si riuniscono per mangiare stufato di cane e carne di cane croccante nei ristoranti e nelle bancarelle della città. Gli attivisti si appellano alle autorità locali affinché impediscano lo svolgimento di questo raduno per tutelare gli animali, il loro benessere e la salute pubblica.

Liang Jia, un attivista del Guangxi, ha dichiarato: “Le strade di Yulin sono relativamente tranquille in questo momento e, anche se si possono vedere alcuni negozi di carne di cane come al solito, non è nulla rispetto a come sarà a metà giugno. Mentre altrove in Cina le città sono in isolamento a causa del COVID-19, non ha senso che i commercianti di carne di cane di Yulin possano incoraggiare i visitatori a viaggiare attraverso la provincia e la città. Oltre alla spaventosa crudeltà che verrà inflitta a migliaia di cani e gatti uccisi a bastonate, si tratta di un evidente rischio per la salute pubblica. Le autorità di Yulin dovrebbero prendere sul serio la questione perché sarebbe estremamente imbarazzante se il festival della carne di cane di Yulin fosse responsabile per un contagio di massa”.

La maggior parte delle persone in Cina non mangia cani e anche a Yulin i sondaggi dimostrano che la maggior parte dei cittadini (il 72%) non li mangia regolarmente, nonostante gli sforzi dei commercianti di carne di cane per promuoverne il consumo. In tutto il Paese si registra una significativa opposizione al commercio di carne di cane, mentre cresce la sensibilità per il benessere degli animali. Nel 2020, il Ministero dell’Agricoltura e degli Affari Rurali cinese ha rilasciato una dichiarazione ufficiale secondo cui i cani sono animali da compagnia e non “bestiame” per il consumo. Nello stesso anno, due grandi città della Cina continentale – Shenzhen e Zhuhai – hanno vietato il consumo di carne di cane e gatto, una decisione che, secondo i sondaggi, è stata sostenuta da quasi il 75% della popolazione cinese.

Il Dottor Peter Li, specialista in politica cinese di Humane Society International, sostenitore dei salvataggi di cani dal commercio di carne in Cina, ha dichiarato: “Lucky si è salvato per un pelo perché nel negozio era rimasta in vendita solo una carcassa facendo di lui il prossimo. Ma Lucky è solo uno tra milioni di cani che soffrono per mano dei commercianti di cani in tutta la Cina, e uno di migliaia che finiscono a Yulin per l’evento del solstizio d’estate. I suoi soccorritori dicono che era molto amichevole, abituato a camminare al guinzaglio e che è salito volentieri nell’auto degli attivisti; sembra chiaro che una volta era l’animale domestico di qualcuno, e in effetti molti dei cani uccisi per la carne sono animali rubati dai cortili, fuori dai negozi e persino dalle auto. Oltre alla brutalità di queste attività, le precauzioni per frenare la diffusione del COVID-19 aggiungono un’altra convincente ragione per mettere fine ai raduni in cui viene commerciata la carne di cane.”

Foto e video

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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

UAnimals: “Cibo e parafarmaci saranno distribuiti a molti rifugi e proprietari di animali, in particolare nell'est del Paese”

Humane Society International


HSI

TRIESTE, Italia—È partito questa mattina da Trieste il camion carico di aiuti, forniti dall’organizzazione internazionale per la protezione degli animali Humane Society International (HSI), in favore degli animali da compagnia in Ucraina: 23 tonnellate di alimenti, trasportini, accessori, parafarmaci e altri articoli per cani e gatti, per un valore complessivo di 100mila euro. Il mezzo verrà accolto a Leopoli dall’organizzazione per la protezione degli animali UAnimals. Dallo scoppio della guerra, UAnimals sta lavorando per soccorrere gli animali colpiti in Ucraina e ridistribuirà le forniture in tutto il Paese per sostenere gli animali bisognosi e chi si occupa di loro.

Il trasporto da Trieste a Leopoli è stato organizzato dal team italiano di HSI in coordinamento con Alfa Spedizioni Srl, una società che effettua operazioni doganali nell’ambito delle spedizioni internazionali, che ha offerto i propri servizi di brokeraggio gratuitamente.

Martina Pluda, direttrice per l’Italia di HSI/Europe, ha dichiarato: “In questi mesi e settimane in Ucraina migliaia di famiglie con animali domestici, centinaia di rifugi per animali, cliniche veterinarie e centri di soccorso hanno trovato crescenti difficoltà nel reperire cibo e fornire assistenza agli animali. Siamo lieti di poter fornire questi aiuti indispensabili per sostentare centinaia di cani e gatti in Ucraina. Grazie a Alfa Spedizioni e al loro staff ucraino, ci è possibile rafforzare il nostro sostengo a UAnimals e al loro intervento nel Paese. Da questa guerra è certamente emerso quanto sia profondo il rapporto tra le persone e gli animali, a tal punto che molti rischiano la propria vita per non lasciarli indietro. Ci auguriamo che questo carico di aiuti porti speranza e conforto a chi si prende cura degli animali afflitti della guerra”.

Olga Chevganiuk, co-fondatrice di UAnimals, afferma: “UAnimals è estremamente grata per il costante sostegno di Humane Society International che, dall’inizio della guerra e tra le altre cose, ci ha permesso di consegnare forniture per animali nelle aree più pericolose dell’Ucraina. Oggi 23 tonnellate di aiuti sono dirette a Lviv. Cibo e parafarmaci saranno distribuiti a molti rifugi e proprietari di animali, in particolare nell’est del Paese: Donetsk, Luhansk, Kharkiv e Zaporizhzhia. Grazie HSI per essere al fianco di ogni vita!”.

Fin dall’inizio della guerra, Humane Society International ha attivato interventi volti ad aiutare le persone ed i loro animali domestici vittime della guerra. In Italia, Germania, Romania e Polonia, HSI sta aiutando le famiglie che arrivano con i propri animali domestici, collaborando con organizzazioni locali per fornire cibo, primo soccorso e supporto, anche di natura burocratica. Inoltre, con il programma “Vets for Ukrainian Pets”, HSI offre assistenza veterinaria gratuita in 38 paesi europei agli animali da compagnia in fuga dall’Ucraina con le loro famiglie. Infine, negli ultimi giorni, HSI ha lanciato un appello alle compagnie aeree e di trasporto su strada per l’attivazione di viaggi pet friendly per i rifugiati dall’Ucraina, permettendo il passaggio gratuito per gli animali e allentando policy particolarmente restrittive. In Ucraina, HSI lavora con UAnimals, fornendo all’organizzazione i fondi necessari per permettere ai centri di soccorso, alle cliniche veterinarie e persino agli zoo di prendersi cura degli animali in Ucraina.

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Diffusa dalla coalizione End the Cage Age per chiedere al Governo italiano di introdurre rapidamente un divieto di allevamento in gabbia nazionale e appoggiare l’impegno della Commissione UE

Humane Society International


HSI

ROMA—La coalizione italiana a sostegno di End the Cage Age, l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) che chiede la fine dell’uso di ogni tipo di gabbia per gli animali allevati a scopo alimentare, diffonde oggi una nuova investigazione realizzata in sette allevamenti italiani di conigli. Le immagini raccolte rivelano numerose e gravi problematiche di benessere animale, richiamando l’attenzione pubblica e politica sulla necessità di agire per vietare le gabbie.

Le immagini sono state filmate, tra il settembre 2021 e l’aprile 2022, dagli investigatori dell’associazione Essere Animali, in allevamenti situati in Veneto (la regione italiana che detiene oltre il 40% della produzione nazionale di conigli), Lombardia ed Emilia-Romagna, allo scopo di mostrare un quadro completo della modalità di allevamento, in Italia, dei conigli utilizzati per la produzione di carne.

Gli animali sono allevati all’interno di capannoni, rinchiusi in gabbie disposte in serie una a fianco all’altra, al cui interno vi sono 2 o 3 conigli adulti o 6-7 giovani conigli. Le gabbie sono interamente di rete metallica, anche nella pavimentazione, e prive di arricchimenti ambientali adeguati.

Le immagini documentano:

  • La presenza di cadaveri all’interno delle gabbie.
  • La presenza di animali con lesioni alle zampe, causate dal continuo sfregamento sulla rete metallica, ma anche alle orecchie e alla testa, dovute all’aggressività che gli animali esprimono verso i propri simili quando sono costretti a vivere in un ambiente ad alta densità e con ridotte possibilità di movimento.
  • La manifestazione di stereotipie, comportamenti ripetitivi senza funzione apparente, come il compiere frequenti movimenti in circolo lungo le pareti della gabbia o mordere ripetutamente la rete metallica.

Per documentare il comportamento degli animali nell’arco di una giornata, gli investigatori hanno anche installato per 12 ore una microtelecamera all’interno di una gabbia dove erano rinchiusi due conigli. Queste registrazioni hanno confermato le limitazioni comportamentali e lo stato di apatia a cui i conigli sono sottoposti quotidianamente.

La coalizione End The Cage Age sottolinea che queste problematiche sono riconducibili alle condizioni di allevamento in gabbia e alla conseguente mancanza di spazio vitale e di stimoli ambientali positivi per gli animali, come dimostra la letteratura scientifica.

Non esiste una legge che normi le dimensioni minime delle gabbie, i conigli adulti hanno a disposizione uno spazio grande quanto un foglio A4. Anche secondo l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, la maggiore problematica per i conigli allevati è la restrizione del movimento. Una gabbia standard fornisce solo l’1% dello spazio necessario a un gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di almeno 50 mq. Anche nelle gabbie arricchite, di maggior dimensioni e dotate di una piattaforma sopraelevata, lo spazio a disposizione di ogni coniglio è comunque molto limitato. In gabbia i conigli non riescono a soddisfare le proprie esigenze e a esprimere i loro comportamenti naturali, neanche a stare eretti sulle zampe posteriori. Inoltre, i conigli sono animali da preda, di indole timida, e l’assenza di ripari o nascondigli genera ulteriore stress.

L’allevamento in gabbia ha effetti negativi anche sulle fattrici, che non possono esprimere il proprio comportamento materno in modo adeguato, non potendo scegliere quando interagire con i propri cuccioli, in quanto è solo l’operatore che decide quando permettere l’accesso al nido. Ciò causa loro notevole stress. Le immagini mostrano fattrici che grattano compulsivamente la porta chiusa del nido.

La reclusione e lo stress possono provocare negli animali anche debolezza ossea e deformazioni scheletriche, compromettendo il loro sistema immunitario fino allo sviluppo di malattie respiratorie e dermatiti alla pelle. Per questo motivo, ai conigli allevati per la produzione di carne vengono somministrati notevoli quantità di farmaci, ma la percentuale di mortalità degli animali è comunque elevata, con un intervallo del 10-30% (dati EFSA, 2005).

Le organizzazioni della coalizione italiana End the Cage Age sostengono: “In ogni allevamento visitato, sono stati documentati casi di animali feriti, morti o con evidenti problemi comportamentali, e questo è un segno inequivocabile che l’allevamento in gabbia non è compatibile con il benessere degli animali.”

In Italia, paese tra i maggiori produttori europei di carne di coniglio, circa 20 milioni di conigli (dati Commissione Europea, 2017) sono allevati in gabbie come quelle documentate dal video di Essere Animali. I maschi riproduttori trascorrono circa 2 anni della propria vita in queste condizioni prima di essere inviati al macello, le fattrici vengono riformate dopo un anno, solitamente dopo aver partorito 6 figliate, mentre i cuccioli destinati alla produzione di carne sono uccisi a 70-90 giorni, quando raggiungono un peso medio di macellazione di 2,7 kg.

La coalizione italiana End the Cage Age rende pubblica questa investigazione per chiedere che il Governo italiano prenda una netta posizione contro l’uso delle gabbie negli allevamenti, sostenendo l’impegno della Commissione Europea e promuovendo anche a livello nazionale l’adozione urgente di una normativa che ne vieti l’utilizzo.

Lo scorso 30 giugno 2021, la Commissione Europea si è impegnata a eliminare gradualmente e vietare definitivamente l’uso delle gabbie negli allevamenti europei tramite una normativa dedicata – un risultato straordinario dovuto ai 1,4 milioni di persone che hanno firmato l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) End the Cage Age. Ma, una volta presentata, la proposta legislativa dovrà essere valutata e approvata anche dal Consiglio dell’Unione Europea, composto dai ministri degli Stati Membri. Per questo è fondamentale che l’Italia sostenga senza riserva questa transizione.

“Il Governo italiano è di fronte a un bivio: nei prossimi mesi dovrà decidere se avallare un sistema di allevamento anacronistico, che costringe esseri senzienti a vivere in condizioni di grave privazione all’interno delle gabbie, sottoponendoli di fatto a sofferenze fisiche e mentali, o se appoggiare il divieto di questa pratica abominevole ed essere baluardo anche in Europa di cambiamenti virtuosi in favore di maggiore tutela degli animali allevati”, concludono le associazioni.

Approfondimenti:

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Contatti:

  • Eva-Maria Heinen, communications & PR manager Italia: emheinen.hsi@gmail.com
  • Martina Pluda, direttrice per l‘Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

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