“La moda è una questione di gusto. La crudeltà no!”

Humane Society International


HSI

ROMA—“Questo Black Friday impegnati a non comprare e indossare pellicce” è lo statement che Humane Society International (HSI) invita tutti gli influencer e fashionista consapevoli a fare e postare sui propri profili social, in occasione del Black Friday, il prossimo 26 novembre. La campagna digitale, lanciata in Italia, Germania, Polonia e Romania, invita a sottoscrivere un impegno individuale che non riguarda solo gli acquisti imminenti, a prezzi scontati, di capi che possono contenere vera pelliccia, ma che è anche un appello morale ed etico a schierarsi a favore di un’Italia 100% fur-free, guardando oltre agli effimeri trend della moda.

Il Black Friday è una delle più importanti giornate dello shopping a livello mondiale, e di conseguenza anche per il Fur-Free Friday, iniziato negli anni ‘80, negli Stati Uniti, e diventato un movimento globale nel primo decennio del 21° secolo. In centinaia di località in tutto il mondo, le organizzazioni che lottano per la protezione degli animali si mobilitano, organizzando iniziative e azioni per portare l’attenzione sul tema.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International afferma: “Con questa campagna vogliamo sensibilizzare sul fatto che la crudeltà nei confronti degli animali è spesso una conseguenza diretta della domanda dei consumatori. Prestare attenzione alla provenienza di ciò che si compra, soprattutto in questo periodo di acquisti spensierati dettati da offerte speciali e sconti, è un’azione importante per eliminarla. Le vite crudeli e le morti inutili di milioni di animali senzienti sono dovute ai dettami della moda. È ora di cambiare tutto questo. Invitiamo tutti a prendere posizione e schierarsi dalla parte degli animali, lasciando la pelliccia sugli scaffali e acquistando solo capi di designer e rivenditori che hanno scelto la compassione.”

La campagna mira a sensibilizzare i consumatori e coloro che li indirizzano agli acquisti sui social, sul fatto che la sofferenza non è di tendenza. Con il calo della domanda, diminuisce anche l’offerta di un settore fortunatamente già in declino, anche in Italia dove ad oggi si contano 10 allevamenti attivi di visoni (5 dei quali con animali) contro i 125 di una trentina di anni fa. Come evidenziato dallo studio  “L’allevamento di visoni in Italia: Mappatura e prospettive future”, realizzato per HSI/Europe dalla società di consulenza e ricerca specializzata Studio COME S.r.l., nel settembre 2021, il prezzo medio delle pelli di visone scambiate all’asta di Copenaghen, la più importante del mondo, è risultato minore di €30/pelle, un terzo di quello pagato nel 2019, pari a €90/pelle.

Ancora oggi, nel mondo, circa 100 milioni di animali vengono allevati e uccisi per la loro pelliccia. Oltre il 95% delle pellicce vendute provengono da animali selvatici allevati in sistemi intensivi. Mentre altri sono catturati e cacciati in natura con trappole e metodi crudeli. Visoni, volpi, cani procione, cincillà sono le vittime silenziose di un’industria superflua che produce non solamente le tradizionali pellicce ma si insidia anche in altri capi con finiture e inserti di pelo vero: giacche con cappuccio e cappellini col pompon, guanti, scarpe e altri indumenti e accessori sono solo alcuni esempi della triste fine riservata a questi animali, per lucro e vanto.

Ad oggi, 1.572 retailer e rivenditori di moda hanno aderito al movimento, eliminando le pellicce dalle proprie collezioni e dagli scaffali, riconoscendo che la pelliccia è un prodotto superato. La moda è una questione di gusto. La crudeltà no!

Link per scaricare i visual della campagna (creare account per il download)

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Dai 125 allevamenti del 1990 ai 10 ancora aperti nel 2021, 5 senza animali a causa del COVID-19

Humane Society International


Kristo Murrimaa/Oikeutta Elaimille

ROMA—Dalla sospensione dell’attività alla chiusura definitiva degli allevamenti di animali da pelliccia. E’ questo l’obiettivo dell’emendamento alla legge di bilancio annunciato oggi dall’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, nella sala stampa della Camera dei deputati, dove l’ex ministro e la direttrice per l’Italia di Humane Society International, Martina Pluda, hanno presentato lo studio “L’allevamento di visoni in Italia: Mappatura e prospettive future”, realizzato per HSI/Europe dalla società di consulenza e ricerca specializzata Studio COME S.r.l.. Il rapporto contiene un approfondimento sullo stato attuale degli allevamenti di visoni in Italia e proposte per favorire il superamento e la riconversione di questa attività, eticamente inaccettabile, incompatibile con il benessere animale, pericolosa per la salute umana, dannosa per l’ambiente e ormai di dimensione e rilevanza ridotte in Italia.

Lo studio, infatti, evidenzia che:

  • Nel 2021 in Italia sono ancora attivi 10 allevamenti di visoni (per un totale di meno di 30.000 visoni), di cui 5 attualmente senza animali a causa dell’emergenza COVID-19. Una trentina di anni fa, in Italia, gli allevamenti di visoni erano 125.
  • Almeno la metà degli allevamenti ancora aperti già prevede altre attività (coltivazioni di fiori, coltivazione di ortaggi, attività di ristorazione connesse alle aziende agricole, produzione di energia elettrica) e quattro prevedono un’attività principale differente da quella dell’allevamento di visoni.
  • Gli addetti ai 10 allevamenti, come si desume dalle visure camerali, sono in tutto 14.
  • Nel settembre 2021, il prezzo medio delle pelli di visone scambiate all’asta di Copenaghen, la più importante del mondo, è risultato minore di €30/pelle, un terzo di quello pagato nel 2019, pari a €90/pelle.
  • I ricavi annuali (al lordo dei costi di produzione) degli allevatori italiani di visone possono essere stimati tra 550.000 e 800.000 euro l’anno e, qualora interamente esportati, risulterebbero contribuire all’export della filiera italiana per una percentuale di circa lo 0,15%.
  • L’impatto ambientale della produzione di una pelliccia di visoni risulta circa sei volte superiore rispetto alle pellicce artificiali.

L’emendamento che l’Intergruppo per i Diritti degli animali presenterà alla legge di bilancio prevederà entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, il divieto di allevamento di animali per il solo scopo di ricavarne pellicce e immediatamente il divieto di riproduzione, con indennizzi calcolati sul numero dei capi presenti, sul fatturato e sulle spese per la demolizione/riconversione. Gli allevatori potranno anche chiedere di accedere ai fondi del PNRR per l’agrivoltaico e l’agricoltura circolare.

Martina Pluda, relatrice in sede e Direttrice per l’Italia di Humane Society International, ha dichiarato: “Dall’aprile 2020 focolai di COVID-19 sono stati documentati in oltre 400 allevamenti di visoni in 12 paesi d’ Europa e del Nord America, due dei quali in Italia. L’unico provvedimento utile e necessario per tutelare gli animali e le persone è il definitivo divieto di allevamento di animali da pelliccia. Incoraggiamo l’Italia a seguire l’esempio di molti altri paesi europei e a mettere la salute pubblica prima dell’esigua rilevanza commerciale di questa industria. È ora di intraprendere un’azione coraggiosa e concreta per riconvertire gli ultimi allevamenti di visoni italiani verso attività in linea con le opportunità e gli obiettivi di transizione ecologica e sostenibilità ambientale.”

L’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, ha dichiarato: “Dal 23 novembre 2020 l’attività degli allevamenti di visoni è stata sospesa, con ordinanze del ministero della Salute, fino a tutto il 2021 per la presenza del virus SARS-Cov2 in due allevamenti. In prossimità della scadenza, riteniamo che vi siano tutte le ragioni per rendere definitiva la chiusura”.

Si tratta di una scelta etica, auspicabile per la salute umana, responsabile nei confronti dell’ambiente e sostanzialmente indifferente per la nostra economia, anzi, per la stessa filiera della pellicceria italiana. Solidi motivi per seguire senza indugio l’esempio dei Paesi europei che hanno già preso da tempo questa decisione o la stanno formalizzando: Regno Unito, Austria, Paesi Bassi, Slovenia, Polonia e da ultimo Irlanda e Francia, dove l’orientamento assunto dalla commissione bicamerale competente è per la chiusura immediata. Da tre legislature propongo di chiudere gli allevamenti di animali da pelliccia. Non sono mai stata ascoltata, le mie proposte sono rimaste in archivio (l’ultima è l’AC 99). La pandemia e l’approvazione del PNRR hanno modificato profondamente la situazione”.

A questo punto”—concludono la presidente di LEIDAA e la direttrice di HSI in Italia—“chi volesse opporsi alla chiusura dovrà spiegare all’opinione pubblica perché tenere aperti allevamenti condannabili dal punto di vista etico, pericolosi per la salute, dannosi per l’ambiente, già vietati da molti partner europei, il cui contributo all’economia nazionale è trascurabile e la cui riconversione è finanziabile con risorse mai così abbondanti”.

Per scaricare le foto della conferenza stampa (creare account per il download):
https://newsroom.humanesociety.org/fetcher/index.php?searchMerlin=1&searchBrightcove=1&submitted=1&mw=d&q=RomePressConference1121

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Contatti:
Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Itali: emheinen.hsi@gmail.com, 349.5878113

Martina Pluda, Direttrice per l‘Italia: mpluda@hsi.org, 371.4120885

Teschi, zampe, orecchie, artigli, ossa, pelli e corpi interi di animali imbalsamati, compresi quelli di specie minacciate e in via di estinzione—questi i risultati della brutale caccia al trofeo.

Humane Society International


The HSUS

ROMA—Una recente e scioccante indagine sotto copertura, condotta nello stato americano dell’Iowa, da Humane Society of the United States (HSUS) e Humane Society International (HSI) ha svelato un triste risvolto dell’industria della caccia al trofeo. Il video documenta un macabro evento, della durata di quattro giorni, in cui migliaia di animali imbalsamati (tra cui almeno 557 trofei di mammiferi messi in vendita dai loro uccisori o proprietari, non più interessati ad averli) sono stati venduti al miglior offerente. Uno scenario orribile di casse e scaffali pieni di trofei, alcuni ottenuti da animali appartenenti a specie a rischio e in via di estinzione come elefanti, orsi polari, giraffe e ippopotami. C’erano inoltre innumerevoli trofei di animali appartenenti alla fauna selvatica americana come orsi grizzly, orsi neri e leoni di montagna.

Tra i grotteschi oggetti c’erano decorazioni per la casa come tavoli e lampade realizzati con zampe e zoccoli di giraffa e di elefanti africani, nonché circa 50 tappeti ricavati dalle pelli di orsi neri, orsi grizzly, zebre, lupi e leoni di montagna. L’investigatore ha riportato inoltre di aver visto mucchi di denti di ippopotamo, di ossa e zampe di giraffa e una scatola polverosa etichettata “orecchie e pelle di elefante”.

Kitty Block, CEO di HSUS e di HSI afferma: “Il fatto stesso che specie di animali selvatici minacciate e in via di estinzione vengano uccise per divertimento è una realtà raccapricciante. È inconcepibile che vegano poi ridotti a macabri e ormai indesiderati souvenir che finiscono accantonati e spolverati solamente per essere venduti ad una fiera come questa.”

L’investigatore sotto copertura ha inoltre scoperto la provenienza della maggior parte dei trofei: da cacciatori intenzionati a dismettere una parte o la totalità delle proprie collezioni, o da famiglie che hanno ricevuto questi orrendi oggetti in eredità. Uno degli addetti dell’asta ci ha confidato: “Gli agenti immobiliari consigliano ai proprietari di case di buttare via quelle creature morte”, per non svalutare le case in vendita.

I trofei battuti a quest’asta includono:

  • Quattro piedi di elefante africano trasformati in tavoli con piani in pelle di elefante. Secondo l’IUCN, l’elefante della savana africana è in pericolo e l’elefante africano della foresta è in pericolo critico.
  • Due zampe di elefante cave che gli organizzatori dell’asta hanno suggerito poter essere usate come “un bel bidone della spazzatura”.
  • Un orso polare (classificato come “vulnerabile” dall’IUCN) con una foca dagli anelli sono stati venduti per $26.000, il prezzo più alto battuto durante l’asta.
  • Quattro zampe di giraffa trasformate in un set con tavolino da caffè e lampada da terra.
  • Uno scatolone di cartone etichettato “orecchie e pelle di elefante”.
  • Due teschi e tre corpi interi di giraffa (classificata come “vulnerabile” dall’IUCN), tra i quali un cucciolo pubblicizzato come “della dimensione perfetta per qualsiasi stanza della casa”, venduti per $ 6.200.
  • Ossa di giraffa proposte come “ottime per l’artigianato”.
  • Due serie di denti, un teschio e due teste imbalsamate di ippopotamo (classificato “vulnerabile” IUCN) .
  • Puledri di zebra imbalsamati, sei pelli e tappeti di zebra di cui uno di puledro e diverse teste per “esposizione da tavolo”.
  • Sei scimmie, tra cui un cercopiteco impagliato con in mano una bottiglia di birra.
  • Due babbuini neonati e un adulto.
  • 49 orsi di cui cinque cuccioli e una coppia madre-cucciolo.
  • 18 tappeti realizzati con le pelli di orsi grizzly o orsi neri.
  • Artigli d’orso promossi come “ottimi per la realizzazione di gioielli o l’artigianato”.
  • Sette linci, di cui due fatte a tappeto.
  • Quattro lupi, inclusi due fatti a tappeto.
  • Otto leoni di montagna, inclusi due fatti a tappeto.

Anche l’Europa e l’Italia fanno parte di questo macabro commercio. Secondo un nuovo rapporto di HSI/Europe, l’UE è il secondo importatore di trofei di caccia al mondo, dopo gli Stati Uniti, con quasi 15.000 trofei di caccia di 73 specie protette a livello internazionale, importati tra il 2014 e il 2018. In particolare, l’Italia è il primo importatore UE di trofei di ippopotamo (145) e il quarto più grande importatore di trofei di leoni africani di origine selvatica. Inoltre, il nostro paese ha svolto un ruolo significativo a livello UE nel commercio di trofei di elefanti africani, essendo il quinto importatore UE di questa specie.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe dichiara: “La depravazione che sta alla base della caccia ai trofei è evidente ed è ancora più triste vedere come vengono mercificati questi poveri animali morti, una volta splendide creature. La terribile verità è che anche in Italia circolano trofei di caccia di specie minacciate e in via di estinzione a causa della mancanza di un divieto di importazione, esportazione e riesportazione di questi trofei che permetterebbe al nostro Paese di dare un contributo significativo per fermare questo spargimento di sangue. Con una petizione (hsi.org/bastacacciaaltrofeo) esortiamo l’Italia ad agire a protezione di tutte le specie che vengono cacciate per divertimento e trasportate da e verso il nostro Paese per essere trasformate in macabri oggetti.”

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Contatti:
Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia: emheinen.hsi@gmail.com, 349.5878113
Martina Pluda, Direttrice per l‘Italia: mpluda@hsi.org, 371.4120885

Humane Society International


Mastrodomenico Simone/Mai Tai

ROMA—Turisti e romani sono rimasti sorpresi di vedere sagome di rinoceronti ed elefanti, a grandezza quasi naturale, sfilare ieri nelle vie e piazze più note della capitale. Si è trattato di una street action di Humane Society International—Europe per sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sul Governo italiano ad agire contro la caccia al trofeo. Partendo dalla Fontana di Trevi, la sfilata ha proseguito per il centro di Roma, passando davanti al Colosseo e al Pantheon fino ad arrivare a Castel Sant’Angelo, fermandosi nei pressi delle istituzioni politiche di maggiore rilevanza per la campagna.

Dal report recentemente pubblicato da HSI/Europe è emerso che, tra il 2014 e il 2018 l’UE ha importato quasi 15.000 trofei di caccia di 73 specie protette a livello internazionale, diventando così il secondo importatore di trofei di caccia al mondo dopo gli Stati Uniti. Tra il 2014 e il 2020, l’Italia ha importato 437 trofei di caccia provenienti da specie protette a livello internazionale. Per questo motivo, HSI/Europe ha lanciato una petizione (hsi.org/bastacacciaaltrofeo) per chiedere all’Italia di introdurre un divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione dei trofei di tutte le specie minacciate o in pericolo di estinzione.

“Tu da che parte stai?” è lo slogan riportato sulle sagome di elefante e rinoceronte, invitando le persone a schierarsi, anche fisicamente, a lato degli animali liberi in natura e contro quelle pratiche che li vedono impallinati, imbalsamati, imballati e in consegna come trofei di caccia.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International ha dichiarato: “Con questa street action abbiamo voluto rendere visibili i maestosi e altresì minacciati animali che si celano dietro ai macabri trofei di caccia. Oltre alla crudeltà, mentre il mondo sta affrontando una crisi della biodiversità, è irresponsabile consentire alle élite ricche di sparare alle specie in pericolo di estinzione per puro piacere. La stragrande maggioranza degli italiani ha già scelto da che parte stare: quella degli animali. È ora che anche i governi, non solo dell’Italia ma di tutti i paesi dell’UE, si schierino dalla parte giusta. Un divieto d’importazione dei trofei in più paesi dell’UE aiuterebbe efficacemente a fermare questa insensata uccisione. Pertanto, chiediamo all’Italia di introdurre un divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione dei trofei di tutte le specie che vengono cacciate per divertimento.”

Poter importare in Italia e portarsi a casa i trofei è ciò che motiva questi cacciatori. A livello UE, il nostro paese è il primo importatore di trofei di ippopotami e il quarto importatore di trofei di leoni africani di origine selvatica. Inoltre, l’Italia ha svolto un ruolo significativo nel commercio di trofei di elefanti africani, essendo il quinto importatore UE di questa specie. L’importazione dei trofei di caccia è tuttora legale, nonostante un recente sondaggio ha mostrato che l’86% degli italiani intervistati si oppone alla caccia al trofeo di tutti gli animali selvatici e il 74% è a favore di un divieto di importazione di trofei di caccia nel nostro Paese.

Questa street action a Roma è la più recente attività della campagna internazionale Impallinati. Imbalsamati. Imballati. In consegna? #NotInMyWorld, lanciata a settembre da Humane Society International – Europe. Con una presenza in diversi luoghi strategici, come su 7 maxischermi alle stazioni di Roma Termini, Roma Tiburtina e Milano Centrale e alcune delle principali testate digitali e piattaforme social, l’organizzazione per la protezione degli animali, vuole avvicinare cittadini e decisori politici ad una problematica spesso considerata priva di collegamenti con l’Italia.

Video e foto della street action sono disponibili al seguente link (creare account per il download)

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Appello ai leader mondiali: è una bomba a orologeria

Humane Society International


La consegna della petizione #StopDeadlyFur in italia
Martina Pluda/HSI La consegna di 880.457 firme sulla petizione #StopDeadlyFur in italia

ROMA—In vista del Summit del G20 che si terrà a Roma a fine mese, sono state consegnate le firme di quasi 900.000 persone, raccolte dalla Fur Free Alliance, che esortano i leader mondiali a porre definitivamente fine all’allevamento di animali da pelliccia per fermare i casi di infezione da SARS-CoV-2 e prevenire future pandemie zoonotiche. In una lettera ai leader del G20, la coalizione globale di organizzazioni animaliste ha sottolineato la necessità di un’azione concreta e immediata: si sono registrati 446 focolai di SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni in Olanda, Danimarca, Polonia, Lituania, Grecia, Spagna, Svezia, Francia, Italia, Lettonia, Stati Uniti e Canada, con il più recente focolaio in Spagna questa settimana.

Un numero elevato di esperti ha espresso gravi preoccupazioni sui rischi per la salute umana posti del commercio di pellicce. Il rapporto pubblicato lo scorso novembre dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (ECDC) ha avvertito che l’evoluzione del virus nei visoni potrebbe minare l’efficacia dei vaccini negli esseri umani, e che “la trasmissione continua del virus SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni potrebbe dare origine ad altre varianti preoccupanti“. A marzo di quest’anno, l’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE) ha concluso che le pelli di visone grezze non possono essere considerate una merce sicura per il commercio internazionale.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International che ha consegnato a membri della delegazione italiana del G20 le firme a nome della coalizione, ha dichiarato: “I governi non possono affrontare la crisi da Covid-19 che ha colpito gli allevamenti di visoni semplicemente monitorando i focolai e permettendo agli allevatori di continuare a svolgere le loro attività come al solito. Le condizioni spaventose all’interno degli allevamenti di animali da pelliccia li rendono una bomba a orologeria per lo sviluppo e la diffusione di malattie pandemiche. Gli esperti avvertono che è solo una questione di tempo prima che un altro virus mortale dilaghi se continueremo a tenere gli animali in questo modo, innaturale e crudele. Ora, anche centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno espresso la loro volontà, chiedendo ai leader del G20 di riconoscere pubblicamente che è necessario porre fine all’allevamento di animali da pelliccia, come una delle strategie necessarie per uscire dalla crisi pandemica.”

Quattordici paesi tra cui il Regno Unito, i Paesi Bassi, l’Ungheria e la Lituania hanno già agito per vietare l’allevamento di animali da pelliccia, e questa pratica è attualmente sospesa in Danimarca, Italia e Svezia. Tuttavia, molti paesi in Europa, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti continuano ad allevare in sistemi intensivi decine di milioni di volpi, visoni e cani procione, specie particolarmente suscettibili ai coronavirus. Questi animali passano tutta la loro vita confinati in gabbie metalliche molto piccole, che non solo causano loro immense sofferenze, ma rappresentano anche un grave rischio per la salute pubblica. Le condizioni di ammassamento in cui vivono, la scarsa igiene, lo stress, le ferite, le malattie, le cure veterinarie insufficienti e la mancanza di diversità genetica fanno sì che gli allevamenti di animali da pelliccia creino le condizioni ideali per la trasmissione e la mutazione dei virus, creando nuovi ceppi.

Una ricerca condotta nei Paesi Bassi utilizzando il sequenziamento dell’intero genoma, ha rivelato che almeno 66 persone che lavoravano negli allevamenti di visoni sono state infettate dal virus SARS-CoV-2 in rari, ma preoccupanti, casi di trasmissione della malattia da animale a uomo. Il rapporto preliminare, pubblicato nel febbraio 2021, di un focolaio di SARS- CoV-2 nei visoni e negli allevatori in Danimarca, ha concluso che il 19% delle persone identificate come collegate agli allevamenti di visoni si sono infettate, con circa 4.000 casi di persone contagiate da una variante dei visoni.

Foto della consegna delle firme al G20.

Foto e video delle condizioni di scarso benessere negli allevamenti di animali da pelliccia (creare account per il download):

  • Investigazione HSI in un allevamento cinese di animali da pelliccia, dicembre 2020
  • Investigazione HSI in un allevamento finlandese di animali da pelliccia, novembre 2019

ALCUNI DATI:  

  • Dall’aprile 2020, focolai di Covid-19 sono stati documentati in 446 allevamenti di visoni in 12 diversi paesi d’Europa e del Nord America, tra cui Canada (3 allevamenti), Danimarca (290 allevamenti), Francia (1 allevamento), Grecia (25 allevamenti), Italia (2 allevamenti), Lettonia (1 allevamento), Lituania (4 allevamenti), Olanda (69 allevamenti), Polonia (3 allevamenti), Spagna (17 allevamenti), Svezia (14 allevamenti) e Stati Uniti (17 allevamenti).
  • Ogni anno, più di 100 milioni di animali, tra cui visoni, volpi, cani procioni, cincillà e conigli, vengono uccisi per la loro pelliccia in tutto il mondo. Ciò equivale a tre animali uccisi al secondo per la loro pelliccia.
  • L’allevamento di animali da pelliccia è stato proibito e/o è in fase di dismissione in numerose nazioni europee come Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Estonia, Lussemburgo, Macedonia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Anche Bulgaria, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Montenegro, Spagna e Ucraina stanno considerando di introdurre dei divieti.
  • All’inizio di quest’anno Israele è diventato il primo paese al mondo a vietare la vendita di pellicce. Negli Stati Uniti, la California è stata il primo stato americano a vietare la vendita di pellicce nel 2019, dopo divieti simili in città come Los Angeles, San Francisco, Berkeley e West Hollywood.

FINE

Contatto: Martina Pluda: Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

Il coniglietto animato, già fenomeno virale, Ralph sarà al centro di una campagna europea di Humane Society International contro i test sugli animali

Humane Society International


Riccardo De Luca/AP Images for The Humane Society

ROMA–Save Ralph, l’acclamato “mockumentary” che segue le vicende della cavia Ralph, animato con la tecnica della stop-motion, ha vinto il premio come miglior corto d’animazione al Roma Creative Contest, il Festival Internazionale di Cortometraggi di Roma. La cerimonia di premiazione si è svolta sabato 25 settembre al Teatro Palladium di Roma. A nome di Humane Society International, che ha co-prodotto il cortometraggio, il premio è stato ritirato dai rappresentanti italiani dell’organizzazione, che ha ringraziato gli organizzatori e la giuria del festival per questo importante riconoscimento, il primo in Europa.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International ha dichiarato: “È veramente un onore accettare questo premio a nome di Humane Society International e di tutti coloro che hanno lavorato per dare vita a Ralph e al suo mondo. Vorrei ringraziare in particolar modo lo sceneggiatore e regista di Save Ralph, Spencer Susser, per la sua visione, passione e il suo impegno. È un prezioso partner e amico di Humane Society International. Insieme abbiamo unito le forze per realizzare Save Ralph che è il punto cardine della campagna globale di Humane Society International per porre fine ai test cosmetici sugli animali. Spencer ha dato a Ralph una voce per parlare a nome degli animali che come lui soffrono nei laboratori di tutto il mondo. Voleva davvero che il pubblico empatizzasse con Ralph e agisse, firmando la nostra petizione per porre fine ai test cosmetici sugli animali.”

Save Ralph, uscito nell’aprile 2021, è scritto e diretto da Spencer Susser in collaborazione con Humane Society International e gli Arch Model Studios del modellista Andy Gent. Oltre a Taika Waititi nel ruolo di Ralph, le voci sono quelle di Ricky Gervais, Zac Efron, Olivia Munn, Pom Klementieff e Tricia Helfer. Save Ralph è diventato un fenomeno virale che ha generato oltre quattro milioni di firme su petizioni che chiedono di vietare i test cosmetici sugli animali, 150 milioni di visualizzazioni sulle diverse piattaforme social e 740 milioni di visualizzazioni su TikTok. Negli Stati Uniti è stato acclamato dalla critica ed ha già vinto numerosi premi. È in concorso in diversi festival di cortometraggi in Europa e nel mondo, tra cui quattro di qualifica per gli Oscar.

Il film segue la routine quotidiana di Ralph, un coniglietto usato come cavia di laboratorio e portavoce della campagna #SaveRalph di Humane Society International. La triste tematica dei test cosmetici sugli animali viene affrontata in un modo inaspettato, utilizzando la storia di un coniglio per far luce sulla situazione di innumerevoli altri animali che soffrono nei laboratori di tutto il mondo, e coinvolgendo gli spettatori affinché aiutino a vietare questa pratica. La campagna ha già condotto a progressi nelle discussioni politiche in Brasile e in Cile. Inoltre, all’inizio del mese, ha spinto il Messico a diventare il primo paese del Nord America a vietare i test cosmetici sugli animali, grazie alle firme di oltre 1,3 milioni di persone che si sono attivate dopo aver visto il film. In Europa, Ralph sarà presto protagonista di una nuova campagna di Humane Society International per contrastare l’attuale minaccia al divieto sugli esperimenti cosmetici sugli animali e per spingere le istituzioni europee a sviluppare un piano d’azione per eliminare gradualmente tutti gli esperimenti sugli animali.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International ha sottolineato: “Il prestigioso riconoscimento da parte del Roma Creative Contest ci aiuterà ad amplificare il messaggio di Ralph e a mettere la questione dei test cosmetici sugli animali al centro dell’attenzione pubblica nell’Unione Europea, in un momento in cui il divieto attualmente in vigore è seriamente minacciato da parte dei regolatori sulle sostanze chimiche europei.”

Foto e video della cerimonia di premiazione di sabato 25 settembre al Teatro Palladium (creare account per il download)

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Contatto: Martina Pluda: 3714120885; mpluda@hsi.org

“Smettete di ignorare la verità” è il loro appello al presidente della COP26 Alok Sharma

Humane Society International


dhughes9/iStock.com 

ROMA/LONDRA—Alcune delle più grandi celebrità del mondo, tra cui Martin Freeman, Moby, Billie Eilish, Joaquin Phoenix, Alan Cumming, Alicia Silverstone, Leona Lewis, Lily Cole e Stephen Fry, si sono mobilitate per il clima. In una lettera congiunta a Alok Sharma, presidente della 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow questo novembre, hanno chiesto che si smetta di ignorare l’allevamento di animali a fini alimentari quale catastrofico colpevole del cambiamento climatico e che venga invece messo all’ordine del giorno della COP26. La lettera è stata inviata a sostegno della campagna #TheCowInTheRoom, lanciata dal ramo inglese dall’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International.

Ogni anno, a livello globale, più di 88 miliardi di animali terrestri sono allevati e macellati a scopo alimentare. Le stime indicano che l’allevamento intensivo è responsabile per il 14.5%—16.5% delle emissioni di gas serra antropiche a livello globale, alla pari con i livelli di emissioni dell’intero comparto dei trasporti. Nonostante sia uno dei settori che maggiormente contribuisce al cambiamento climatico, la produzione di animali a fini alimentari non è all’ordine del giorno della COP26; non rientra tra le priorità nelle discussioni sulla mitigazione del cambiamento climatico.

Gli studi dimostrano che ridurre il consumo di carne e latticini è una delle azioni di maggiore impatto che ogni individuo può intraprendere per evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. Con questa lettera, firmata anche dall’attrice di Star Wars Daisy Ridley, dalla cantautrice Alesha Dixon, dal naturalista Chris Packham, dall’imprenditrice e investitrice di Dragons Den Deborah Meaden, dall’attrice Evanna Lynch, dal cantautore e produttore discografico Finneas O’Connell, dal cantante e chitarrista dei Vamps James McVey, dall’attrice Joanna Lumley, dal comico e attore Ricky Gervais e dalla influencer Lucy Watson, viene chiesto alla COP26 di riconoscere formalmente l’impatto climatico dell’allevamento.

Humane Society International e le celebrity che la sostengono sono uniti dall’intento comune di proteggere gli animali e il pianeta attraverso politiche e azioni concrete. Auspicano che il riconoscimento formale alla COP26 incoraggerà i leader mondiali a impegnarsi a favore di strategie per la riduzione del consumo di carne e latticini, per raggiungere l’obiettivo di limitare al di sotto dei 2°C il riscaldamento medio globale dell’Accordo di Parigi.

Nella lettera si legge: “L’allevamento è una delle principali fonti di emissioni di gas serra ed è pertanto impossibile raggiungere gli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi senza apportare modifiche al sistema alimentare globale. Anche se tutte le altre principali fonti di emissioni fossero riformate, non sarebbe sufficiente […]. Affrontare questa urgente tematica alla COP26, incoraggerebbe i governi di tutto il mondo ad agire e fornirebbe ai leader mondiali uno ulteriore strumento ad alto impatto per affrontare il cambiamento climatico. Chiediamo all’UNFCCC di riconoscere formalmente e pubblicamente il ruolo dell’allevamento come uno dei maggiori responsabili del cambiamento climatico e di aprire maggiore spazio al dialogo”.

Il cantautore e attivista per i diritti degli animali Moby, ha dichiarato: “L’allevamento intensivo sta distruggendo il nostro pianeta. Questo settore è il secondo più grande emettitore di CO2 al mondo, eppure rimane ampiamente ignorato dai leader mondiali. La scienza parla chiaro: l’adozione di una dieta maggiormente vegetale è una delle azioni più efficaci che possiamo intraprendere per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Quindi, se vogliamo proteggere il nostro pianeta, dobbiamo includere l’allevamento nelle discussioni sulle strategie di mitigazione del cambiamento climatico. La COP26 è l’occasione ideale per farlo e una delle ultime possibilità che abbiamo per riformare i sistemi alimentari globali. Vi supplico, per favore: SMETTETE di ignorare la verità”.

Oltre alle significative emissioni di gas serra, questo settore è anche il più grande utilizzatore antropogenico di superficie terrestre. La produzione di carne, uova, latticini e l’acquacoltura occupano infatti circa l’83% dei terreni agricoli del mondo, fornendo solo il 37% delle proteine e il 18% delle calorie. Inoltre, l’allevamento è uno dei principali motori della deforestazione, dell’estinzione di massa, del degrado del suolo, dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse idriche.

Julie Janovsky, vicepresidente di Humane Society International per i programmi sugli animali allevati, ha detto: “Se vogliamo seriamente evitare la catastrofe climatica, è imperativo che i leader mondiali riconoscano e agiscano per arrestare tutti i principali motori del cambiamento climatico, inclusi gli allevamenti intensivi. Questo modello è insostenibile. Trasformare i sistemi alimentari globali verso diete maggiormente vegetali è una delle azioni più efficaci che possiamo intraprendere. La COP26 offre ai leader mondiali l’opportunità di prendere impegni significativi per affrontare il cambiamento climatico, ripristinare la biodiversità e contribuire a porre fine alla crudeltà causata dagli allevamenti intensivi”.

Alcuni dati:

  • Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, l’allevamento è “uno dei due o tre maggiori contribuenti ai più gravi problemi ambientali su ogni scala, da quella locale a quella globale.” (FAO)
  • Consumando meno prodotti di origine animale e più cibi vegetali, si può contribuire a proteggere le risorse idriche del mondo. Produrre carne, latte e uova richiede enormi quantità d’acqua: per la produzione di mangime, la pulizia dei recinti, gli animali, lo smaltimento dei loro rifiuti, la disinfezione delle attrezzature per la macellazione. Ad esempio, produrre 1 kg di pollo richiede in media 4.325 litri d’acqua, contro i 1.644 litri necessari per produrre 1 kg di cereali. (Hoekstra 2015)
  • Mangiare più pasti a base vegetale ridurrà la quantità di terreni destinati all’uso agricolo. In tutto il mondo, abbiamo bisogno di più terreni per allevare e nutrire gli animali che per qualsiasi altro scopo. Più del 97% della farina di soia e più del 60% dell’orzo e del mais prodotti a livello globale sono usati come mangimi per gli animali allevati. (FAO)
  • Il rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPPC) ha rivelato che la crisi climatica è destinata a peggiorare se le emissioni di gas serra continuano ad aumentare.
  • Secondo le previsioni entro il 2030, se non verrà intrapresa un’azione concreta, il settore dell’allevamento rappresenterà quasi la metà del bilancio mondiale di emissioni di gas serra consentito dagli obiettivi di limitare al di sotto di 1,5°C il riscaldamento medio globale. (Harwatt 2019)

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Contatto: Martina Pluda: 3714120885; mpluda@hsi.org

HSI lancia una nuova campagna per chiedere all'Italia di vietare l'importazione e l'esportazione di trofei di caccia

Humane Society International


Offroad and HSI 

ROMA–Humane Society International/Europe rafforza la sua battaglia contro la caccia al trofeo con una nuova campagna internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sui governi degli Stati membri dell’Unione Europea per vietare l’importazione, l’esportazione e la ri- esportazione dei trofei ricavati da specie minacciate e in via di estinzione. La campagna mette in luce la brutale realtà di questa pratica: impallinare, imbalsamare, imballare e consegnare trofei di caccia di animali protetti alle porte dell’Italia e di altri Stati membri dell’UE è una realtà terribile ma legale. La campagna di HSI/Europe chiede ai cittadini di prendere posizione e dire #NotInMyWorld.

Sebbene l’Unione Europea sia il secondo importatore di trofei di caccia dopo gli Stati Uniti*, molti italiani potrebbero non sapere che è legale recarsi all’estero per cacciare specie minacciate e a rischio e riportarne a casa i corpi imbalsamati o parti di essi come “trofei”. L’uccisione mirata di specie iconiche come elefanti e leoni africani, rinoceronti, orsi polari, linci, trichechi, tigri allevate in cattività e orici dalle corna a scimitarra—una specie estinta in natura—sembra un problema remoto.

Anche se l’uccisione avviene in Africa, Nord America e Russia, la triste verità è che l’UE svolge un ruolo cruciale e letale quando si tratta della caccia al trofeo. Ciò che interessa ai i cacciatori europei è poter spedire i loro trofei a casa propria. Tra il 2014 e il 2020, l’Italia ha importato 437 trofei di caccia provenienti da specie protette a livello internazionale. A livello UE, il nostro paese è il primo importatore di trofei di ippopotami e il quarto importatore di trofei di leoni africani di origine selvatica. Inoltre, l’Italia ha svolto un ruolo significativo nel commercio di trofei di elefanti africani, essendo il quinto importatore UE di questa specie.

La campagna #NotInMyWorld di HSI/Europe vuole informare i cittadini italiani che, ancora oggi, le zampe di elefante possono essere trasformate in vasi da fiore e posacenere, i colli di giraffa in lampade da terra e gli orsi polari in scendiletto. Tutto ciò, incredibilmente, legalmente. Secondo una recente indagine commissionata da HSI/Europe** l’86% degli italiani si oppone alla caccia al trofeo di tutti gli animali selvatici.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe, afferma: “L’Italiano non sarà nella posizione di fermare la raccapricciante uccisione di animali in altri paesi, ma possiamo scegliere di chiudere le nostre porte a questi trofei e chiedere alla politica di agire. Con #NotInMyWorld, esaminiamo il problema della caccia al trofeo da un’angolazione diversa, non concentrandoci su ciò che sta accadendo in altri paesi, ma dimostrando che proprio dall’UE contribuiamo al problema. L’impattante campagna parla chiaro: è eclatante il contrasto tra l’uccisione e l’importazione di animali protetti a livello internazionale e una società moderna in cui la conservazione delle specie selvatiche e la protezione della biodiversità dovrebbero essere in cima all’agenda politica. Se da un lato, l’Italia e l’UE sono parte del problema, possiamo anche essere parte della soluzione, fermando le importazioni ed esportazioni di trofei per e dal nostro paese”.

HSI/Europe ha sviluppato il concetto della campagna insieme all’agenzia creativa austriaca offroad communications, il cui soggetto principale è rappresentato da un’animazione 3D di un elefante e un di rinoceronte, completamente avvolti in carta da pacchi. Lo slogan è: Impallinati. Imbalsamati. Imballati. In consegna? L’hashtag della campagna dà la risposta diretta alla domanda provocatoria: #NotInMyWorld, perché uccidere per divertimento non dovrebbe avere posto nel cuore e nella mente delle persone.

Benjamin Remhof, responsabile del design di offroad communications, dichiara: “Le immagini della
campagna mostrano la drammatica realtà: cadaveri di animali in via di estinzione spediti in tutto il mondo per profitto e intrattenimento. Insieme all’hashtag della campagna #NotInMyWorld, lanciamo un messaggio forte e inequivocabile”.

Insieme alla pubblicazione del rapporto “I numeri della caccia al trofeo”, HSI/Europe ha lanciato una petizione diretta al Governo italiano, chiedendo un divieto totale di importazione, esportazione e riesportazione dei trofei di caccia.

Dal 15 settembre la campagna sarà live su tutti i canali di comunicazione di HSI/Europe, sulle principali
piattaforme mediatiche tradizionali e digitali e presente con azioni di mobilizzazione in luoghi chiave.

Il Governo italiano non può più chiudere gli occhi davanti a questa problematica. La caccia al trofeo non ha posto nella società moderna. L’uccisione di animali selvatici da parte di una piccola cerchia di cacciatori per ottenere trofei ha un impatto negativo sulle popolazioni di questi animali e sull’intera biodiversità, favorisce le disuguaglianze geopolitiche e non fornisce significativi vantaggi socioeconomici.

Per scaricare i materiali della campagna (creare account per il download): https://newsroom.humanesociety.org/fetcher/index.php?searchMerlin=1&searchBrightcove=1&submitted=1&mw=d&q=TrophyHuntingIT0921

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Contatti:

*Tra il 2014 e il 2018 l’UE ha importato quasi 15.000 trofei di caccia di 73 specie protette a livello internazionale.Di fronte a questi dati, l’uccisione per mero divertimento e il rischio d’estinzione di intere specie, sono temi chedevono essere inseritinell’agenda politica. Per sapere di piùsulla caccia al trofeo e sul ruolo dell’UE, consultare ilrapporto “I numeri della caccia al trofeo”.

**Un sondaggio rappresentativo, risalente almarzo 2021, dimostra che l’86% degli italiani si oppone alla caccia altrofeodi tutti gli animali selvatici e il 74% è favorevole a un divieto diesportazionee importazionedei trofei da e per l’Italia.

I principali attori del settore del beauty invitano i consumatori a firmare l’iniziativa dei cittadini europei promossa da People for the Ethical Treatment of Animals (PETA), Cruelty Free Europe, Humane Society International/Europe (HSI), Eurogroup for Animals e dalla European Coalition to End Animal Experiments (ECEAE)

Humane Society International


mustafagull/iStock.com

Dove e The Body Shop si sono uniti a PETA, Cruelty Free Europe, Humane Society International/Europe, Eurogroup for Animals e l’ECEAE (che rappresentano un totale di 100 organizzazioni di 26 stati membri dell’UE*) per mobilitare urgentemente 1 milione di cittadini europei e salvare i cosmetici cruelty-free in Europa; l’attuale divieto europeo sui test cosmetici sugli animali è a rischio.

Nel 2004, dopo decenni di campagne da parte dei consumatori, delle organizzazioni per la protezione degli animali e di diverse aziende, l’Unione Europea ha vietato i test sugli animali per i prodotti cosmetici. Nel 2009, ha vietato i test degli ingredienti dei cosmetici e, infine, nel 2013 ha vietato la vendita di cosmetici che erano stati testati sugli animali. L’approccio dell’UE è diventato il modello per il cambiamento normativo nei paesi di tutto il mondo.

L’ECHA propone nuovi test sugli animali per ingredienti che sono notoriamente sicuri.

Tuttavia, le recenti richieste di nuovi test animali, da parte dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) sono in contrasto con tali divieti e minacciano l’ulteriore progresso per il quale il Parlamento Europeo si sta coraggiosamente spendendo dal 2018: un divieto globale di tutti i test cosmetici sugli animali entro il 2023.

I nuovi test richiesti dall’ECHA sono per ingredienti che vengono usati dai consumatori e manipolati dai produttori in modo sicuro da molti anni. Se queste richieste persisteranno, milioni di animali potrebbero essere sottoposti a test crudeli, di fronte a metodi alternativi per ottenere i dati sulla sicurezza richiesti.

Il tempo di agire è ora.

I due marchi di bellezza e le ONG si sono uniti per coinvolgere i consumatori e agire per salvare il divieto europeo sui test cosmetici sugli animali, firmando un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Si tratta di uno strumento, simile a una petizione, che dà ai cittadini europei la possibilità di contribuire a plasmare le politiche dell’UE, chiedendo alla Commissione Europea di proporre nuove leggi.

I test cosmetici sugli animali non sono necessari per garantirne la sicurezza. Esistono metodi scientifici moderni, rilevanti per l’uomo e che non prevedono l’uso di animali, che i ricercatori nel campo della sicurezza hanno sviluppato e utilizzato per decenni.

Unendo le loro voci contro i test per i prodotti di bellezza, The Body Shop, Dove e le organizzazioni per la protezione degli animali invitano i consumatori a firmare un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), che chiede alla Commissione Europea di:

  1. Proteggere e rafforzare il divieto dei test cosmetici sugli animali

Avviare un cambiamento legislativo per garantire la protezione dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente con riferimento a tutti gli ingredienti dei cosmetici senza svolgere nuovi test sugli animali.

  1. Trasformare il regolamento UE sulle sostanze chimiche

Garantire la protezione della salute umana e dell’ambiente attraverso la gestione delle sostanze chimiche senza richiedere ulteriori test sugli animali.

  1. Modernizzare la scienza normativa nell’UE

Impegnarsi, prima della fine dell’attuale mandato, a favore di una proposta legislativa che tracci una tabella di marcia per eliminare gradualmente tutti i test sugli animali nell’UE.

Insieme, brand e ONG, mirano a raggiungere 1 milione di firme in tempo record, inviando un chiaro messaggio: le richieste dell’ECHA per nuovi test sono in contrasto con la volontà dei cittadini dell’UE e con l’approccio, sostenuto dalla Commissione Europea, che prevede la sperimentazione animale come ultima ratio.

Ma non possono farlo da soli.

I cittadini europei hanno la possibilità di firmare l’ICE e dire alla Commissione che non accetteranno promesse non mantenute dall’Europa, o regolamenti che fanno soffrire e morire gli animali per i cosmetici.

Le organizzazioni per la protezione degli animali dichiarano: “I sondaggi dimostrano che tre quarti dei cittadini adulti dell’UE concordano che i test sugli animali per i prodotti di cosmetica e i loro ingredienti sono inaccettabili in tutte le circostanze. Inoltre, il 70% sostiene un piano di eliminazione graduale per tutti i test sugli animali. È triste dover combattere nuovamente una battaglia che i cittadini europei pensavano di aver già vinto. Con un’ICE di successo possiamo fare in modo che i decisori ascoltino, possiamo proteggere i divieti esistenti e sostenere un’azione decisa per porre fine alla sofferenza degli animali nei laboratori dell’UE per sempre[1].”

Dove ha lavorato per 15 anni per apportare cambi positivi all’industria della bellezza, iniziando con la “Campagna per la Bellezza Autentica” e lanciando il più grande programma per l’autostima al mondo. Come marchio orgogliosamente certificato cruelty-free, Dove ha sostenuto i divieti globali per porre definitivamente fine ai test sugli animali in tutto il mondo, lavorando al fianco di legislatori, organizzazioni per la protezione degli animali e aziende che la pensano allo stesso modo nel raggiungimento di questo obiettivo.

Firdaous El Honsali, Senior Director of Global Communications and Sustainability per Dove, afferma: “Da Dove, ci opponiamo con convinzione alla crudeltà sugli animali. Crediamo fermamente che non ci sia posto per testare i prodotti di bellezza o i loro ingredienti sugli animali e siamo pionieri da molti anni nell’uso di alternative sicure e senza crudeltà, per valutare la sicurezza dei prodotti e degli ingredienti. Questo impegno ci spinge a intraprendere un’azione urgente per proteggere il divieto dei test sugli animali nell’UE. Insieme ai nostri partner, The Body Shop e i principali gruppi per la protezione degli animali, esortiamo sia i nostri colleghi dell’industria della bellezza, sia il grande pubblico, a prestare la loro voce alla lotta per porre fine ai test sugli animali nell’UE una volta per tutte, firmando questa iniziativa dei cittadini europei.”

The Body Shop si è impegnato senza sosta contro la pratica dei test cosmetici sugli animali dal 1989, aiutando a guidare la carica verso l’attuale divieto in Europa.

Christopher Davis, Global CSR and Activism Director, per The Body Shop International, aggiunge: “The Body Shop è stato il primo marchio globale del beauty a lottare contro i test cosmetici sugli animali e questo impegno è stato al centro delle nostre campagne per oltre tre decenni. Il nostro lavoro, assieme ai diversi partner della campagna Cruelty Free International, ha portato al divieto dell’Unione Europea del 2013. Oggi, stiamo richiamando l’UE – il più grande mercato della cosmetica al mondo – a mantenere la promessa pionieristica che ha fatto. Siamo orgogliosi di collaborare con Dove e di unire la nostra voce a quella di tutti coloro che agiscono per una fine globale della sperimentazione animale per i cosmetici, a sostegno di questa iniziativa dei cittadini europei.”

NOTE PER I REDATTORI

*Le organizzazioni per la protezione degli animali coinvolte nell’iniziativa dei cittadini europei:

  • People for the Ethical Treatment of Animals e le sue sedi in Germania, Francia e Paesi Bassi
  • Cruelty Free Europe
  • Humane Society International/Europe e le sue sedi in Germania, Italia, Polonia e Romania
  • Eurogroup for Animals
  • European Coalition to End Animal Experiments

[1] https://comresglobal.com/polls/cruelty-free-europe-animal-testing-in-the-eu/ A European wide survey among the public to gauge perceptions of animal testing in the EU.

Humane Society International e LIFE salvano 66 cani che verranno dati in adozione negli Stati Uniti e in Canada

Humane Society International


Nara Kim di HSI mentre salva cuccioli di Jindo durante la chiusura dell’allevamento di cani da carne sull’Isola di Jindo, ad agosto 2021.

SEOUL—Un allevamento di cani da carne sulla famosa isola di Jindo, in Corea del Sud, ha chiuso definitivamente i battenti dopo aver allevato e macellato cani dell’omonima razza, destinati al consumo umano, per più di 20 anni, nonostante si trattasse della razza canina nazionale del paese. La chiusura è avvenuta grazie all’accordo raggiunto con Humane Society International/Corea e il gruppo coreano per la protezione degli animali LIFE. L’allevatore sessantaseienne, gestore anche di un ristorante locale nel quale i suoi stessi cani erano sul menu, è stato trovato dalle autorità locali in violazione della Legge per la protezione degli animali, dopo le segnalazioni dei residenti della zona, insospettiti dai guaiti di terrore degli animali. Invece di spostare i propri affari altrove, l’allevatore ha firmato un contratto con LIFE con il quale si è impegnato a rinunciare per sempre all’allevamento di cani e a rimuovere la carne di cane dal menu del proprio ristorante.

LIFE e HSI/Corea hanno salvato tutti i 66 cani e cuccioli di Jindo trovati in piccole gabbie metalliche, nell’allevamento. Il loro destino sarebbe stato quello dell’elettrocuzione e della macellazione. Humane Society International/Corea, che ha già chiuso altri 17 allevamenti di cani da carne nel paese, sta facendo pressione politica per porre finalmente fine all’industria della carne di cane in Corea del Sud.

Nara Kim, campaigner di HSI/Corea, ha dichiarato: “Tutti i cani di questo allevamento sono di razza Jindo, che dovrebbe essere la razza nazionale coreana. Invece, questi poveri cani sono stati rinchiusi in luride gabbie metalliche, nutriti con gli avanzi dei ristoranti; sono state negate loro anche le cure più elementari e la minima gentilezza umana. Da orgogliosa coreana sono sempre sconvolta dalla crudeltà degli allevamenti di cani da carne ma è stato particolarmente scioccante vedere la razza canina più rappresentativa del nostro paese sfruttata in questo modo, sull’Isola di Jindo. Ho pianto quando ho visto il macello. Nel luogo della loro elettrocuzione c’era una grande pila di collari di tutti gli animali che sono stati uccisi. Per fortuna, insieme ai nostri colleghi di LIFE, siamo riusciti a far uscire questi cani da quel posto orribile e ad assicurare che lì nessun animale soffrirà più. Le autorità perseguiranno anche le accuse di crudeltà mosse contro l’allevatore. Poiché, attualmente, la Legge per la protezione degli animali offre poca protezione ai cani allevati per la loro carne, è incoraggiante vedere le forze dell’ordine far leva su quelle poche norme a loro disposizione. Ad ogni modo per porre fine definitivamente a questa industria brutale, continueremo a fare pressione per un divieto di allevamento, macellazione e vendita di cani da carne”.

In-Seob Sim, presidente di LIFE, ha affermato: “Provo enorme rabbia. Ci vantiamo di questa razza come il nostro cane nazionale, ma allo stesso tempo i Jindo vengono serviti in tavola. Questo è un esempio della doppiezza degli esseri umani ma anche delle contraddizioni all’interno della società coreana. C’è davvero differenza tra un cane Jindo da compagnia e un cane Jindo definito commestibile come i commercianti di carne di cane vogliono farci pensare? La risposta è no. Sono entrambi gli stessi cani e animali domestici”.

Il 10 di agosto, in Corea del Sud, si è conclusa la stagione estiva di Boknal. Si tratta di un periodo in cui la zuppa di carne di cane o “bosintang” viene consumata più spesso e in cui, in tutto il paese, vengono uccise decine di migliaia di cani allevati per la loro carne. Anche se i sondaggi mostrano che la maggior parte dei coreani (84%) non consuma carne di cane, tra i coreani che la mangiano, il 70% lo fa durante il Boknal, nella convinzione che possa aiutare ad alleviare gli effetti del caldo soffocante dell’estate.

Durante il Boknal di quest’anno, HSI/Corea ha collaborato con diversi chef vegani e con i ristoranti Baek-rin Ahn, Nammi Plant Lab e Jung-won Park (Haru Vegan) per incoraggiare i consumatori a sostituire la zuppa di carne di cane con deliziose ricette a base vegetale. Ogni chef ha reinterpretato il cibo tipico del Boknal, incorporando molti degli ingredienti che si trovano tradizionalmente nel “bosintang”, in maniera fresca e completamente vegetale.

Il salvataggio dei cani da parte di LIFE e HSI/Corea segue l’annuncio del mese scorso, da parte del Ministero della Giustizia coreano che l’articolo 82 del Codice civile verrà modificato per chiarire che “gli animali non sono oggetti”. Humane Society International/Corea accoglie con favore questa proposta ma sottolinea che le condizioni deplorevoli di quest’ultimo allevamento di cani da carne dimostrano quanto sia vitale vietare questa crudele industria. Nara Kim ha detto: “Spero che il riconoscimento legale degli animali quali individui la cui vita è da proteggere, porti finalmente alla chiusura di tutti gli allevamenti di cani da carne”.

Humane Society International/Corea ha salvato più di 2.500 cani, da 17 allevamenti, che oggi vivono con le loro nuove famiglie negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito. Ora, i 66 Jindo di quest’ultimo salvataggio verranno trasferiti in un rifugio partner in Corea del Sud dove riceveranno le prime cure veterinarie, le vaccinazioni e i test medici necessari per viaggiare oltreoceano. Quando saranno in grado di volare, e le restrizioni legate al Covid-19 lo permetteranno, HSI porterà i cani in Nord America dove inizierà la ricerca di nuove sistemazioni.

 Alcuni dati:     

  • Si stima che da 1 a 2 milioni di cani vivano in migliaia di allevamenti in tutta la Corea del Sud.
  • Oltre ai Jindo e ai mastini tipicamente allevati per la loro carne, molti allevamenti di cani allevano anche Labrador, Golden retriever, Cocker spaniel, Husky, Beagle e altre razze.
  • Nel 1962, il governo sudcoreano ha designato il Jindo come il 53° monumento naturale del paese, assicurandogli nominalmente protezione secondo la Legge per la protezione del patrimonio culturale.
  • La maggior parte dei sudcoreani non consuma carne di cane, e una porzione crescente della popolazione considera i cani come animali da compagnia. Secondo una stima del Ministero dell’agricoltura, dell’alimentazione e degli affari rurali, nel 2020, 6,38 milioni di famiglie sudcoreane (pari al 28% delle famiglie) hanno avuto animali da compagnia.
  • Le recenti azioni delle autorità per frenare l’industria della carne di cane includono la chiusura, nel novembre 2018, del macello di cani Taepyeong (il più grande del paese) da parte del Consiglio Comunale di Seongnam, seguita nel luglio 2019 dalla chiusura del mercato di Gupo a Busan. A ottobre 2019 il sindaco di Seoul ha dichiarato la città “libera dalla macellazione dei cani”.
  • Le operazioni per la chiusura di questo allevamento sono state condotte nel rispetto delle norme di sicurezza legate al Covid-19. La squadra di HSI è stata in quarantena per 14 giorni, in un hotel autorizzato. Dopo la chiusura di un allevamento, l’organizzazione effettua un test veterinario per escludere la presenza del virus H3N2 (influenza canina) e somministrare i vaccini contro la rabbia, il DHPP, il coronavirus canino, il cimurro e il parvovirus. I cani vengono poi messi in quarantena per almeno 30 giorni prima di ricevere l’idoneità per il trasporto all’estero.

Foto e video del salvataggio (creare account per il download).

FINE

Contatto: Martina Pluda: 3714120885; mpluda@hsi.org

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