Dopo essere state salvate dal traffico illegale, sono state reintrodotte nel loro habitat grazie alle organizzazioni che si occupano della conservazione e della tutela della fauna selvatica

Humane Society International / Europa


ARCAS

PETEN, Guatemala―All’apertura dei box adibiti al trasporto, la giungla della Riserva della Biosfera Maya, in Guatemala, si è nuovamente riempita di piume multicolore. Diciannove esemplari di ara scarlatta (Ara macao cyanoptera), specie emblematica dell’America centrale, sono stati reintrodotti nel loro habitat naturale dopo essere stati tratti in salvo dal traffico illegale di fauna selvatica.

A questo link è possibile scaricare le foto della liberazione; qui si possono scaricare i video.

Anche se l’ara scarlatta è attualmente classificata come “a rischio minimo di estinzione” dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, diversi paesi dell’America centrale e meridionale l’hanno inclusa nell’elenco delle specie in grave pericolo. I ricercatori stimano che in Guatemala rimangano tra i 150 e i 200 esemplari di ara scarlatta, dove sono classificati come minacciati. La sottospecie settentrionale è considerata in pericolo di estinzione in Messico, Belize, Costa Rica e Panama; è classificata come a rischio in Honduras, ed è protetta dalla cattura in Nicaragua. La perdita di habitat nella foresta pluviale e le catture legate al commercio illegale di animali domestici esotici rappresentano le principali minacce per questa specie. Strappati dai loro nidi in natura, questi pappagalli possono essere venduti per centinaia di dollari in diversi paesi di tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, dove il Fish & Wildlife Service li annovera fra le specie minacciate.

Il rilascio di questi uccelli tanto colorati, quanto minacciati, è stato il risultato di un lavoro congiunto di organizzazioni non governative e senza scopo di lucro, Asociación Rescate y Conservación de Vida Silvestre (conosciuta come ARCAS) e Humane Society International/Latin America, con il supporto della Fondazione Luis Von Ahn e di Defensores de la Naturaleza, così come del Consiglio Nazionale delle Aree Protette, noto come CONAP.

Tutti gli esemplari liberati erano vittime del traffico illegale di fauna selvatica. Mentre la maggior parte di loro è nata presso il centro di recupero per animali selvatici di ARCAS da genitori salvati dal commercio illegale, due esemplari sono stati confiscati direttamente dalle autorità. Fernando Martinez, Direttore di ARCAS Petén, spiega: I due pappagalli confiscati erano tenuti in scatole e destinati al commercio illegale di animali domestici. Essendo arrivati al centro di recupero ancora giovani, hanno avuto l’opportunità di unirsi al resto del gruppo e tornare nell’habitat da cui erano stati prelevati”.

“Attraverso il nostro processo di riabilitazione, tutti e diciannove i giovani uccelli hanno acquisito le abilità necessarie per vivere in libertà e contribuire all’espansione della popolazione di are selvatiche nella Riserva della Biosfera Maya”.

Andrea Borel, Direttrice Esecutiva di HSI/Latin America, ha aggiunto: “Il traffico illegale di fauna selvatica in Guatemala rappresenta una grave minaccia per le specie in pericolo come le are, perché i trafficanti prelevano i pulli dai loro nidi per venderli come animali domestici. Una simile operazione attribuisce un prezzo a queste specie, portando a un declino insostenibile della popolazione. Oltre alle ulteriori minacce derivanti dalla perdita di habitat, questa attività illegale causa sofferenza e stress agli uccelli che vengono sottratti alla natura e contrabbandati per lunghe distanze per essere venduti sul mercato nero come animali domestici. È per questo che, dal 2007, HSI/Latin America lavora con il nostro partner locale, ARCAS, per la protezione e la conservazione della fauna selvatica in Guatemala”.

La reintroduzione delle are nel loro habitat naturale è stata facilitata dai membri delle organizzazioni non governative sopra elencate, sotto la supervisione del CONAP. Gli uccelli rilasciati saranno monitorati per quindici giorni per tracciare i loro progressi.

FINE

Contatti stampa:

  1. Eva-Maria Heinen, Senior Manager Media & Communications, HSI/Europe. emheinen@hsi.org +39 3338608589
  2. Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

Humane Society International/Europe ricorda che anche in Italia ci sono ancora centinaia di visoni detenuti in gabbia

Humane Society International / Europa


HSI

MILANO— Decine di nuovi virus sono stati identificati negli animali in Cina, compresi quelli allevati allo scopo di produrre pellicce (visoni, volpi artiche, conigli e cani procione), dimostrando la pericolosità di questa industria per la salute umana e spingendo Humane Society International, organizzazione leader nella protezione degli animali, a rinnovare la sua richiesta di porre fine al commercio di pellicce. Analizzando gli esemplari presenti negli allevamenti cinesi, i ricercatori hanno individuato 36 nuovi virus, oltre a localizzare virus associati a infezioni umane e a riscontrare il rischio di trasmissione da una specie all’altra di coronavirus e influenza aviaria. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, avvertono che gli allevamenti di animali da pelliccia fungono da hub per la trasmissione dei virus.

La ricerca, che ha preso in esame 461 campioni di tessuto prelevati dagli animali allevati per la loro pelliccia, ha identificato 39 virus classificati come “potenzialmente ad alto rischio” per la trasmissione all’organismo umano, inclusi 13 virus nuovi e 11 virus responsabili di zoonosi che possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani. Questi virus potenzialmente ad alto rischio sono stati localizzati in visoni, volpi artiche e conigli, così come nei cani procione, capaci di veicolarne il numero più elevato (fino a 10). Gli scienziati hanno osservato che questi animali “costituiscono ospiti potenzialmente ad alto rischio per la trasmissione di virus agli esseri umani e ad altri animali”. Sette specie di coronavirus sono state identificate in 66 animali allevati per le loro pellicce. I ricercatori esprimono anche una particolare preoccupazione per la scoperta di coronavirus dei pipistrelli (HKU5) e, separatamente, di virus responsabili dell’influenza aviaria (H5N6) nei visoni allevati, e sottolineano come i casi di coinfezione siano comuni.

“Allevare animali per la produzione di pellicce non è solo un’attività incompatibile con il benessere animale, ma è anche una grave minaccia per la salute pubblica. Sebbene in Italia questa industria sia stata vietata già nel 2022, l’assenza di un decreto ministeriale vede ancora migliaia di visoni rinchiusi nelle gabbie degli allevamenti chiusi in Lombardia, Romagna e Abruzzo. Questo ritardo non è solamente inammissibile ma anche incredibilmente irresponsabile”, ha dichiarato Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe. “È poco lungimirante correre il rischio di scatenare una nuova pandemia in nome di un prodotto, la pelliccia di origine animale, che non è più richiesto dalla maggior parte dei consumatori. Non è un caso se sono sempre di più i brand che hanno deciso di eliminarlo dalle proprie collezioni, fra cui, per citare l’ultimo esempio, il Max Mara Fashion Group”.

Solo lo scorso anno, HSI ha diffuso immagini allarmanti provenienti da allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina, dove gli animali sono allevati in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale rischio di diffusione di malattie zoonotiche. Gli investigatori hanno osservato diversi altri rischi per la biosicurezza, tra cui l’uso diffuso di antibiotici, l’alimentazione degli animali allevati con carne di pollo cruda e la vendita di carcasse di cani procione per il consumo umano.

Non è la prima volta che gli scienziati esprimono preoccupazione riguardo ai rischi degli allevamenti di animali da pelliccia per la diffusione di virus con potenziale pandemico. Nel luglio 2023, dopo l’intercettazione di focolai di influenza aviaria (H5N1) in allevamenti di visoni e volpi in Spagna e Finlandia, i virologi del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Imperial College di Londra hanno avvertito che l’allevamento intensivo di visoni dovrebbe essere considerato al pari del commercio di carne di animali selvatici e dei mercati di animali vivi, a causa della minaccia che rappresenta per l’insorgenza di futuri focolai di malattie. Sono state sollevate preoccupazioni anche riguardo alla diffusione di SARS-CoV-2 nei visoni in quasi 500 allevamenti sparsi fra Europa e Nord America, con il virus che passa dagli esseri umani ai visoni allevati, si trasmette fra i visoni e, di nuovo, dagli animali all’uomo. Negli ultimi anni, milioni di esemplari presenti negli allevamenti sono stati abbattuti per motivi di salute pubblica – a migliaia anche in Italia.

A questo link è possibile scaricare le foto degli allevamenti in Cina; qui si possono scaricare i video.

Note

  • Da aprile 2020, i visoni di 488 allevamenti in Nord America e in Europa sono risultati positivi al SARS-CoV-2. Il virus ha dimostrato di essere in grado di passare da mammifero a mammifero negli allevamenti, e sono stati segnalati casi di trasmissione dagli animali agli esseri umani in almeno sei Paesi. L’ultimo focolaio è stato registrato in Bulgaria nell’ottobre 2023.
  • Gli animali di più di 70 allevamenti europei per la produzione di pellicce sono stati infettati da influenza aviaria altamente patogena A (H5N1) – in Spagna nel 2022 e in Finlandia nel 2023 – con conseguente ordine da parte delle autorità di abbattere più di 500.000 visoni, cani procione, volpi e zibellini per motivi di salute pubblica.
  • In Italia, nonostante l’allevamento di animali da pelliccia sia vietato dal 2022, si stima ci siano ancora 1 600 visoni detenuti in gabbia negli allevamenti di Capergnanica (CR), Ravenna e Castel di Sangro (AQ), a causa della mancata pubblicazione del decreto attuativo inteso a regolare l’eventuale cessione degli animali a strutture autorizzate. A gennaio 2022 i visoni ancora in vita erano 5.700. A novembre 2022, è stato confermato un focolaio di SARS-CoV-2 all’interno di un allevamento nel Comune di Galeata (FC), risultando nell’abbattimento sanitario dei restanti 1.500 visoni della struttura. A maggio 2023 un altro contagio è stato riscontrato a Calvagese della Riviera (BS), portando all’abbattimento di oltre 1.500 visoni.

FINE

Contatti stampa

  • Eva-Maria Heinen, Senior Manager Media & Communications, HSI/Europe. emheinen@hsi.org  +39 3338608589
  • Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

Humane Society International / Italia


Didier BAUWERAERTS/©European Union 2015 EP Paul Henri

La protezione degli animali è un tema che sta a cuore a molti cittadini dell’Unione Europea. Ciò si riflette anche nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che riconosce esplicitamente che gli animali sono esseri senzienti e che l’UE e gli Stati Membri nella definizione delle loro politiche devono tenere pienamente conto delle loro esigenze in materia di benessere.

Humane Society International/Europe invita i 720 membri del Parlamento Europeo a farsi portavoce delle istanze a favore della protezione degli animali allevati, di quelli selvatici e di quelli usati nei laboratori, per promuovere il loro benessere e migliorare la loro protezione nell’UE e oltre. Questo Manifesto delinea una serie di priorità chiave per l’imminente Decimo Mandato Parlamentare (2024-2029).

Promuovere il benessere degli animali allevati

L’attuale legislazione europea sul benessere degli animali deve essere rivista per riflettere appieno le attuali conoscenze scientifiche sul benessere degli animali e il suo ambito di applicazione deve essere ampliato per tenere in considerazione tutti gli animali allevati per scopi economici. È indispensabile che questa revisione legislativa includa l’eliminazione graduale dell’allevamento in gabbia per animali come galline ovaiole e maiali.

Eliminare le pellicce

È necessario introdurre un divieto totale di detenzione, allevamento e uccisione di animali al solo scopo di produrre pellicce. La crudele e inutile pratica di allevare animali per ottenere la loro pelliccia deve essere relegata agli annali di storia, ovunque in Europa.

Limitare le importazioni di trofei di caccia

Attualmente, gli Stati Membri dell’UE sono tenuti a rilasciare permessi di importazione solo per i trofei di caccia ottenuti dalle specie elencate nell’Allegato A e da solo dodici specie nell’Allegato B dei Regolamenti sul Commercio di Fauna Selvatica dell’UE. Finché l’importazione di trofei di caccia rimarrà legale, questo requisito sul rilascio di permessi di importazione deve essere esteso a TUTTE le specie elencate nell’Allegato B, al fine di garantire che questi trofei di caccia siano stati ottenuti in maniera legale e “sostenibile”.

Blinadre le normative UE sul commercio di fauna selvatica

Una falla nella legislazione dell’UE permette alle specie animali selvatiche protette a livello nazionale, trafficate nei flussi commerciali internazionali, di essere vendute legalmente in Europa come animali domestici esotici. L’UE deve impegnarsi ad adottare una normativa supplementare che vieti l’importazione, la riesportazione, l’acquisto e la vendita di fauna selvatica catturata illegalmente nel Paese di raccolta/origine.

Garantire una scienza senza animali

Il Regolamento europeo sulle sostanze chimiche (REACH) deve essere rivisto per chiudere le scappatoie legali che permettono di testare gli ingredienti cosmetici sugli animali. Sia il REACH che il Regolamento per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze chimiche (CLP) devono essere aggiornati per massimizzare l’adozione di metodi senza l’uso di animali per la valutazione della sicurezza. È inoltre fonda- mentale che i requisiti di sperimentazione animale non vengano ampliati o che non ne vengano introdotti di nuovi, attraverso revisioni o atti delegati. Nel settore della ricerca, dove viene utilizzato il maggior numero di animali, l’UE dovrebbe impegnarsi per un cambiamento scientifico e tecnologico verso approcci che non prevedano l’uso di animali.

Promuovere sistemi alimentari sostenibili

La politica dell’UE, compresa qualsiasi futura Legge Quadro sui sistemi alimentari sostenibili, dovrebbe prorequimuovere attivamente la transizione verso un’alimentazione maggiormente a base vegetale e la diminuzione della produzione e del consumo di prodotti di origine animale, nonché l’introduzione di misure per ridurre il numero di animali allevati e la loro densità, per mitigare l’impatto ambientale e climatico dell’allevamento intensivo.

Può trovare informazioni dettagliate sulle nostre richieste per il prossimo mandato del Parlamento Europeo nel nostro Manifesto.

È disposto a sostenere le nostre priorità chiave? Si metta in contatto con noi: info@hsi-europe.org

Humane Society International / Europa


HSI

MILANO—Dopo aver ricevuto migliaia di richieste via e-mail, al telefono e sui propri profil social media da consumatori preoccupati di tutto il mondo e aver assistito al sorvolo della propria sede centrale, a Reggio Emilia, di una mongolfiera che chiedeva all’azienda di eliminare l’uso delle pellicce, il Max Mara Fashion Group ha annunciato ufficialmente l’introduzione di una politica fur-free.

In una nota interna al personale, Max Mara ha dichiarato: “L’Azienda non vende, né online né in nessuna delle sue sedi fisiche di vendita al dettaglio, prodotti realizzati con pellicce, né c’è l’intenzione di introdurre prodotti realizzati con pellicce nelle prossime collezioni dei marchi del Max Mara Fashion Group”.

Questo è stato confermato da un dirigente di Max Mara, che ha aggiunto: “Max Mara, compreso il MMFG e tutte le sue filiali, ha adottato una policy fur-free e non ha intenzione di introdurre la pelliccia in nessuna delle prossime collezioni per nessuno dei marchi del MMFG”.

Questo annuncio giunge dopo che la Fur Free Alliance, una coalizione di oltre 50 organizzazioni per la protezione degli animali – tra cui Humane Society International – provenienti da oltre 35 Paesi, ha lanciato una campagna globale durante le settimane della moda di febbraio 2024 a New York, Londra, Milano e Parigi, esortando il gigante della moda italiana ad adottare una politica fur-free. In questo periodo sono state inviate oltre 270.000 e-mail, effettuate 5.000 telefonate e pubblicati innumerevoli post sui social media che hanno fatto arrivare un messaggio chiaro a Max Mara: eliminare l’uso di pelliccia animale.

Il Max Mara Fashion Group ha oltre 2.500 negozi in 105 paesi. In passato vendeva articoli come guanti di visone, polsini in pelliccia di volpe e un portachiavi di cane procione. Con questa policy, gruppo si unisce a molte delle principali case di moda del mondo che sono già diventate fur-free, tra cui Dolce & Gabbana, Saint Laurent, Valentino, Prada, Gucci, Versace, Alexander McQueen, Balenciaga e Armani.

Nel febbraio di quest’anno, Humane Society International/Europe e LAV hanno sorvolato con una mongolfiera la sede di Max Mara a Reggio Emilia, durante la Settimana della Moda di Milano, esponendo uno striscione con la richiesta di diventare fur-free.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe, ha dichiarato: “Siamo lieti di congratularci finalmente con il Max Mara Fashion Group per essersi unito ai numerosi gruppi di moda, marchi e rivenditori che hanno già preso la decisione etica di eliminare le pellicce dalle loro collezioni e dai loro scaffali. Sembra che la voce degli attivisti di tutto il mondo e il messaggio inviato a febbraio da LAV e HSI/Europe, con una mongolfiera in volo sopra la sede di Max Mara a Reggio Emilia, abbiano contribuito a convincere il gruppo a fare la cosa giusta. Ce l’abbiamo fatta!”.

Joh Vinding, presidente della Fur Free Alliance, ha dichiarato: “La Fur Free Alliance applaude Max Mara per essere diventata fur-free. Max Mara era uno degli ultimi marchi di moda globali a vendere ancora pellicce, quindi siamo felici che si sia ora unito alla lista di marchi fur-free che non vogliono avere più nulla a che fare con la crudeltà inflitta gli animali per la produzione di pellicce”.

Ad oggi, oltre 1.500 marchi e rivenditori hanno preso questa decisione aderendo al Fur Free Retailer Program.

Dati:

  • Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno per il commercio globale di pellicce. La maggior parte degli animali uccisi per la loro pelliccia sono allevati in in gabbie spoglie, in maniera intensiva.
  • L’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato in 21 Paesi Europei, tra cui 15 Stati Membri dell’UE: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia più Bosnia Erzegovina, Guernsey, Norvegia, Regno Unito, Macedonia del Nord e Serbia. Inoltre, due Paesi (Svizzera e Germania) hanno implementato normative talmente restrittive da aver di fatto posto fine all’allevamento di animali da pelliccia e tre Paesi (Danimarca, Svezia, Ungheria) hanno imposto misure che hanno posto fine all’allevamento di alcune specie. L’allevamento di visoni è stato vietato anche nella provincia canadese della Colombia Britannica. In Bulgaria, Romania e Svezia si sta attualmente discutendo l’introduzione di un divieto.
  • Israele è diventato il primo Paese a vietare la vendita di pellicce, nel 2021. Negli Stati Uniti, la vendita di pellicce è vietata nello Stato della California e in 16 città. La Svizzera sta attualmente valutando la possibilità di introdurre divieto di importazione per le pellicce.
  • I visoni di quasi 488 allevamenti in 13 Paesi in Europa e Nord America sono risultati infetti con il COVID-19. Per milioni di visoni, in Paesi come la Danimarca e l’Olanda, è stata ordinata la soppressione per motivi di salute pubblica. L’influenza aviaria A(H5N1) altamente patogena è stata riscontrata in 72 allevamenti di animali da pelliccia (uno in Spagna, 71 in Finlandia). Per circa 500.000 animali, tra cui visoni, volpi artiche, volpi rosse, cani procione e zibellini, è stato ordinato l’abbattimento sanitario.

Foto dello stunt in mongolfiera (creare account per il download)

FINE

Contatto stampa:

  • Yavor Gechev, Direttore Comunicazione Europa: ygechev@hsi.org
  • Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

 

LAV e HSI: “persa una grande occasione per compiere scelte coraggiose e sostenibili. Nessun segnale di una progressiva dismissione di materiali animali critici. Incoraggiamo il Gruppo a farlo!”

Humane Society International / Europa


Emma Varley/Getty Images

Milano—Il Gruppo Prada ha pubblicato la sua prima “Animal Welfare policy”; per le associazioni animaliste LAV e Humane Society International/Europe non ambisce a eradicare la sofferenza animale dalla supply chain dell’azienda. La policy rappresenta un’autoregolamentazione delle modalità di approvvigionamento di materie prime ricavate da animali quali piume (per imbottiture e decorative), pelli (da quella bovina alle “esotiche”) e filati (lana di pecora, cashmere, mohair, alpaca e altri filati) e deferisce a sistemi di certificazione elaborati da queste stesse industrie che spesso non sono trasparenti, sostenibili e credibili in termini di benessere animale.

“Una grande delusione! Dopo gli importanti traguardi raggiunti nel 2020 con gli annunci della definitiva dismissione di pellicce prima e pelle di canguro poi, a seguito del proseguire delle relazioni con l’azienda in particolare sulle filiere più critiche quali sono quelle delle pelli esotiche e delle piume, ci saremmo aspettati ulteriori impegni di sostenibilità. Il Gruppo Prada si è invece limitato ad elencare quali sono le Certificazioni “Responsabili” da cui continuerà ad approvvigionarsi; unica positiva novità, la rinuncia alla lana d’angora (un filato ricavato da conigli e con metodi cruenti),” dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, commenta: “Se qualche anno fa abbiamo celebrato il Gruppo Prada per le sue scelte etiche in merito a certi materiali di origine animale, oggi la loro nuova policy, invece di costruire su quei principi etici, desta preoccupazione per ciò che l’azienda intende come standard accettabili di benessere animale e per la sua disponibilità a deferire a sistemi di certificazione gestiti dall’industria. Non possiamo che scuotere il capo di fronte all’uso di materiali estremamente problematici come le pelli di rettili selvatici, cacciati o allevati contro natura, o le piume che potrebbero derivare dall’industria cruenta del foie-gras. Dal dialogo con l’azienda ci saremmo aspettati più ambizione, in linea con la crescente domanda di prodotti veramente cruelty-free.”

Tra i punti più discutibili della Animal Welfare Policy di Prada, evidenziamo i seguenti:

  • nel paragrafo “Vision and Goals” Prada dichiara: “il Gruppo mira a procurarsi fibre e materiali animali solo da catene di approvvigionamento responsabili attraverso solidi schemi di verifica, con parametri misurabili e tracciabilità integrata”;

questa affermazione è tuttavia incoerente con quanto poi l’azienda stessa scrive in riferimento ai sistemi di certificazione da cui si approvvigiona e che, per esempio per piume e pelli di struzzo risulta che “Il Gruppo è consapevole che lo standard (il SAOBC South African Ostrich Business Chamber) è ancora in fase di piena implementazione e richiede ancora attenzione per quanto riguarda la robustezza e la creazione di una catena di custodia”.

  • Nel paragrafo “Core principles” l’azienda dichiara che: “si impegna a eliminare gradualmente in futuro altri materiali di origine animale la cui provenienza, secondo evidenze scientifiche, non è in linea con questa policy”;

tuttavia, questa policy si limita a citare standard industriali (anche riconoscendo il fatto che, alcuni, sono incompleti e necessitano di ulteriori verifiche) che sono scritti dagli stessi allevatori/fornitori dei materiali animali cui fanno riferimento; l’azienda non definisce propri standard cui i fornitori dovrebbero adeguarsi.

Inoltre, la decisione dell’azienda sulla eventuale dismissione di determinati materiali non dovrebbe essere in funzione di sole valutazioni “scientifiche”, ma deve tenere conto anche di considerazioni etiche e dell’opinione pubblica.

  • Nel paragrafo “Animal welfare commitment” l’azienda dichiara che: “I sistemi standard prescelti vengono selezionati in base alle loro prestazioni e devono contenere criteri validi nei settori chiave della tracciabilità, della trasparenza, della qualità delle pratiche relative al benessere degli animali e della metodologia di verifica.”;

Tuttavia, diversi standard industriali citati nella Policy non sono pubblici, quindi mancano in trasparenza (per esempio per i rettili quello dell’International Crocodilian Farmers Association ed il Responsible Reptile Sourcing Standard; ma anche quello della South African Ostrich Business Chamber per la filiera di pelle e piume di struzzo)

  • Infine, il Gruppo Prada dichiara che la pelle animale è un key material; ciononostante, nella Animal Welfare policy del Gruppo non c’è traccia di standard industriali o specifiche azioni dell’azienda in termini di maggiori tutele per gli animali di questa filiera oltre a quanto già prevedono le minime norme di legge vigenti nei Paesi da cui il Gruppo si approvvigiona (paesi che, non essendo esplicitati, possono anche essere extra-UE quindi con parametri anche inferiori a quelli europei).

“Le filiere produttive di materiali animali per la moda, oltre a criticità etiche, implicano palesi problemi di impatto ambientale legate alle emissioni di gas serra, al consumo e all’inquinamento dell’acqua, al consumo di suolo. Considerato che il Gruppo Prada si è voluto fortemente impegnare sul fronte della Sostenibilità del comparto moda, aderendo ai network ‘The Fashion Pact’ (iniziativa avviata dal presidente francese Emmanuel Macron con François-Henri Pinault, CEO Kering Group) e della ‘Fashion taskforce’ nell’ambito della Sustainable Markets Initiative di re Carlo III, incoraggiamo e chiediamo al Gruppo Prada di definire e rendere pubblica, per coerenza, una roadmap ambiziosa, da qui al 2030, per la riduzione e dismissione di materiali animali critici” concludono LAV e HSI/Europe.

Per approfondimenti:

FINE

Contatto stampa: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885

La produzione cinese di pellicce è diminuita di quasi il 90% nell’ultimo decennio, ma milioni di animali continuano a soffrire confinati negli allevamenti nonostante i rischi che pongono alla salute pubblica

Humane Society International / Europa


Investigation

PECHINO/ROMA—I filmati allarmanti provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina mostrano volpi, cani procione e visoni esibire comportamenti ripetitivi e stereotipati associati ad un deterioramento mentale e animali tenuti in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale per la diffusione di malattie zoonotiche. L’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International ha pubblicato i filmati e rinnovato il suo appello per una fine globale al commercio delle pellicce.

Gli investigatori hanno visitato cinque allevamenti di animali da pelliccia nel dicembre 2023 nelle regioni settentrionali di Hebei e Liaoning, rilevando un ampio uso di antibiotici e la commercializzazione di carcasse di cani procione destinate al consumo umano.

Le statistiche ufficiali dell’Associazione cinese dell’Industria della Pelliccia e della Pelle, indicano una diminuzione del 50% nella produzione di pellicce nel Paese, tra il 2022 e il 2023 e un calo di quasi il 90% nel periodo dal 2014 al 2023. Dati in linea con la diminuzione globale della produzione di pellicce. Gli investigatori hanno notato la chiusura di un significativo numero di allevamenti di piccole e medie dimensioni precedentemente attivi nella zona, dovuta alle scarse vendite. Nonostante rimanga il principale paese produttore di pellicce al mondo, la Cina non può ignorare il cambiamento globale che ha investito consumatori e designer, sempre meno inclini ad utilizzare le pellicce, sia per motivi di benessere animale, sia per motivi ambientali.

L’investigatore cinese Xiao Chen ha dichiarato: “Gli allevamenti di animali da pelliccia che abbiamo visitato rappresentano la tipica realtà di questo tipo di allevamenti in tutta la Cina. Qui gli animali sono tristemente confinati in gabbie strette e spoglie e molti di loro manifestano stereotipie comportamentali a causa di problemi psicologici. Questi animali, naturalmente curiosi ed energici, sono ridotti ad una triste esistenza in gabbie metalliche, senza alcuna possibilità di movimento o stimolo. Non riesco a immaginare quanto siano frustrati e annoiati. Questo per produrre qualcosa di così inutile come la pelliccia. Mi vergogno di essere un essere umano quando visito questi allevamenti di animali da pelliccia; vedo la crudeltà e l’indifferenza di cui siamo capaci”.

Ognuno degli allevamenti di animali da pelliccia visitati teneva tra i 2.000 e i 4.000 animali in piccole gabbie in batteria, così vicine tra loro che in alcuni casi i visoni o i cani procione potevano toccare gli animali nelle gabbie vicine attraverso i divisori di filo metallico, aumentando il rischio di trasmissione di malattie. Nonostante le centinaia di casi di COVID-19 e di influenza aviaria confermati negli allevamenti di animali da pelliccia a livello globale dal 2020, i proprietari degli allevamenti hanno confermato agli investigatori di non sterilizzare abitualmente le strutture per motivi economici. Sebbene nessun allevatore abbia richiesto agli investigatori di rispettare i protocolli sanitari per prevenire la trasmissione di malattie prima di accedere alle strutture, gli investigatori hanno preso le loro precauzioni.

Nelle aree dedicate alla preparazione del cibo, in diversi allevamenti, sono state rinvenute ingenti quantità di pesce, carne e fegato di pollo congelati, uova e latte in polvere macinati fino a ottenere una pasta e somministrati agli animali. L’alimentazione di carne di pollo cruda agli animali in questi allevamenti non solo contribuisce all’impronta di carbonio dell’allevamento di animali da pelliccia, ma rappresenta anche, secondo esperti dell’Unione Europea, un rischio per la biosicurezza.

Il Professor Alastair Macmillan, veterinario specializzato in microbiologia, che ha visionato le registrazioni, ha dichiarato: “In qualità di esperto in microbiologia veterinaria, sono profondamente preoccupato per l’apparente mancanza di biosicurezza e per il potenziale di trasmissione dell’influenza aviaria dovuto alla libera movimentazione di polli e anatre tra le gabbie di cani procione. Questo rappresenta una via di trasmissione diretta tramite contatto o contaminazione fecale. Negli allevamenti europei di animali da pelliccia sono già stati documentati casi di influenza aviaria, e una così stretta vicinanza tra le specie aumenta notevolmente il rischio di trasmissione dall’avifauna ai mammiferi. L’elevata densità di cani procione potrebbe altresì agevolare l’adattamento del virus agli ospiti mammiferi e la selezione di ceppi virali capaci di trasmettersi tra mammiferi. Anche la vendita di carcasse di cani procione e di carne cotta destinata al consumo umano solleva preoccupazioni riguardo alla possibile trasmissione di malattie zoonotiche.”

L’indagine ha rivelato che il metodo di uccisione più diffuso negli allevamenti di animali da pelliccia è quello dell’elettroshock, sebbene alcuni allevatori uccidano i visoni sbattendoli contro una barra metallica o con un bastone. Nella regione sono presenti diversi mercati dove le carcasse degli animali provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia vengono vendute a circa 2-3 yuan/kg. Un ristorante locale visitato dagli investigatori offriva ai clienti locali carne di cane procione bollita, fritta e marinata per circa 20 yuan, confermando inoltre di cucinare 42 cani procione al giorno.

Il dottor Peter Li, esperto di politica cinese di Humane Society International ha dichiarato: “Sebbene questa indagine abbia avuto luogo in Cina, la sofferenza degli animali insita nel commercio di pellicce è osservabile anche negli allevamenti in Europa e Nord America. Animali con disturbi psichici, ammassi di sterco animale, gabbie spoglie e un preoccupante rischio di malattie zoonotiche sono in netto contrasto con l’immagine glamour che l’industria della pellicceria cerca di promuovere. Una triste realtà. La Cina esporta pellicce in paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e l’intera Europa, rendendo tali nazioni complici di questa crudeltà. In risposta al rifiuto per le pellicce da parte di molti designer e consumatori, la produzione di pellicce in Cina è drasticamente diminuita negli ultimi anni. Ma la fine di questa industria crudele, dannosa per l’ambiente e pericolosa per la salute, non arriverà mai abbastanza presto”.

Foto e video dell’indagine (creare account per il download)

FINE

Contatto: Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia/Germania: emheinen@hsi.org; 3338608589

Note

Nel 2023 la Cina ha prodotto 10 milioni di pellicce di volpe, visone e cane procione, con una diminuzione di oltre il 50% rispetto ai 22 milioni di pellicce prodotte nel 2022 e un calo dell’88% rispetto a un decennio fa. Nel 2014, la Cina ha prodotto 87 milioni di pellicce: 60 milioni di pellicce di visone, 14 milioni di pellicce di cane procione e 13 milioni di pellicce di volpe.

Uno studio condotto dagli esperti nella valutazione delle impronte carboniche di Foodsteps, commissionato da Humane Society International e rivisto dal famoso esperto di sostenibilità Dr Isaac Emery, ha rilevato che l’impatto ambientale della produzione di pellicce di visone, volpe e cane procione supera in modo significativo quello di altri materiali utilizzati nella moda, tra cui il cotone e persino il poliestere e l’acrilico usati per realizzare pellicce finte. Una componente significativa dell’impronta di carbonio della pelliccia è la grande quantità di prodotti animali usati per alimentare gli animali carnivori negli allevamenti.

Nell’ambito del progetto IO NON COMBATTO realizzato da Fondazione CAVE CANEM e Humane Society International/Europe in materia di prevenzione e contrasto ai combattimenti tra animali, avrà luogo un momento formativo e divulgativo volto a dotare gli addetti ai lavori di strategie legali orientate al benessere dei cani

Humane Society International / Europa


HSI e FCC Chiara Muzzini

ROMA—Si terrà in data 18 aprile, presso la sala della Protomoteca in sede del Campidoglio, a Roma, il convegno “La tutela giuridica degli animali sotto sequestro giudiziario. Dalla elaborazione della segnalazione per ipotesi di maltrattamento o detenzione incompatibile allo svincolo dall’esito del procedimento – Prediligere il deposito cauzionale quale misura di maggior tutela per l’animale e brevità rispetto alla confisca”. Organizzata nell’ambito delle attività formative e divulgative del progetto IO NON COMBATTO, realizzato da Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM per la prevenzione e la repressione del fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani, la conferenza ha l’obbiettivo di fornire agli addetti ai lavori le conoscenze e gli strumenti operativi necessari per porre la priorità sul benessere dei cani, vittime di queste attività illecite.

Con il patrocinio dall’Assessorato all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei Rifiuti di Roma Capitale, apriranno i lavori l’Assessora Sabrina Alfonsi, il Generale di Brigata Giorgio Maria Borrelli, l’Avv. Federica Faiella, Presidente della Fondazione CAVE CANEM, Mirko Zuccari educatore cinofilo specializzato nel recupero di cani vittime di gravi maltrattamenti; modererà l’evento la Dott.sa Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe.

L’iniziativa ha l’obiettivo di trasmettere conoscenze e informazioni utili a diversi livelli, con particolare attenzione alle condizioni incompatibili di benessere dei cani, vittime del fenomeno criminoso dei combattimenti clandestini. Dalla fotografia della normativa vigente, alle modalità di intervento della Magistratura e delle Forze di Polizia. Dall’ipotesi di reato alla confisca degli animali tratti in salvo. Dall’operato di coloro i quali sono impegnati costantemente nei canili rifugio per garantire il recupero psico-fisico delle vittime al ruolo del custode giudiziario. Fino ad analizzare il profilo psicologico-comportamentale del dog-fighter.

Il programma prevede l’intervento di autorità, rappresentanti delle Forze di Polizia e della Magistratura nonché esperti del settore:

• Dott.ssa Diana Russo, Sostituta Procuratore;
• Ten. Col. Marco Trapuzzano, Comandante del Nucleo Carabinieri CITES di Napoli;
• Avv. Federica Faiella, Presidente Fondazione CAVE CANEM;
• Avv. Maria Silvia D’Alessandro, consulente legislativo dalla XIV legislatura presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, specializzata in normativa sulla tutela degli animali;
• Avv. Alessandra Itro, specialista in normativa sulla tutela degli animali;
• Dott.ssa Carolina Salomoni, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO;
• Angela Maria Panzini, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO.

Tra i temi che verranno trattati e di estremo interesse nell’ambito della tutela giuridica degli animali, il deposito cauzionale, uno strumento che prevede il versamento di una somma per l’affido definitivo di animali sequestrati a enti o privati che ne garantiscano il benessere e il rispetto delle caratteristiche etologiche: in caso di assoluzione, la somma sarà corrisposta agli imputati; in caso di condanna, la stessa verrà versata nel Fondo Unico di Giustizia. Il deposito cauzionale emerge come una misura di maggior tutela per gli animali rispetto alla confisca, in quanto consente di svincolare l’animale dall’esito del procedimento penale, che può essere lungo e incerto. Tale strumento risulta facilmente utilizzabile laddove sia accertata la mancanza di legame affettivo tra gli animali sequestrati e le persone imputate, ad esempio nel caso di flagranza di reato di combattimento.

I combattimenti fra animali sono un fenomeno criminale sommerso, di portata nazionale e internazionale che coinvolge diverse specie animali, tra cui i cani, in particolare i molossi. Il coinvolgimento in queste attività causa loro gravi danni fisici e traumi psicologici. In Italia, il combattimento tra animali, è un reato punito dall’art. 544 quinquies del Codice penale. Si tratta di una pratica sanguinaria che mette cani l’uno contro l’altro, all’interno di ring o fosse, più o meno improvvisati, in alcuni casi previa somministrazione di sostanze dopanti, ai fini dell’intrattenimento di chi assiste, spesso associato al gioco d’azzardo e altre attività criminali.

Il convegno si svolgerà giovedì, 18 aprile 2024, dalle 9:30 alle 13:00, presso la Sala della Protomoteca, Piazza del Campidoglio 1, Roma. Per iscriversi, mandare una mail a info@iononcombatto.it.FINE

Contatti: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885

Basta ostruzionismo, HSI/Europe chiede al Parlamento e al Governo di approvare al più presto il divieto

Humane Society International / Europa


Britta Jaschinski

ROMA—Humane Society International/Europe (HSI/Europe) esprime profondo disappunto per la decisione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On. Maschio (Fratelli d’Italia), di dichiarare inammissibile  l’emendamento 14.01 durante la discussione sul disegno di legge dell’On. Brambilla (Noi Moderati) in materia di reati contro gli animali. Tale emendamento, a prima firma dell’On. Costa (Movimento 5 Stelle), mirava a introdurre in Italia il divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia di specie a rischio estinzione, adattando il testo dei disegni di legge già presentati la scorsa legislatura alla Camera a prima firma dell’ex Sottosegretario alla Giustizia On. Ferraresi (Movimento 5 Stelle) e nella presente legislatura dalla stessa On. Brambilla e, al Senato, dalla Sen.ce Bevilacqua (Movimento 5 Stelle).

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, dichiara: “Siamo profondamente rammaricati e delusi da questa decisione, contraria all’impegno bipartisan dell’On. Brambilla e della Sen.ce Bevilacqua, rispettivamente presidente e membro dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente. L’emendamento che si inseriva tra le norme riguardanti la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES) era assolutamente attinente e rappresentava un passo avanti fondamentale per contrastare la crudele e inutile pratica della caccia al trofeo e per tutelare la sopravvivenza di specie animali vulnerabili. Rinnoviamo l’invito al Presidente Maschio a visitare la mostra fotografica «Natura morta. In consegna.», allestita da HSI/Europe e attualmente in corso presso Palazzo Valdina, per comprendere la realtà straziante che si cela dietro a questi trofei. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte all’insensatezza di uccidere animali a rischio di estinzione per trasformarli in sgabelli, portapenne, apribottiglie e altri macabri oggetti”.

La mostra “Natura morta. In consegna.” organizzata da HSI, con il patrocinio dell’On. Michela Vittoria Brambilla e inaugurata lo scorso 12 marzo, presenta gli scatti della fotografa pluripremiata Britta Jaschinski, co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e rimarrà aperta la pubblico presso Palazzo Valdina, sede della Camera dei Deputati, fino al prossimo giovedì 21 marzo. Attraverso immagini forti e suggestive, l’esposizione denuncia la brutalità della caccia al trofeo e l’impatto devastante che essa ha su animali, ambiente e comunità locali, con l’obiettivo di accelerare l’adozione di un divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia ottenuti da specie protette a livello internazionale

Vista l’ennesima occasione persa, HSI/Europe sollecita il Parlamento italiano e, in particolare, i due Presidenti delle Commissioni Giustizia (l’On. Maschio alla Camera e la Sen.ce Bongiorno al Senato), a calendarizzare la discussione dei due disegni di legge presentati sul tema e il Governo italiano ad agire con urgenza per vietare l’importazione di trofei di caccia, allineandosi con la posizione di numerosi altri Paesi europei, tra cui il Belgio, che hanno già adottato misure in tal senso, oltre a sostenere con forza la necessità di un divieto di importazione a livello europeo.

“È inaccettabile che l’Italia continui a permettere l’ingresso nel proprio territorio di resti di animali selvatici uccisi per puro divertimento”, aggiunge Martina Pluda. “Le proposte di legge per il divieto di importazione, depositate sia alla Camera che al Senato, attendono di essere discusse. Ci auguriamo che questa mostra possa servire da sprone per accelerare l’iter legislativo e finalmente mettere un freno a questa barbarie.”

La mostra “Natura morta. In consegna. – Il macabro business della caccia al trofeo negli scatti di Britta Jaschinski”, è aperta al pubblico dal 12 al 21 marzo 2024 presso la Camera dei Deputati – Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma, ad accesso libero.

Foto della mostra e dell’inaugurazione.

FINE

Contatto stampa: Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia/Germania: emheinen@hsi.org; 3338608589

La politica europea è chiamata a rispettare gli impegni presi con i cittadini

Humane Society International / Europa


HSI

BRUXELLES—Il Comitato dei Cittadini, composto dai sette cittadini europei promotori dell’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “End the Cage Age”, ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro la Commissione UE, responsabile di aver tradito il proprio impegno a proporre una normativa per mettere fine all’allevamento in gabbia.

La documentazione a sostegno del ricorso del Comitato dei Cittadini è già stata inviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Secondo il Comitato, la Commissione è venuta meno all’impegno, preso in risposta all’ICE End the Cage Age, di presentare entro il 2023 una legislazione per l’eliminazione graduale dell’uso delle gabbie dagli allevamenti europei.

“End the Cage Age” è stata la prima e finora l’unica ICE a ottenere dalle istituzioni UE un chiaro impegno formale. Inoltre, Il Comitato sottolinea come le ICE siano state introdotte con lo specifico intento di garantire ai cittadini dell’UE una maggiore influenza sui processi decisionali dell’Unione e come la retromarcia della Commissione rispetto al suo storico impegno comprometta proprio lo scopo di questo strumento democratico.

Nel 2021, la Commissione UE aveva assunto l’impegno formale a presentare una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti europei entro la fine del 2023. Una decisione in risposta al successo dell’ICE “End the Cage Age” che – con il sostegno di una coalizione di 170 associazioni coordinate da Compassion in World Farming (CIWF), di cui 20 italiane – aveva raccolto 1,4 milioni di firme certificate.

L’azione legale “End the Cage Age” presso la Corte di Giustizia UE, le cui spese sono sostenute da CIWF, è ora la prima a chiamare la Commissione a rispondere della propria inazione in merito a una ICE. Se la Corte di Giustizia Europea si esprimerà in favore del ricorso, la Commissione sarà obbligata a pubblicare la propria proposta legislativa, seguendo una tempistica chiara e ragionevole, e a rendere pubblico il proprio dossier sull’ICE “End the Cage Age”.

Annamaria Pisapia, una dei sette membri del Comitato dei Cittadini promotori dell’ICE “End the Cage Age”, afferma: “La Commissione europea aveva dato la sua parola alle cittadine e ai cittadini UE che avrebbe proposto un divieto dell’allevamento in gabbia. Con la sua retromarcia, non ha tradito solo le persone, ma anche i 300 milioni di animali che ogni anno soffrono in gabbia negli allevamenti dell’UE. Non esistono giustificazioni per ulteriori ritardi.”

Le associazioni italiane della coalizione End the Cage Age hanno dichiarato: “Il ricorso presentato dal Comitato dei Cittadini contro la Commissione ha il nostro pieno sostegno. È un’azione non solo in difesa degli animali ma rappresenta anche tutti quei cittadini e cittadine dell’UE che hanno sostenuto convintamente l’introduzione del divieto di allevamento in gabbia, ritenendo la ICE uno strumento democratico autentico, che avrebbe garantito loro maggior influenza sui processi decisionali dell’UE. Finora non è stato così, purtroppo, ma noi non ci diamo per vinti.”

Ancora oggi, infatti, oltre 300 milioni tra suini, galline, conigli, oche, vitelli, quaglie e anatre soffrono in gabbia all’interno degli allevamenti dell’Unione europea, vivendo una vita fatta solo di crudeltà e sofferenza. Nell’ottobre dello scorso anno, proprio l’Eurobarometro della Commissione Europea ha evidenziato che una schiacciante maggioranza di nove cittadini UE su dieci – circa 400 milioni di persone – ritiene che gli animali non debbano essere allevati in gabbie individuali. Anche i consulenti scientifici della Commissione, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), si sono espressi a favore della graduale eliminazione delle gabbie per motivi di benessere animale per suini, vitelli, galline ovaiole, quaglie, oche e conigli.

La Commissione stava per presentare la propria proposta legislativa per mettere fine all’allevamento in gabbia lo scorso autunno, quando la presidente Von der Leyen ha messo il tutto in pausa, molto probabilmente dietro le pressioni della lobby agricola. Un voltafaccia arrivato a discapito del fatto che i funzionari della Commissione avevano già completato tutti i preparativi e le valutazioni e consultazioni necessarie, e nonostante le proposte includessero un solido sostegno finanziario per assistere gli allevatori durante la transizione verso sistemi senza gabbie. Una misura, questa, che trova il favore delle associazioni di protezione animale, che ritengono che i sussidi pubblici dovrebbero essere reindirizzati per sostenere gli allevatori che transitano a sistemi più rispettosi del benessere animale e a coltivazioni vegetali, nel rispetto della natura e nell’interesse della società tutta.

Note
  • Il Comitato dei cittadini promotori dell’ICE “End the Cage Age” è composto da: Leopoldine Charbonneaux, Francia; Olga Kikou, Grecia; Malgorzata Szadkowska, Polonia; Romana Sonkova, Repubblica Ceca; Geert Laugs, Paesi Bassi; Annamaria Pisapia, Italia; e Mahi Klosterhalfen, Germania.
  • Un esempio delle sofferenze a cui sono sottoposti i millioni di animali allevati in gabbia: le scrofe sono costrette ad allattare i suinetti in gabbie così piccole da non potersi girare su loro stesse, i conigli e le quaglie trascorrono la vita in gabbie squallide e anguste, i vitelli trascorrono in box singolo le prime otto settimane della loro vita, dopo essere stati strappati alla loro madre, e le oche e anatre sono ingabbiate per essere sottoposte alla crudele pratica dell’alimentazione forzata per la produzione di foie gras.
  • Le associazioni italiane della coalizione End the Cage Age sono: Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, HSI/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus.

FINE

Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885

“I trofei di caccia sono nature morte del nostro tempo, oggetti simbolo del disprezzo per animali appartenenti a specie a rischio estinzione e la natura. Che queste fotografie possano rimanere impresse nelle menti di coloro che hanno la responsabilità politica di proteggere le specie animali a rischio di estinzione” l’appello di Humane Society International/Europe e delle parlamentari Brambilla e Bevilacqua, sostenitrici dell’iniziativa

Humane Society International / Europa


HSI Natura morta. In consegna. Il macabro business della caccia al trofeo negli scatti di Britta Jaschinski

ROMA—La mostra fotografica Natura Morta. In Consegna. apre oggi le sue porte al pubblico per esporre il macabro business della caccia al trofeo attraverso gli scatti suggestivi di Britta Jaschinski, fotografa pluripremiata e co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™, nella prestigiosa cornice di Palazzo Valdina, sede della Camera dei Deputati, a Roma. Organizzata da Humane Society International/Europe con il patrocinio dell’On. Michela Vittoria Brambilla, Presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, l’esposizione è stata inaugurata alla presenza di rappresentati della stampa e delle istituzioni con un panel moderato da Diana Letizia,  Direttrice editoriale di Kodami, durante il quale hanno preso la parola l’On. Brambilla, la Sen. Dolores Bevilacqua, la fotografa Britta Jaschinski e Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, creando un momento di riflessione e sensibilizzazione sul tema della caccia al trofeo.

La mostra, organizzata in sostegno alla campagna #NotInMyWorld, si propone di accelerare l’introduzione in Italia di un divieto di importazione ed esportazione dei trofei di caccia, al fine di proteggere animali appartenenti a specie a rischio di estinzione, come l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone africano, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare, e preservare la biodiversità globale. I trenta scatti esposti saranno visionabili dal 12 al 21 marzo 2024, offrendo ai visitatori l’opportunità di immergersi nella tragica realtà della caccia al trofeo, osservare la trasformazione degli animali in oggetti – da apribottiglie a posacenere –, esplorare le implicazioni di questa pratica su animali, ambiente e comunità locali e lanciare l’appello per azioni concrete per la sua cessazione. Corpi, pelli, zampe e teste dagli sguardi oramai vacui, irrigiditi nell’immobilità della morte. Non più animali, ma oggetti, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. Sono nature morte del nostro tempo, dei secoli XIX-XXI. Questa l’essenza degli scatti di Britta Jaschinski esposti alla mostra Natura morta. In consegna., che, come lascia intendere il titolo, evocano il parallelismo tra l’uccisione e la reificazione di animali appartenenti a specie minacciate e a rischio di estinzione e l’idea classica di “natura morta”, ovvero la raffigurazione, normalmente pittorica, di oggetti inanimati, tra i quali anche bottini venatori.

L’On. Brambilla, madrina della mostra e promotrice di una proposta di legge per vietare l’importazione, l’esportazione e la ri-esportazione dei trofei di caccia delle specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), depositata alla Camera dei Deputati, ha affermato: “Gli scatti di Britta Jaschinski ritraggono animali trasformati in oggetti, ma anche, indirettamente, la psiche di chi pensa, in questo modo, di appropriarsi della loro “magia”. La caccia al trofeo è francamente una vergogna, alla quale occorrerebbe porre termine senza indugio. L’approvazione della proposta di legge che ho presentato metterebbe l’Italia sulla strada giusta, quella del divieto di importazione ed esportazione, già battuta da altri Paesi europei, per garantire la conservazione di un inestimabile patrimonio naturale a beneficio delle future generazioni.”

Una proposta di legge in tal senso è stata presentata anche al Senato della Repubblica dalla Sen. Bevilacqua che durante il panel di apertura ha sottolineato: “Numerosi paesi europei, come Francia, Paesi Bassi, Finlandia e Belgio, hanno adottato o stanno discutendo un divieto di importazione di trofei di caccia di specie a rischio estinzione. Anche in Italia dobbiamo discuterne, per questo sono felice che la proposta di legge presentata dal M5S nella scorsa legislatura alla Camera, sia stata riproposta grazie all’Intergruppo per i diritti animali. Serve però portare avanti il tema anche a livello UE, proprio alla luce dell’adozione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione che chiede appunto il divieto di importazione di trofei di caccia delle specie minacciate. Auspico, quindi, che tutti i candidati alle prossime elezioni europee esprimano la propria sensibilità al riguardo: per quanto riguarda il M5S ci impegneremo a continuare a lavorare per un divieto nazionale ed europeo.”

Nel decennio tra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato trofei di caccia provenienti da oltre 27.000 animali appartenenti a specie protette dalla CITES, posizionandosi come il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti d’America. I dati sulle importazioni di trofei di caccia dimostrano il coinvolgimento dell’Italia in questa macabra industria. Tra il 2014 e il 2022, l’Italia ha infatti importato 492 trofei di caccia provenienti da mammiferi protetti dalla CITES, come ippopotami, rinoceronti neri, elefanti africani, leoni, leopardi, ghepardi, giaguari, orsi polari e tante altre specie.  La caccia al trofeo non contribuisce positivamente alla conservazione, anzi, minaccia la sopravvivenza di intere popolazioni animali. Per la natura competitiva di questa pratica, l’obiettivo dei cacciatori di trofei è uccidere animali che presentano determinate caratteristiche fisiche: gli elefanti dalle zanne più imponenti, i leoni dalla criniera più folta e scura, i rinoceronti dai corni più sviluppati. Si tratta, spesso, di individui adulti, in età riproduttiva ed essenziali per il benessere e la stabilità dei gruppi sociali e degli ecosistemi in cui vivono.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe ha commentato: “In Italia, nonostante il 74% della popolazione sia chiaramente a favore di un divieto di importazione dei trofei di caccia di animali appartenenti a specie a rischio di estinzione, questa pratica rimane legale. È essenziale che il Governo italiano dia ascolto alla volontà dei suoi cittadini. La collocazione di questa mostra, infatti, non è affatto casuale; queste foto devono servire da monito per accelerare il processo legislativo di adozione delle proposte di legge già sul tavolo alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Mettere un freno a questa pratica crudele e anacronistica non è solo un imperativo etico ma anche la risposta adeguata al mandato del Parlamento Europeo che, nel 2022, ha richiesto un divieto sulle importazioni di trofei. È arrivato il momento per l’Italia di schierarsi dalla parte della conservazione della fauna selvatica e di agire con responsabilità per proteggerla. È inaccettabile che si possano trasformare leoni, elefanti, rinoceronti in tappeti, sgabelli e portapenne.”

La mostra sarà aperta al pubblico dal 12 al 21 marzo 2024, presso la Camera dei Deputati – Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma, da lunedì a venerdì, dalle ore 11:00 alle 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00), entrata libera.

Ulteriori informazioni sulla mostra.

Foto della mostra e dell’inaugurazione.

Cronologia dell’attività politica in Italia:

Divieti di importazione dei trofei di caccia in altri paesi:

  • Il Belgio, tredicesimo maggior importatore di trofei di caccia di specie protette a livello internazionale in Europa, ha vietato l’importazione di trofei di caccia a gennaio 2024.
  • Nel maggio 2016, i Paesi Bassi hanno istituito un divieto all’importazione di trofei di caccia per oltre 200 specie elencate nell’Allegato A del Regolamento europeo 338/97 sulla protezione delle specie della fauna e flora selvatiche, nonché specie in pericolo di estinzione. Il divieto di importazione si applica anche alle seguenti specie dell’Allegato B: rinoceronte bianco, ippopotamo, muflone (pecora selvatica del Caucaso), leone e orso polare. Il divieto di rilascio di permessi di importazione coinvolge complessivamente 200 specie animali.
  • La Francia ha implementato un divieto all’importazione di trofei di caccia di leone nel 2015. Nel 2023, una proposta di legge volta a “fermare il rilascio di permessi di importazione per trofei di caccia di alcune specie in via di estinzione” è stata presentata.
  • Le importazioni di trofei di caccia in Finlandia sono state limitate nel giugno 2023. La nuova Legge sulla Conservazione della Natura include una disposizione che vieta l’importazione di singoli animali o delle loro parti per le specie più minacciate al mondo, minacciate dal commercio internazionale come trofei provenienti da paesi al di fuori dell’UE.
  • In Germania, la Ministra dell’Ambiente, Steffi Lemke, ha annunciato l’intenzione di limitare l’importazione di trofei di caccia da specie animali protette. Nel 2022, la Germania ha terminato la sua adesione all’International Council for Game and Wildlife Conservation, un gruppo a favore della caccia al trofeo, nel 2022.

FINE

Contatto: Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia/Germania: emheinen@hsi.org; 3338608589

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