“La cittadinanza può contribuire a denunciare e arginare, nell’ottica di una totale eradicazione, il fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani.”
Humane Society International
ROMA—È stata pubblicata oggi da Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM ONLUS, promotrici del progetto IO NON COMBATTO, una guida al cittadino per riconoscere i segnali e denunciare la presenza di combattimenti tra cani. Tramite questo progetto, le due organizzazioni promotrici si stanno impegnando per contribuire a fornire gli strumenti necessari al contrasto del fenomeno dei combattimenti tra cani alle Forze di Polizia e a figure professionali chiave, quali medici veterinari ed educatori cinofili, nonché per educare la popolazione a riconoscerlo e adeguatamente denunciarlo: proprio alle cittadine e ai cittadini è rivolta la guida.
Federica Faiella, Vicepresidente della Fondazione CAVE CANEM e Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe spiegano: “La cittadinanza può contribuire a denunciare e arginare, nell’ottica di una totale eradicazione, il fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani. Per farlo, è però necessario che acquisisca conoscenza dei segnali che ne indicano la presenza e delle corrette modalità di acquisizione delle fonti probatorie, agendo sempre nel pieno rispetto delle modalità e dei ruoli stabiliti dalle norme vigenti, senza pensare di sostituirsi alla Polizia Giudiziaria e agli organi inquirenti, ma cercando di fornire loro tutti gli strumenti per un intervento efficiente ed efficace. Per questo motivo abbiamo voluto mettere a disposizione questa guida, gratuitamente scaricabile dal sito www.iononcombatto.it.”
I lettori avranno la possibilità, prima di tutto, di documentarsi sui combattimenti fra animali quale fenomeno sommerso, di portata nazionale e internazionale che coinvolge diverse specie animali, tra cui i cani, collegato a criminalità organizzata, traffico internazionale di stupefacenti e di armi, comprese quelle da fuoco, pedo-pornografia e scommesse illegali attorno alle quali ruotano cospicue somme di denaro. In Italia è un reato punito dall’art. 544-quinquies del Codice penale.
La guida vuole anche fornire precise indicazioni sulle attività legate ai combattimenti tra animali, causa di gravi danni fisici e psicologici ai cani addestrati per combattere. A subire immense crudeltà sono anche i cosiddetti “sparring partners”, ovvero altri cani usati per l’addestramento brutale dei combattenti, nonché le fattrici, obbligate a riprodursi per portare avanti le linee genetiche “vincenti”.
Una sezione è dedicata alle attrezzature, agli strumenti e agli altri segni che possono indicare la presenza in un determinato luogo di combattimenti tra cani o attività propedeutiche agli stessi quali l’allenamento e l’allevamento. Nella guida HSI/Europe e Fondazione CAVE CANEM segnalano ad esempio:
La detenzione a catena;
La presenza di cicatrici;
Vitamine, medicinali e farmaci veterinari;
Tapis roulant, “spingpoles”, “jenny mills” o “cat mills”;
Bastoni “apribocca”;
Gabbie di contenimento per l’accoppiamento.
“I combattimenti tra cani sono una pratica criminosa e sanguinaria, ancora diffusa in Italia, nonostante sia illegale da molti anni e fortemente contestata dall’opinione pubblica. Prima di sporgere una denuncia, può essere utile avere maggiore chiarezza sulle tipologie e razze di cani più frequentemente utilizzate, sui diversi ruoli che i cani ricoprono e quali sono gli oggetti o le situazioni che possono indicare la presenza di combattimenti o altre attività ad essi collegate. Invitiamo chiunque sia testimone di attività criminose in danno agli animali di non rendersi complice, di non guardare dall’altra parte, ma di denunciare!” – concludono Federica Faiella e Martina Pluda.
FINE
Contatto:Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885
In vendita viaggi di caccia alla fauna selvatica da oltre 80 espositori presenti alla Jagd&Hund
Humane Society International
ROMA—È iniziata ieri e continuerà fino al 29 gennaio, a Dortmund, in Germania, la più grande fiera di caccia d’Europa. Oltre 80 gli espositori nazionali e internazionali provenienti da Canada, Argentina, Namibia, Sudafrica, Germania, Spagna, Polonia e altri paesi, che partecipano alla fiera Jagd&Hund 2023, offrendo viaggi internazionali di caccia al trofeo, con un costo che varia dalle poche centinaia alle decine di migliaia di euro. L’obbiettivo è quello di uccidere elefanti, grandi felini, rinoceronti, orsi polari e numerose altre specie. In una lettera congiunta con 30 organizzazioni, Humane Society International/Europe ha chiesto al sindaco di Dortmund Thomas Westphal e al Consiglio comunale della città di fermare la vendita di viaggi di caccia al trofeo nella Westfalenhallen, sede della fiera.
Da anni Humane Society International lancia l’allarme sull’impatto che le fiere che promuovono viaggi di cacce al trofeo, come la Jagd&Hund, hanno sulla vendita di prodotti della fauna selvatica, sul benessere degli animali e sulla biodiversità. Tra il 2014 e il 2020, l’Italia ha importato legalmente 437 trofei di caccia provenienti da specie di mammiferi protette a livello internazionale – come ippopotami, elefanti, leoni, leopardi orsi polari e persino un rinoceronte nero (in pericolo critico di estinzione). Molti di questi animali sono stati uccisi durante viaggi venduti proprio in fiere di caccia come la Jagd&Hund. È ora che l’industria e i decisori politici, a partire dai consigli comunali per arrivare fino ai governi nazionali e le istituzioni internazionali, mettano fine al loro sostegno alla caccia al trofeo.
Sylvie Kremerskothen Gleason, direttrice per la Germania di HSI/Europe, afferma: “Non è accettabile che nel 2023 sia ancora legale vendere, in una fiera in Germania, viaggi per sparare a specie protette per gioco e divertimento. Da anni sollecitiamo le autorità competenti della città di Dortmund a non permettere simili manifestazioni, ma queste tacciono e, così facendo, sostengono questa macabra industria che aggiunge un ulteriore pericolo alla sopravvivenza di specie che sono già sotto enorme pressione. È ora che prendano posizione contro la caccia al trofeo di specie in pericolo”.
La Dott.ssa Jane Goodall, fondatrice del Jane Goodall Institute e ambasciatrice di pace delle Nazioni Unite, lancia un appello ai responsabili: “Il fatto che la caccia al trofeo di specie rare e in via di estinzione sia ancora legale è assolutamente scioccante! Per favore, fermate la vendita di viaggi organizzati per la caccia al trofeo alla fiera Jagd&Hund a Dortmund. Sostenete così la protezione degli animali e delle specie!”.
Anche il Wildlife Animal Protection Forum South Africa – una coalizione di organizzazioni non governative del Sudafrica, il cui territorio ospita numerosi degli habitat delle specie più cacciate – si è espresso contro la fiera della caccia e ha scritto una lettera aperta al sindaco di Dortmund. La lettera è stata firmata da oltre 90 organizzazioni, soprattutto sudafricane, tra cui membri del Forum e della Rete Pro Elephant, ed è stata appoggiata da ambientalisti di fama mondiale, veterinari della fauna selvatica, personalità internazionali, politici e avvocati ambientalisti.
La caccia al trofeo è un passatempo crudele per élite ricche, con conseguenze fatali per gli animali e impatti biologici ed ecologici dannosi di vasta portata. Eppure, ogni anno in Africa la caccia grossa uccide più di 120.000 animali. L’UE è il secondo importatore di trofei di caccia di specie protette a livello internazionale, dopo gli Stati Uniti. HSI/Europe è particolarmente preoccupata per la promozione, da parte dell’industria della caccia al trofeo, di metodi di uccisione crudeli pubblicizzati alla fiera Jagd&Hund e ha già individuato numerose offerte di viaggio che vi sono vendute che prevedono metodi di caccia vietati in Germania per la loro natura disumana, come la caccia con l’arco. Sembra, inoltre, che molti venditori stiano già violando le norme espositive della fiera, che stabiliscono chiaramente che la commercializzazione di viaggi con lo scopo di uccidere animali allevati e quelli tenuti in aree recintate, la cosiddetta “caccia in scatola” (o “canned hunting”).
La caccia al trofeo mina gli sforzi internazionali per proteggere le specie in pericolo, alimenta la domanda globale di parti e prodotti di animali e svela l’ipocrisia della presunta etica della caccia sportiva, pubblicizzata come “uso sostenibile”, come evidenziato in una lettera inviata al governo tedesco da un gruppo del Comitato etico dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che chiede di porre fine alle importazioni tedesche di trofei di caccia di specie regolamentate. Nella campagna elettorale del 2020, il sindaco Westphal aveva promesso, in caso di assunzione dell’incarico, di istituire una commissione etica per esaminare in modo obiettivo la questione della caccia al trofeo e la relativa commercializzazione in fiera. A oggi, questa commissione etica non è stata nominata.
Nonostante la forte opposizione da parte dell’opinione pubblica tedesca, il Governo e i centri fieristici di Dortmund hanno continuato a facilitare il massacro di migliaia di animali, permettendo che queste fiere continuassero anno dopo anno. I sondaggi d’opinione mostrano che la stragrande maggioranza dei cittadini dell’UE (oltre l’80%) si oppone alla caccia al trofeo e vuole porre fine alle importazioni di trofei. In Sudafrica, una delle destinazioni più popolari per i turisti venatori, il 68% degli intervistati si è detto contrario alla caccia al trofeo.
Molti governi e leader del settore turistico stanno già agendo per porre fine al loro coinvolgimento nell’industria della caccia al trofeo. Alcuni dei maggiori fornitori di viaggi al mondo, tra cui Booking.com, TripAdvisor ed Expedia Group, hanno invitato il Governo sudafricano a porre fine alla caccia al trofeo e a concentrarsi su un futuro rispettoso della fauna selvatica. Oltre 170 associazioni da tutto il mondo chiedono la fine della caccia al trofeo e il Parlamento Europeo si è recentemente espresso a favore di un divieto di importazione dei trofei di caccia in tutta l’UE. Paesi Bassi, Finlandia e Francia vietano già l’importazione di trofei di caccia di alcune specie. Anche Regno Unito, Belgio, Italia, Spagna e Polonia ne stanno discutendo. Inoltre, all’inizio dell’anno la Germania si è ritirata dal Consiglio Internazionale della Caccia (CIC). Gli organizzatori della fiera Jagd&Hund dovrebbero prendere nota del fatto che in Italia, IEG Italian Exhibition Group SpA ha recentemente cancellato la più grande fiera della caccia del Paese, sottolineando il conflitto con i valori ecologici dell’azienda.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885
Deluse Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM, promotrici del progetto IO NON COMBATTO: “È una questione di legalità che necessita di fondi e di un intervento legislativo decisivo, non può essere demandata esclusivamente alla società civile”
Humane Society International
ROMA—È stato pubblicato ieri l’elenco di emendamenti approvati dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, al disegno di Legge di Bilancio 2023. Tra questi non risulta purtroppo presente l’emendamento 114.03 che avrebbe introdotto “Disposizioni in materia di spese di custodia di animali impiegati nei combattimenti e affetti da problematiche comportamentali”, presentato a prima firma dell’On. Michela Vittoria Brambilla (Gruppo misto) e ispirato dal progetto IO NON COMBATTO, lanciato da Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM per la repressione e la prevenzione del fenomeno criminoso dei combattimenti tra animali. Le due organizzazioni promotrici del progetto si dicono deluse di questa decisione, che priva le Forze di Polizia delle risorse per la formazione, necessaria a reprimere tali attività criminali presenti in Italia, e gli animali coinvolti nelle stesse della possibilità di intraprendere percorsi di recupero comportamentale e ricevere le attenzioni specialistiche per essere pienamente recuperati, nel rispetto del loro diritto all’adozione.
L’emendamento prevedeva lo stanziamento di €150.000 per la formazione tecnica e pratica specialistica del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei carabinieri, e di €350.000 per coprire i costi di custodia e di recupero comportamentale derivanti dal sequestro e dalla confisca di animali impiegati in tali attività criminali, nonché di animali affetti da problematiche comportamentali.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe e Federica Faiella, Vicepresidente di FCC commentano: “Siamo allibite che il Governo non abbia ritenuto opportuno affrontare questa questione di legalità, investendo le giuste risorse pubbliche tramite un intervento legislativo deciso, ma demandando ancora una volta alla società civile di colmare le lacune del sistema. Il progetto IO NON COMBATTO, nato sul finire del 2021, si è da subito posto l’obiettivo di offrire strumenti concreti contro il fenomeno criminoso dei combattimenti tra animali, attraverso attività di ricerca e divulgazione scientifica, operazioni sul campo, sensibilizzazione dell’opinione pubblica e formazione di personale specializzato. Oltre ad aver portato a termine con successo il recupero comportamentale di alcuni cani salvati dalla crudeltà dei combattimenti, il progetto ha registrato oltre 1100 presenze, tra membri delle Forze di Polizia, medici veterinari, guardie zoofile ed educatori cinofili, al percorso formativo tenutosi a inizio 2022. Se l’emendamento 114.03 fosse passato, questo tipo di attività si sarebbero potute ampliare e svolgere su scala nazionale, generando un impatto ancora più significativo per eradicare la piaga criminale dei combattimenti tra animali. Ringraziamo comunque l’Onorevole Brambilla per aver raccolto lo spirito del nostro progetto e aver presentato una riforma normativa in tal senso.”
I combattimenti fra animali sono un fenomeno criminale sommerso, di portata nazionale e internazionale che coinvolge diverse specie animali, tra cui i cani, collegato a criminalità organizzata, traffico internazionale di stupefacenti e di armi, comprese quelle da fuoco, pedo-pornografia e scommesse illegali attorno alle quali ruotano cospicue somme di denaro. In Italia è un reato punito dall’art. 544-quinquies del Codice penale.
Il coinvolgimento in queste attività causa gravi danni fisici e psicologici ai cani addestrati per combattere. A subire immense crudeltà sono anche i cosiddetti “sparring partners”, ovvero altri cani usati per l’addestramento brutale dei combattenti, nonché le fattrici, obbligate a riprodursi per portare avanti le linee genetiche “vincenti”.
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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885
HSI/Europe: “Ci auguriamo che anche la Camera dei Deputati agisca con risolutezza affinché la Romania possa diventare il ventesimo Paese europeo a vietare l’allevamento di animali da pelliccia”
Humane Society International
BUCHAREST, Romania—Il Senato rumeno ha votato a favore di una proposta di legge per vietare l’allevamento di cincillà e visoni, in seguito alla diffusione di un’indagine di Humane Society International/Europe che ha rivelato le scioccanti sofferenze negli allevamenti di animali da pelliccia del Paese. I risultati indicano 86 deputati a favore, 16 contro e 8 astenuti.
Andreea Roseti, Direttrice per la Romania di HSI/Europe, ha accolto con favore il voto, affermando che: “L’ampio sostegno trasversale a questa proposta di legge al Senato è un forte segnale circa la volontà del Parlamento rumeno di porre fine alla crudele pratica di allevare e uccidere animali per l’ottenimento della loro pelliccia. Siamo soddisfatti della rapidità dell’iter legislativo di questa proposta di legge e ci auguriamo che, quando nei prossimi mesi il testo approderà alla Camera dei Deputati, l’Aula agisca con risolutezza affinché la Romania possa diventare il ventesimo Paese europeo a vietare l’allevamento di animali da pelliccia. Il continente europeo può essere considerato un pioniere nel porre fine alla sofferenza degli animali per la produzione di pellicce, prodotti che vengono rifiutata da sempre più consumatori, stilisti, rivenditori e decisori politici di tutto il mondo.”
Il lavoro sulla proposta di legge è stato avviato nell’ottobre di quest’anno. La stessa è stata poi presentata all’Ufficio permanente della Camera dei Deputati il 7 novembre e presentata e registrata al Senato lo stesso giorno.
I cincillà e i visoni sono le uniche specie di animali considerati “da pelliccia” che vengono allevate in modo intensivo in Romania. In caso di successo, il divieto segnerebbe quindi la fine dell’allevamento di animali con la finalità di ricavarne pellicce nel Paese. A settembre di quest’anno, HSI/Europe ha divulgato i risultati delle indagini condotte in diversi allevamenti di cincillà in Romania, documentando gravi problemi di benessere animale, tra cui il confinamento in piccole gabbie di rete metallica, cicli riproduttivi perpetui per le femmine e una totale noncuranza dei bisogni e comportamenti naturali della specie.
Il voto in Romania arriva mentre cresce il sostegno in tutta Europa per un divieto di allevamento e commercializzazione di pellicce in tutta l’UE. L’Iniziativa dei Cittadini Europei #FurFreeEurope, lanciata a maggio e sostenuta da oltre 70 organizzazioni, ha già raccolto più di 1,1 milioni di firme di cittadini europei.
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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885
HSI/Europe esorta una presa di responsabilità da parte del Governo italiano su tutti i temi animali
Humane Society International
ROMA—Due emendamenti alla Legge di Bilancio 2023, sostenuti da Humane Society International/Europe, sono stati presentati dall’On. Michela Vittoria Brambilla (Gruppo Misto) a nome dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali. Solo il primo emendamento che riguarda i combattimenti tra animali sarà oggetto di discussione nell’ambito dell’iter di approvazione della Legge di Bilancio. Invece, nessuna possibilità è stata data al secondo emendamento che mira a bloccare l’importazione di trofei di caccia in Italia. Delusione per l’assenza, all’interno dell’intera Legge di Bilancio, di fondi per la transizione cage-free per gli animali allevati a fini alimentari.
HSI/Europe accoglie con favore la segnalazione dell’emendamento 114.02 contenente “disposizioni in materia di spese di custodia di animali impiegati nei combattimenti e affetti da problematiche comportamentali” che passerà ora alla discussione in Aula, prima alla Camera dei Deputati e poi al Senato della Repubblica. L’emendamento, inspirato dal progetto IO NON COMBATTO, lanciato da HSI/Europe e dalla Fondazione CAVE CANEM per la repressione e la prevenzione del fenomeno criminoso dei combattimenti tra animali, già vietati dall’articolo 544-quinquies del codice penale, prevede lo stanziamento di €150.000 per la formazione tecnica e pratica specialistica del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei carabinieri, e di €350.000 per coprire i costi di custodia e di recupero comportamentale derivanti dal sequestro e dalla confisca di animali impiegati in tali attività criminali, nonché di animali affetti da problematiche comportamentali.
HSI/Europe, che dal 2020 con la campagna #NotInMyWorld, si batte per fermare il coinvolgimento dell’Italia nella caccia al trofeo, consta con dispiacere che, invece, l’emendamento 114.012 sulla “formazione e addestramento delle forze di polizia finalizzati al contrasto del commercio illegale e al controllo del commercio internazionale e della detenzione di specie di fauna e flora minacciati di estinzione e divieto di importazione, esportazione, e ri-esportazione dei trofei di caccia” è stato dichiarato inammissibile dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. L’emendamento prevedeva non solo suddetto divieto per tutte le specie protette ai sensi della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), ma anche specifiche pene per la violazione e la confisca dei trofei, nonché lo stanziamento di fondi per la formazione delle forze di polizia, finalizzata al contrasto del commercio illegale e al controllo del commercio internazionale e della detenzione di dette specie.
Infine, tra le grandi tematiche completamente assenti nella Legge di Bilancio, HSI/Europe, quale membro della Coalizione End the Cage Age, sottolinea la mancanza di previsioni riguardanti la transizione ad allevamenti cage-free, per la quale non è stato stanziato neanche un euro. Tra galline ovaiole, scrofe, conigli, quaglie e vitelli, sono ben 40 milioni gli animali allevati in gabbia ogni anno in Italia. L’Iniziativa dei Cittadini Europei “End the Cage Age” ha raccolto il consenso di oltre 1,4 milioni di cittadini UE, che hanno chiesto di vedere la fine dell’era delle gabbie in Europa. Si tratta di una transizione fattibile, oltre che doverosa e non più rinviabile. Il Governo italiano può e deve fare la differenza, puntando a un cambio di passo a livello nazionale, che faccia primeggiare l’Italia con politiche economiche mirate al sostegno di tale necessaria evoluzione.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe ha commentato: “La formazione delle Forze di polizia è l’arma migliore per fermare i criminali che ancora si divertono e arricchiscono scommettendo sulla pelle di poveri cani, la cui vita può migliorare se al sequestro da una situazione di abuso segue un percorso di recupero comportamentale. I fondi proposti dall’emendamento ispirato dal progetto IO NON COMBATTO sono essenziali per dare a questi cani una seconda chance e una vita degna, lontana dai combattimenti e fuori dal canile. Siamo invece delusi dall’impossibilità di portare avanti un divieto di importazione dei trofei di caccia. Avrebbe rappresentato un atto di responsabilità da parte dell’Italia nei confronti della fauna selvatica e un allineamento rispetto alla richiesta del Parlamento Europeo alla Commissione di intraprendere azioni urgenti per proibire l’importazione di trofei di caccia derivati da specie elencate dalla CITES. Inoltre, l’Italia avrebbe potuto unirsi ad altri Paesi europei nella regolamentazione del commercio di trofei di specie a rischio, attesa da tempo. Infine, dispiace constatare che il Governo non abbia ritenuto attuale e opportuno sostenere la transizione verso sistemi di allevamento cage-free, Nel 2023 la Commissione Europea presenterà la propria proposta legislativa per eliminare progressivamente le gabbie dagli allevamenti europei ed è meglio che l’Italia non si faccia cogliere impreparata nel sostenere questo inevitabile e debito passo in avanti. In generale serve maggiore responsabilità e sensibilità da parte del Governo su TUTTI i temi animali: sia che si tratti di cani, che di fauna selvatica e animali allevati a fini alimentari. Ringrazio l’On. Brambilla per l’instancabile sforzo su tutti i fronti!”
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Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885
Le associazioni Essere Animali, Humane Society International/Europe e LAV: “Ci appelliamo al Ministro Francesco Lollobrigida affinché emani il decreto, atteso da gennaio, per attuare l’eventuale cessione dei visoni e alla Commissione Europea per vietare in tutta l’UE allevamenti e commercio di pellicce”
Humane Society International
GALEATA, Italia—È stato reso noto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale il terzo focolaio italiano di SARS-CoV-2 all’interno di un allevamento di visoni, situato nel comune di Galeata (FC), ormai chiuso a seguito del divieto di allevamento entrato in vigore il primo di gennaio 2022. Nonostante tale divieto, ad oggi non è stato emanato il Decreto del Ministro delle Politiche Agricole, di concerto con i Ministri della Salute e della Transizione Ecologica recante “Criteri e modalità di corresponsione dell’indennizzo a favore dei titolari degli allevamenti di visoni, volpi, cani procione, cincillà e di animali di qualsiasi specie per la finalità di ricavarne pelliccia, nonché la disciplina delle cessioni e della detenzione dei suddetti animali”, con scadenza 31 gennaio 2022. Le associazioni Essere Animali, Humane Society international/Europe e LAV lanciano un appello al Ministro dell’Agricoltura e della Sicurezza Alimentare Francesco Lollobrigida e richiamano all’attenzione la necessità di vietare allevamento e commercio di pellicce in tutte l’Unione Europea, tramite l’Iniziativa dei Cittadini Europei #FurFreeEurope.
“Da gennaio attendiamo il decreto interministeriale per avviare lo svuotamento degli ultimi 5 allevamenti dove ancora sono stabulati e ammassati, in minuscole gabbie, più di 5.000 visoni. È evidente come l’inazione dei Ministeri competenti stia continuando a rappresentare un rischio per la salute pubblica e continui ad ignorare i principi più basilari di benessere animale. Chiediamo al Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida di intervenire con urgenza dando concreta attuazione a quanto sancito con la legge di bilancio 2022 e consentire quindi il trasferimento di almeno alcuni dei visoni ancora rinchiusi nelle gabbie degli allevamenti intensivi” – dichiarano le associazioni Essere Animali, Humane Society international/Europe e LAV.
In Italia si sono già verificati 2 focolai di coronavirus in allevamenti di visoni per la produzione di pellicce, ad agosto 2020 a Capralba (Cremona) e gennaio 2021 a Villa del Conte (Padova). Nel mese di novembre, nell’ambito dello screening diagnostico obbligatorio finalizzato a intercettare l’eventuale introduzione del coronavirus SARS-CoV-2 in allevamenti di visoni (screening disposto dall’ex-Ministro della Salute Roberto Speranza a dicembre 2020) e che consiste nella effettuazione di 60 tamponi ogni 15 giorni in ogni allevamento a prescindere dalla numerosità dei visoni presenti, sono stati individuati due visoni positivi alla infezione da coronavirus in un terzo allevamento, a Galeata (FC). Dalla pubblicazione risalente al 24 novembre, sul database online del dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale, risulta che sono stati sottoposti a tampone (real-time PCR) per la manifestazione di segni clinici compatibili con l’infezione. Sebbene sia stato segnalato il decesso di un visone, non è chiaro se i restanti animali siano stati abbattuti o se altri siano morti a causa dell’infezione. AGGIORNAMENTO al 7 dicembre 2022: La Commissione Europea ha confermato l’abbattimento sanitario dei restanti 1.522 visoni dell’allevamento.
L’allevamento in questione è quello sito nel territorio del comune di Galeata (FC) e, insieme agli altri allevamenti di Ravenna frazione San Marco (640 visoni), Capergnanica (Cremona, 1.180 visoni), Calvagese della Rivera (Brescia, 1.800 visoni), e Castel di Sangro (L’Aquila, 18 visoni), è una delle ultime strutture in Italia dove ancora migliaia di visoni “riproduttori” sono rinchiusi nelle gabbie.
Questi animali sarebbero stati utilizzati per l’avvio di un nuovo ciclo produttivo nel 2021, ma in seguito al temporaneo divieto alla riproduzione (disposto e prorogato dall’allora Ministro della Salute come misura anti-Covid essendo questi allevamenti riconosciuti come potenziali serbatoi del coronavirus) e al successivo divieto permanente all’allevamento di visoni e ogni altro animale per la produzione di pellicce (approvato in via definitiva con specifico emendamento alla legge di Bilancio 2022, L.234 del 30 dicembre 2021, articolo 1 commi 980-984 e che, di fatto, stando ai dati della produzione italiana, ha evitato lo sfruttamento di almeno 60.000 visoni l’anno), sono rimasti in una sorta di limbo non potendo essere uccisi per finalità commerciali (l’ottenimento della pelliccia) o per esigenze di salute pubblica (in assenza di conclamata infezione da coronavirus) e non potendo essere liberati in natura (in quanto predatori non autoctoni e potenziali reservoir del virus pandemico).
Secondo le disposizioni della Legge 234/2021 che ha bandito gli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce, il Ministro dell’Agricoltura avrebbe dovuto disciplinare, mediante decreto, le modalità di indennizzo per gli allevatori di visoni e l’eventuale cessione di questi animali a strutture gestite direttamente o in collaborazione con associazioni animaliste. Se il Decreto fosse stato adottato nei tempi previsti, fine gennaio, probabilmente, almeno parte dei visoni all’epoca presenti negli allevamenti in dismissione, avrebbero potuto essere accasati in altre strutture diminuendo così la densità di popolazione e, di conseguenza, l’assembramento di animali particolarmente suscettibili alla infezione da coronavirus SARS-CoV-2.
Questo grave ritardo nella gestione degli oltre 5.000 visoni ancora presenti negli allevamenti chiusi non costituisce solo un problema di benessere animale (bisogna considerare che, di fatto, questi visoni sono rinchiusi nelle stesse gabbie di pochi centimetri quadrati da ormai almeno 2 anni, e probabilmente anche 3 o 4 anni trattandosi di animali “riproduttori”), ma rappresenta un oggettivo potenziale pericolo anche per la salute pubblica. La catena di contagio uomo-visone-uomo (con un salto di specie di ritorno e con un virus mutato) è stata ampiamente documentata sin dai primi casi segnalati in Olanda a maggio 2020 (report “L’allevamento di animali da pelliccia, il COVID-19 e i rischi di malattie zoonotiche”, gennaio 2021).
“Per evitare il rischio di formazione di nuovi focolai di coronavirus in allevamenti di visoni europei, e per risparmiare la vita di milioni di animali sfruttati solo per il valore della loro pelliccia, invitiamo chi ancora non lo avesse fatto a sostenere, con una firma, la petizione di Iniziativa dei Cittadini Europei “Fur Free Europe” con la quale stiamo chiedendo alla Commissione Europea di vietare in tutta l’UE gli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce e il commercio, compreso l’import, di prodotti di pellicceria. Entro maggio 2023 dobbiamo raggiungere 1 milione di firme in tutta l’UE, ad oggi già oltre 600.000 europei hanno dato il proprio consenso” – concludono le associazioni Essere Animali, Humane Society international/Europe, LAV.
FINE
APPROFONDIMENTO
Focolai di coronavirus in allevamenti italiani di visoni:
Capralba (Cremona), primo focolaio. Con oltre 26.000 visoni era il più grande allevamento italiano di visoni. Nell’agosto 2020 un lavoratore addetto alla gestione dei visoni è risultato positivo al coronavirus; sono seguiti accertamenti diagnostici sugli animali (ma non uno screening in tutti gli allevamenti come sarebbe stato più sensato fare) da cui sono emerse alcune positività. Tutti i visoni sono poi stati abbattuti a dicembre 2020, dopo anche ulteriore conferma di intercorsa infezione con test sierologici.
Villa del Conte (Padova), secondo focolaio. In assenza di uno screening obbligatorio (nonostante il focolaio rilevato ad agosto a Capralba) tutti gli allevamenti italiani di visoni hanno potuto portare a termine il ciclo produttivo. Così è stato anche per l’allevamento di Villa del Conte che, nel 2020, ha potuto ricavare pellicce dai circa 10.000 visoni all’epoca presenti e immetterle nel circuito commerciale. Solo a gennaio 2021, con l’avvio dello screening obbligatorio è risultato che quelle pellicce erano state ottenute da animali positivi al coronavirus e potenzialmente sono state ulteriore vettore per la diffusione del virus. I circa 3.000 visoni “riproduttori” rimasti in allevamento dopo il 2021 e risultati positivi, anche ai test sierologici, sono stati abbattuti il 14 dicembre 2021.
Galeata (FC), terzo focolaio. Focolaio intercettato il 9 novembre 2022. I test condotti il 14 novembre 2022 hanno identificato due casi, ed è stato segnalato un decesso. La Commissione Europea ha confermato l’abbattimento sanitario dei restanti 1.522 visoni dell’allevamento.
Ulteriore situazione di malagestione dei visoni negli allevamenti italiani:
Castel di Sangro (AQ), moria di visoni per intossicazione alimentare. 1.035 visoni sono morti di una morte improvvisa ed estremamente dolorosa a causa di una intossicazione alimentare. Dagli accertamenti condotti dalle autorità sanitarie, agli animali è stata somministrata carne di pollo avariata o contaminata. In allevamento sono rimasti meno di 20 visoni.
Contatto: Martina Pluda: Direttrice per l’Italia – mpluda@hsi.org; 3714120885
Aggiornato il 13 dicembre 2022
Il caso dei conigli e delle quaglie affrontato in un evento organizzato da Animal Equality, CIWF Italia, Essere Animali e HSI/Europe per la coalizione italiana End The Cage Age
Humane Society International
ROMA—“La transizione verso allevamenti senza gabbie per tutti gli animali è fattibile, oltre che doverosa” è ciò che hanno affermato Animal Equality, CIWF Italia Onlus, Essere Animali e Humane Society International/Europe nell’evento organizzato per la coalizione italiana End the Cage Age, al fine di discutere il passaggio a sistemi cage-free per conigli e quaglie, con la presentazione di un report in merito, realizzato dal Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) e presentato durante il convegno “Senza gabbie è possibile – Dare seguito all’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age”, tenutosi ieria Roma, presso Spazio Europa.
In Europa, ogni anno, oltre 300 milioni di animali (galline, scrofe, vitelli, conigli, quaglie e anatre) vengono ancora allevati in gabbia, per tutta o una parte significativa della loro vita. Oltre 40 milioni di loro solo in Italia. In risposta all’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age, la Commissione Europea si è impegnata a proporre entro il 2023 una normativa per eliminare l’utilizzo delle gabbie nell’allevamento.
Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia, che ha moderato i lavori del convegno, ha dichiarato: “Siamo fieri, oggi, di potere gettare luce sulla situazione degli animali più dimenticati tra quelli che soffrono nelle gabbie, italiane ed europee: i conigli e le quaglie. Milioni e milioni di individui privati di tutto ciò che renderebbe la loro vita almeno maggiormente compatibile con i loro bisogni etologici. Non esageriamo dicendo che la vita in gabbia per loro è una vera tortura.”
Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia, ha ricordato il percorso compiuto per arrivare al successo dell’Iniziativa dei Cittadini Europei “End the Cage Age” che, con la straordinaria mobilitazione dei cittadini, ha condotto alla raccolta di 1.4 milioni di firme certificate. Ha sostenuto: “Non è tempo per le esitazioni, né tantomeno per un dietro front. È tempo di abbracciare con entusiasmo una versione migliore della nostra società. Liberare gli animali dall’incubo delle gabbie, un incubo che NOI abbiamo creato, è il minimo che possiamo fare per loro.”
Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane Society International, ha sottolineato come la transizione ad allevamenti senza gabbie sia tanto più urgente per i conigli e le quaglie, animali non protetti da alcuna normativa specie-specifica europea o nazionale: “Sebbene l’articolo 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea richiami l’Unione Europea e gli Stati Membri a tenere pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, le specie protagoniste dell’incontro odierno languono in gabbia e un in vuoto legislativo da colmare urgentemente.”
Animali stipati in spazi piccolissimi, come ha ricordato Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali, illustrando le scioccanti immagini raccolte dalla sua organizzazione in allevamenti delle due specie in questione: “Risale al 2012 la nostra prima inchiesta sulle gabbie; anche la nostra ultima, di queste settimane. Queste immagini ci rendono tristi e arrabbiati. Sono passati dieci anni e le cose devono cambiare” ha ribadito.
Il Dr. Marcello Volanti, medico veterinario che si occupa di allevamenti biologici, biodinamici ed estensivi ha confermato che la necessità di relegare l’allevamento in gabbia al passato ha anche solide ragioni scientifiche. Ha infatti dichiarato: “Non si può parlare di benessere in gabbia, perché conigli e quaglie sono impossibilitati nel movimento e nell’espressione dell’etogramma di specie. Questi animali vivono in uno stato di permanente sofferenza che non comprendono ma sopportano per grande capacità di adattamento. Lo stare in gabbia comporta all’animale una serie di gravi problematiche fisiche e psicologiche”.
Una parte importante del convegno ha riguardato la presentazione del report “Valutazione dell’impatto economico dell’eliminazione delle gabbie negli allevamenti di conigli da ingrasso e quaglie”, realizzato dal Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) per conto di CIWF Italia, Essere Animali e Humane Society International/Europe, che analizza in dettaglio i costi di passaggio a sistemi cage-free per conigli da ingrasso e quaglie, sia ovaiole che allevate per la loro carne, in Italia.
Per quanto riguarda i conigli le gabbie bicellulari, che non danno alcuna garanzia in termini di benessere animale, possono essere sostituite dai sistemi park, ovvero in recinti sopraelevati e privi di copertura, in cui gli animali sono in grado di esprimere alcuni dei loro comportamenti naturali più elementari, come quello di saltare e nascondersi. Per quanto riguarda le quaglie, le gabbie in cui sono stipate decine di animali, possono essere sostituite da sistemi “free-to-fly”.
Secondo lo studio, nelle 4 regioni che allevano l’80% dei conigli “da ingrasso” (Veneto, Piemonte, Lombardia e Friuli Venezia-Giulia) il costo totale di investimento per effettuare la dismissione delle gabbie e il passaggio al sistema park ammonterebbe a €152 milioni. Per le quaglie invece, su base nazionale, a €1,7 milioni per quelle produttrici di uova, mentre €810.000 per quelle allevate per la loro carne.
Alessandro Gastaldo, ricercatore del CRPA, illustrando il report realizzato da un gruppo di lavoro composto anche da Paolo Rossi e Ambra Motta, ha dichiarato: “Anche nei comparti minori, come quelli dei conigli e delle quaglie, stanno destando sempre maggiore interesse le tecniche alternative di allevamento che puntano a un miglioramento del benessere animale, soprattutto agendo sull’a eliminazione delle gabbie per tutto il ciclo di vita dell’animale. Con questi sistemi è possibile migliorare la qualità di vita dei soggetti allevati, in particolare dai punti di vista della socializzazione, della libertà di movimento e della maggiore stimolazione sensoriale, con possibilità per gli animali di assumere comportamenti più consoni all’indole specifica, con forte riduzione dei comportamenti anomali (stereotipie motorie). I costi di questa riconversione sono risultati pari a €29-53 per posto coniglio da ingrasso e a €5,45 e €2,63 rispettivamente per quaglie ovaiole e da ingrasso.”
A nome di tutta la coalizione italiana End The Cage Age, Animal Equality, CIWF Italia, Essere Animali e Humane Society International/Europe hanno rinnovato l’appello al Governo italiano a dare il proprio fondamentale contributo sia sostenendo il divieto legislativo delle gabbie a livello europeo sia avviando, tramite politiche economiche mirate, la transizione cage-free anche in ambito nazionale: “Lo studio del CRPA ha mostrato fattibilità e costi. Non ci sono più scuse per ritardare oltre; ora è solo una questione di volontà. Chiediamo al Governo italiano di investire nella transizione cage-free senza indugi” hanno detto le associazioni.
L’evento ha visto gli interventi anche delle parlamentari Eleonora Evi (Alleanza Verdi e Sinistra), Michela Vittoria Brambilla (Misto) e Alessandra Maiorino (Movimento 5 Stelle).
L’Onorevole Eleonora Evi ha ricordato: “Una mobilitazione straordinaria di cittadini europei e il lavoro instancabile di moltissime ONG hanno portato ad ottenere l’impegno storico da parte della Commissione Europea di proporre nel 2023 una legislazione per abbandonare l’allevamento in gabbia. Ora tocca alla politica ascoltare i richiami della scienza e agire. Non ci sono più scuse, la transizione verso sistemi di allevamento cage-free sono fattibili. E l’Italia, ancora fanalino di coda, deve fare la sua parte, sia a livello nazionale che europeo per porre fine una volta per tutte alla barbarie dell’allevamento in gabbia.”
L’Onorevole Michela Vittoria Brambilla ha dichiarato: “Al Governo del mio paese, e agli stessi operatori economici del settore, chiedo di appoggiare convintamente la transizione ad un allevamento senza gabbie per il quale si è già impegnata la Commissione Europea. Allo scopo non bisogna avere esitazioni a spendere di più: “Tutto ciò che serve”, per una battaglia di modernità e di civiltà.”
La Senatrice Alessandra Maiorino ha infine sostenuto che: “Passare ad un sistema di allevamento senza gabbie non solo è possibile, ma è doveroso per rispettare il benessere degli animali e tutelare la salute umana. Non dimentichiamo però che tale istanza nasce soprattutto da un’accresciuta presa di coscienza e sensibilità dei cittadini e delle cittadine rispetto ad un sistema che vede ancora degli esseri senzienti, gli animali, appunto, sfruttati alla stregua di una semplice merce, costringendoli a subire trattamenti inumani. Come Movimento 5 Stelle abbiamo sposato la causa “End the Cage Age”, inserendola anche nel nostro programma politico, in quanto siamo convinti che sia necessario trovare un nuovo equilibrio tra uomo e ambiente.”
Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia, chiudendo l’evento, ha concluso: “Un divieto legislativo all’uso delle gabbie in allevamento è, tra tante, la conquista più grande che possiamo ottenere nel prossimo futuro. Con l’impegno della Commissione Europea, siamo molti più vicini a realizzarla. Continueremo a lavorare senza sosta affinché queste gabbie infernali vengano relegate al passato per tutti gli animali, compresi quelli più dimenticati, come conigli e quaglia.”
Formata da 22 associazioni* la coalizione trae il proprio nome dall’a Iniziativa dei cittadini europei (ICE) “End The Cage Age”, che ha raccolto oltre 1 milione e 400 mila firme certificate in tutta Europa, ed è stata la prima ICE su un tema legato agli animali allevati a scopo alimentare ad avere successo, nonché la terza in assoluto per numero di firme nella storia dell’Unione Europea. Un risultato straordinario, che mostra in modo inequivocabile la sempre maggiore sensibilità dei cittadini verso le condizioni di vita degli animali allevati. Ed è proprio riconoscendo la voce forte e chiara dei cittadini che la Commissione Europea lo scorso 30 giugno ha dichiarato di accogliere le istanze dell’a ICE “End the Cage Age”, impegnandosi pubblicamente a presentare entro il 2023 una proposta legislativa per eliminare gradualmente le gabbie, con l’obiettivo di arrivare, entro il 2027, al divieto totale del loro impiego nell’Unione Europea.
* Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia Onlus, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, HSI /Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus.
FINE
Contatto: Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885
158 specie di rane di vetro e 95 specie di squali e pesci chitarra ricevono una nuova protezione, mentre il commercio internazionale di parti di ippopotamo per scopi commerciali continuerà.
Humane Society International
PANAMA—Si è conclusa la XIX riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione, nota come CITES. Nelle ultime due settimane a Panama, i delegati dei 184 Paesi membri hanno esaminato 42 proposte, alcune finalizzate ad aumentare, altre, purtroppo, a diminuire la protezione di 356 specie di animali selvatici.
In particolare, a seguito delle decisioni assunte durante la XIX riunione, 345 specie animali selvatiche godranno di una nuova o maggiore protezione dal commercio internazionale: squali, pesci chitarra, razze, rane di vetro, lucertole, tartarughe e uccelli sono tra gli ordini e le specie di animali che hanno tratto beneficio da quanto concordato durante l’incontro. Le Parti hanno anche deciso di ridurre di 610 il numero di trofei di caccia di leopardo e di pelli per uso personale che possono essere esportati da alcuni paesi africani. Nello specifico, su richiesta di Kenya, Malawi ed Etiopia, la quota annuale di esportazione di leopardi dell’Etiopia è stata ridotta da 500 a 20 e il Kenya e il Malawi sono stati completamente rimossi dalle assegnazioni di quote di esportazione di questi felini. Fortunatamente, inoltre, le nazioni partecipanti hanno rifiutato di adottare alcune pericolose proposte che avrebbero, di fatto, aperto il commercio internazionale di corni di rinoceronte bianco meridionale e di avorio di elefante africano.
Una delle più grandi delusioni è stata, invece, l’incapacità delle Parti di aumentare la protezione degli ippopotami, con l’obiettivo ultimo di porre fine al commercio internazionale legale di loro parti, innanzitutto i denti d’avorio, a fini commerciali. L’Unione Europea, che ha espresso i suoi 27 voti contrari a questa proposta, ha dunque ignorato le richieste di aiuto da parte delle nazioni nei cui territori ricadono gli habitat dell’ippopotamo, lasciando aperta questa strada, attivamente utilizzata dai trafficanti di animali selvatici.
“95 specie di squali e pesci chitarra hanno ricevuto una nuova protezione nell’Appendice II della CITES”, ha dichiarato Rebecca Regnery, Senior director of wildlife di Humane Society International (HSI). “Queste specie sono minacciate dalla pesca non sostenibile e non regolamentata, che alimenta il commercio internazionale della loro carne e delle loro pinne e che ha determinato un forte declino della popolazione. Con l’inserimento nell’Appendice II, le Parti della CITES possono autorizzare il commercio solo se lo stesso non risulta dannoso per la sopravvivenza della specie in natura, dando a queste specie la tutela di cui hanno bisogno per riprendersi dal sovrasfruttamento”.
“Le rane di vetro hanno ricevuto una nuova protezione nell’Appendice II della CITES”, ha invece dichiarato Grettel Delgadillo, Vicedirettrice di HSI/America Latina. “Le rane di vetro riceveranno, finalmente, la protezione di cui hanno bisogno, a fronte dell’orribile, crescente e spesso illegale commercio internazionale di animali domestici. Era fondamentale che tutte le 158 specie di rane di vetro fossero incluse nell’Appendice II, poiché è difficile distinguere le differenti specie di rane di vetro in commercio. L’inserimento nell’Appendice II consentirà a queste rane, molto ricercate e minacciate, di trovarsi finalmente al riparo dal commercio internazionale di animali selvatici”.
“Su richiesta di Kenya, Malawi ed Etiopia, le parti hanno concordato di ridurre significativamente, ovvero di 610 leopardi all’anno, le quote di questi Paesi per le esportazioni di trofei di caccia di leopardo e di loro pelli per uso personale, eliminando del tutto le quote di Kenya e Malawi”, ha commentato Sarah Veatch, Director of wildlife policy di HSI. “Questo è importante perché le popolazioni di leopardi sono diminuite del 30% nelle ultime tre generazioni nell’Africa sub-sahariana – contrariamente a quanto riportato dalle stime eccessive di molti Paesi che praticano la caccia – e mancano dati adeguati a comprendere realmente la portata della situazione di conservazione del leopardo. Quote eccessive di caccia al trofeo, basate su interessi venatori stranieri – e non su dati scientifici – rappresentano una pericolosa pressione sui leopardi, i quali sono anche minacciati dalla perdita di habitat e da altri fattori. Anche se plaudiamo al passo compiuto questa settimana dalla CITES per proteggere questi animali iconici, le Parti hanno ancora molto lavoro da fare per azzerare le quote di esportazione del leopardo per tutti i Paesi, unico modo per proteggere davvero questa bellissima specie dalla scomparsa”.
“Siamo molto delusi dal fatto che le Parti non abbiano adottato una proposta per fermare il tragico e legale commercio internazionale di avorio e di altre parti di ippopotamo per scopi commerciali”, ha affermato Sophie Nazeri, wildlife program coordinator di HSI. “L’ippopotamo comune è minacciato dal bracconaggio per i suoi denti d’avorio, i quali vengono spesso riciclati nel commercio legale di avorio di ippopotamo. Purtroppo, le Parti e, in particolare, l’Unione Europea, hanno ignorato le richieste di aiuto degli Stati di habitat dell’ippopotamo e hanno lasciato aperta questa pericolosa e crudele strada utilizzata dai trafficanti di animali selvatici. Humane Society International continuerà a lottare per la protezione di questa incredibile specie”.
I membri della CITES hanno aumentato o fornito nuova protezione a:
95 specie di squali, tra le quali 54 specie di squali requiem, lo squalo martello tiburo e tre altre specie di squali martello, nonché 37 specie di pesci chitarra, commercializzati a livello internazionale per le loro pinne e la loro carne;
Sette specie di razze d’acqua dolce e l’Hypancistrus zebra, commercializzati a livello internazionale per i pesci d’acquario;
160 specie di anfibi, tra le quali 158 specie di rane di vetro, l’Agalychnis lemur e il Laotriton laoensis, commercializzati a livello internazionale come animali domestici esotici;
52 specie di tartarughe, tra cui la tartaruga matamata dell’Amazzonia (Chelus fimbriata), la tartaruga matamata dell’Orinoco (Chelus orinocensis), la testuggine alligatore, la testuggine azzannatrice, cinque specie di tartarughe geografiche a testa larga, la tartaruga rugosa rosso-coronata, la tartaruga scatola indocinese, nove specie di tartarughe dell’ordine dei Rinoclemmidini, le tartarughe della specie Claudius angustatus, 19 specie di tartarughe del fango (appartenenti al genere Kinosternon), la la grande tartaruga di fango dell’America centrale (Staurotypus triporcatus), le tartarughe della specie Staurotypus salvinii, altre sei specie della famiglia Kinosternidae, tre specie di tartarughe dal guscio molle e la tartaruga dal guscio molle di Leith, commercializzate a livello internazionale come animali domestici esotici, per la loro carne e per altre parti del corpo destinate al consumo umano;
Due specie di uccelli, lo shama groppabianca (Copsychus malabaricus) e il bulbul testapaglia (Pycnonotus zeylanicus), commercializzati a livello internazionale per il commercio di uccelli canori;
Tre specie di oloturie, comunemente detti cetrioli di mare, commercializzati a livello internazionale per il consumo umano;
25 specie di lucertole, tra cui il drago d’acqua cinese, il Cyrtodactylus jeyporensis, il geco dall’elmetto, 21 specie di lucertole cornute e lo scinco dalla lingua blu (Tiliqua adelaidensis), commercializzate a livello internazionale come animali domestici esotici.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885
Consegnate al Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica più di 4.000 cartoline firmate dalla popolazione italiana contro la caccia al trofeo
Humane Society International
ROMA—Humane Society International/Europe ha consegnato più di 4.000 cartoline firmate da cittadini e cittadine italiani/e al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, che esortano il Ministro Gilberto Pichetto Fratin a vietare l’importazione, esportazione e ri-esportazione, verso e dall’Italia, dei trofei di caccia ottenuti da animali appartenenti a specie protette a livello internazionale. L’organizzazione per la protezione degli animali aveva lanciato nelle scorse settimane un esplicito appello alla popolazione italiana, invitandole, tramite un’apposita piattaforma, a firmare una cartolina indirizzata al Ministro Pichetto Fratin per sostenere la campagna #NotInMyWorld, in un momento politicamente cruciale per la tutela degli animali, visto l’insediamento del nuovo governo. “È ora che dall’estero si mandino cartoline, non trofei di caccia!”, questo lo slogan che accompagna la consegna delle cartoline.
La caccia al trofeo mette a rischio la conservazione di moltissime specie animali, uccise per divertimento, nonostante la loro protezione sia regolamentata dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) a causa del calo demografico. Tra il 2014 e il 2020, l’Italia ha importato legalmente 437 trofei di caccia provenienti da specie di mammiferi protette a livello internazionale – come ippopotami, elefanti e leoni – nonostante l’86% degli Italiani si opponga a tale pratica.
La consegna delle cartoline a Roma rappresenta la più recente attività della campagna #NotInMyWorld, lanciata a settembre 2021 da HSI/Europe per sensibilizzare l’opinione pubblica e spingere i governi nazionali dell’Unione Europa ad agire contro la caccia al trofeo. La campagna chiede infatti all’UE e a tutti gli Stati Membri di introdurre un divieto di importazione di trofei di caccia ottenuti da animali elencati dalla CITES.
In Italia, la campagna ha già fatto diversi, importanti progressi, tra i quali spiccano la petizione lanciata da HSI/Europe, che ha finora raccolto più di 43.000 firme in Italia, nonché la presentazione della prima proposta di legge sull’argomento. Questa proposta di legge presentata durante la scorsa legislatura e recentemente riproposta in Parlamento, è stata elaborata per rispondere alle criticità legate al coinvolgimento dell’Italia nella caccia al trofeo, sollevate dal rapporto pubblicato nel 2021 da HSI/Europe. Il rapporto evidenzia altresì il ruolo prominente in questa pratica dell’Unione Europea, che risulta il secondo importatore mondiale di trofei di caccia dopo gli Stati Uniti, compresi quelli di specie minacciate e in via di estinzione.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, ha dichiarato: “Chiediamo al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin di fare la propria parte per porre fine a questa attività crudele, dannosa e neo-coloniale, implementando in Italia un divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione di trofei di caccia provenienti da specie protette. Un primo, cruciale passo per fermare il coinvolgimento dell’Italia in questa macabra pratica. In attesa che il Parlamento possa discutere e approvare la proposta di legge, già presentata nella precedente e nell’attuale legislatura, riteniamo che sia giunto il momento che il Governo italiano prenda le distanze dall’uccisione di animali a rischio e in via di estinzione, come stanno già facendo altri paesi europei e come ha recentemente chiesto anche il Parlamento Europeo. Europei e italiani si recano regolarmente all’estero per uccidere specie protette e portarne a casa parti del corpo come “souvenir” da esporre come suppellettili, tavolini, tappeti o decorazioni d’interni. È ora che dall’estero si mandino cartoline, non trofei di caccia!”
Foto della consegna delle cartoline sono disponibili al seguente link (creare account per il download)
INVITO STAMPA
Il 22 novembre p.v. alle ore 18:00 HSI/Europe e Rivista Africa – testata autorevole sulle tematiche riguardanti il continente africano – ospiteranno l’evento online “Safari – Animali nel mirino”. Metteremo a confronto punti di vista opposti sulla caccia al trofeo e ascolteremo le ragioni e le testimonianze di chi si batte ogni giorno per salvaguardare gli animali e la biodiversità dell’Africa (e non solo). Parleremo degli sforzi per la conservazione della fauna selvatica, della caccia al trofeo tra miti e realtà, delle minacce alle specie protette, del delicato equilibrio tra esseri umani e il resto del mondo animale. Programma e link per effettuare l’iscrizione gratuita.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885
Il video diffuso dalla coalizione End the Cage Age per chiedere al nuovo Governo italiano di sostenere il divieto di allevamento in gabbia, già annunciato dalla Commissione UE e richiesto da cittadini e cittadine dell’Unione europea
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ROMA—Una nuova indagine, realizzata dal team investigativo di Essere Animali e diffusa dalla coalizione italiana End the Cage Age, documenta le condizioni di due allevamenti di quaglie situati in Lombardia e Veneto, le regioni italiane con il maggior numero di allevamenti di questa specie, fornendo un quadro molto preoccupante. Pur essendo poco conosciuto, l’allevamento di quaglie per la produzione di uova e carne coinvolge in Italia un numero di animali tutt’altro che irrisorio. Secondo la Banca Dati Nazionale del Ministero della Salute, nel 2021, nel nostro Paese, sono state macellate oltre 8,5 milioni di quaglie.
Dalle immagini raccolte emerge che gli animali sono allevati all’interno di capannoni, rinchiusi in gabbie spoglie e prive di qualunque arricchimento ambientale, delle dimensioni di circa 1 metro di lunghezza per 0,5 metri di larghezza, disposte in serie una a fianco all’altra e su più piani. All’interno di ciascuna gabbia sono ammassate circa 50 quaglie che, una volta raggiunta la maturità sessuale, risultano avere a disposizione ognuna una superficie di soli 100 cmq, ovvero uno spazio di 10 cm x 10 cm.In tali condizioni, gli animali non possono in alcun modo muoversi liberamente e soddisfare le proprie esigenze comportamentali come correre, volare, esplorare e razzolare. Inoltre, densità elevate impediscono agli animali più deboli di trovare riparo da animali più aggressivi, provocando un aumento degli episodi di aggressività, la cui causa è da ricercare anche nella totale assenza di arricchimenti ambientali, come ad esempio un substrato dove razzolare e becchettare o in cui fare i bagni di sabbia. Le quaglie manifestano il loro disagio beccandosi o strappandosi a vicenda le penne.
Le immagini dell’investigazione mostrano un elevato numero di quaglie prive di parte del piumaggio e alcuni animali agonizzanti o morti all’interno delle gabbie. Inoltre, ogni volta che sono spaventate, ad esempio all’entrata del personale in allevamento, le quaglie tentano di fuggire e istintivamente spiccano il volo, colpendo con la testa il piano superiore delle gabbie, la cui altezza è di soli 20 cm, e rischiando di ferirsi gravemente.Un’ulteriore problematica è causata dalla pavimentazione in rete metallica delle gabbie, che può causare agli animali malformazioni e ferite alle zampe, aumentando così il rischio di infezioni e malattie, ma anche essere una trappola mortale per i pulcini, che possono rimanere incastrati con le zampe nelle maglie della rete.
“Non si tratta di piccole aziende familiari, gli allevamenti di quaglie sono sistemi intensivi dove gli animali vengono rinchiusi in condizioni drammatiche. È vergognoso che nel nostro Paese e in Europa simili metodi di allevamento siano ancora consentiti”, commenta la coalizione.
Attualmente non esiste una legislazione specie-specifica che tuteli le quaglie allevate per la produzione di uova o carne nell’Unione europea. Le quaglie allevate per la produzione di uova trascorrono tutti gli 8 mesi della loro in vita in gabbia, mentre quelle allevate per la carne sono macellate a 5-6 settimane di vita.Lo stress e la frustrazione che derivano da queste condizioni di stabulazione, oltre a provocare sofferenza agli animali, indeboliscono il loro sistema immunitario e aumentano la possibilità che contraggano malattie, la cui trasmissione è facilitata dall’estrema vicinanza tra individui. Le conseguenze non riguardano solo il benessere degli animali, poiché il frequente utilizzo di antibiotici somministrati negli allevamenti intensivi aumenta il rischio che patogeni, pericolosi anche per la salute umana, sviluppino resistenze ad antibiotici normalmente utilizzati in medicina umana.
Lo scorso 30 giugno 2021, la Commissione europea si è impegnata a vietare definitivamente l’uso delle gabbie negli allevamenti entro il 2027. Entro il 2023 verrà presentata una proposta legislativa per avviare la transizione e la graduale dismissione. Un risultato straordinario ottenuto grazie ai 1,4 milioni di persone che hanno firmato l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) End the Cage Age, la prima riguardante le condizioni degli animali negli allevamenti intensivi a raggiungere questo obiettivo.
“Nell’Unione europea, milioni di animali allevati a scopo alimentare sono ancora rinchiusi in gabbia. È giunto il momento di vietare questo crudele metodo di allevamento. Il ruolo dell’Italia e del nuovo Governo italiano può essere fondamentale in questo importante passo di civiltà. Chiediamo a Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura e a Orazio Schillaci, Ministro della Salute di prendere una posizione netta contro l’utilizzo delle gabbie, sostenendo l’impegno preso dalla Commissione europea e le richieste dei cittadini, promuovendo anche a livello nazionale l’adozione di una normativa che ne vieti l’utilizzo”, conclude la coalizione.
Materiale:
Video dell’investigazione negli allevamenti italiani di quaglie;
Fotografie dell’investigazione, liberamente utilizzabili con il credit: End the Cage Age / Essere Animali.
FINE
Note alla stampa:
L’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “End the Cage Age” è stata lanciata nel 2018 per chiedere la fine dell’uso di ogni tipo di gabbia per allevare animali a scopo alimentare, sostenuta da oltre 170 associazioni in 28 paesi: la più grande coalizione europea di ONG mai riunitasi. L’Iniziativa si è conclusa come da normativa europea un anno dopo, con il risultato eccezionale di 1,4 milioni di firme certificate.
In Italia la campagna è sostenuta da 22 organizzazioni: Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia Onlus, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, HSI/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus.
Contatto:Martina Pluda, Direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885