MILANO—Dopo aver ricevuto migliaia di richieste via e-mail, al telefono e sui propri profil social media da consumatori preoccupati di tutto il mondo e aver assistito al sorvolo della propria sede centrale, a Reggio Emilia, di una mongolfiera che chiedeva all’azienda di eliminare l’uso delle pellicce, il Max Mara Fashion Group ha annunciato ufficialmente l’introduzione di una politica fur-free.
In una nota interna al personale, Max Mara ha dichiarato: “L’Azienda non vende, né online né in nessuna delle sue sedi fisiche di vendita al dettaglio, prodotti realizzati con pellicce, né c’è l’intenzione di introdurre prodotti realizzati con pellicce nelle prossime collezioni dei marchi del Max Mara Fashion Group”.
Questo è stato confermato da un dirigente di Max Mara, che ha aggiunto: “Max Mara, compreso il MMFG e tutte le sue filiali, ha adottato una policy fur-free e non ha intenzione di introdurre la pelliccia in nessuna delle prossime collezioni per nessuno dei marchi del MMFG”.
Questo annuncio giunge dopo che la Fur Free Alliance, una coalizione di oltre 50 organizzazioni per la protezione degli animali – tra cui Humane Society International – provenienti da oltre 35 Paesi, ha lanciato una campagna globale durante le settimane della moda di febbraio 2024 a New York, Londra, Milano e Parigi, esortando il gigante della moda italiana ad adottare una politica fur-free. In questo periodo sono state inviate oltre 270.000 e-mail, effettuate 5.000 telefonate e pubblicati innumerevoli post sui social media che hanno fatto arrivare un messaggio chiaro a Max Mara: eliminare l’uso di pelliccia animale.
Il Max Mara Fashion Group ha oltre 2.500 negozi in 105 paesi. In passato vendeva articoli come guanti di visone, polsini in pelliccia di volpe e un portachiavi di cane procione. Con questa policy, gruppo si unisce a molte delle principali case di moda del mondo che sono già diventate fur-free, tra cui Dolce & Gabbana, Saint Laurent, Valentino, Prada, Gucci, Versace, Alexander McQueen, Balenciaga e Armani.
Nel febbraio di quest’anno, Humane Society International/Europe e LAV hanno sorvolato con una mongolfiera la sede di Max Mara a Reggio Emilia, durante la Settimana della Moda di Milano, esponendo uno striscione con la richiesta di diventare fur-free.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe, ha dichiarato: “Siamo lieti di congratularci finalmente con il Max Mara Fashion Group per essersi unito ai numerosi gruppi di moda, marchi e rivenditori che hanno già preso la decisione etica di eliminare le pellicce dalle loro collezioni e dai loro scaffali. Sembra che la voce degli attivisti di tutto il mondo e il messaggio inviato a febbraio da LAV e HSI/Europe, con una mongolfiera in volo sopra la sede di Max Mara a Reggio Emilia, abbiano contribuito a convincere il gruppo a fare la cosa giusta. Ce l’abbiamo fatta!”.
Joh Vinding, presidente della Fur Free Alliance, ha dichiarato: “La Fur Free Alliance applaude Max Mara per essere diventata fur-free. Max Mara era uno degli ultimi marchi di moda globali a vendere ancora pellicce, quindi siamo felici che si sia ora unito alla lista di marchi fur-free che non vogliono avere più nulla a che fare con la crudeltà inflitta gli animali per la produzione di pellicce”.
Ad oggi, oltre 1.500 marchi e rivenditori hanno preso questa decisione aderendo al Fur Free Retailer Program.
Dati:
Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno per il commercio globale di pellicce. La maggior parte degli animali uccisi per la loro pelliccia sono allevati in in gabbie spoglie, in maniera intensiva.
L’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato in 21 Paesi Europei, tra cui 15 Stati Membri dell’UE: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia più Bosnia Erzegovina, Guernsey, Norvegia, Regno Unito, Macedonia del Nord e Serbia. Inoltre, due Paesi (Svizzera e Germania) hanno implementato normative talmente restrittive da aver di fatto posto fine all’allevamento di animali da pelliccia e tre Paesi (Danimarca, Svezia, Ungheria) hanno imposto misure che hanno posto fine all’allevamento di alcune specie. L’allevamento di visoni è stato vietato anche nella provincia canadese della Colombia Britannica. In Bulgaria, Romania e Svezia si sta attualmente discutendo l’introduzione di un divieto.
Israele è diventato il primo Paese a vietare la vendita di pellicce, nel 2021. Negli Stati Uniti, la vendita di pellicce è vietata nello Stato della California e in 16 città. La Svizzera sta attualmente valutando la possibilità di introdurre divieto di importazione per le pellicce.
I visoni di quasi 488 allevamenti in 13 Paesi in Europa e Nord America sono risultati infetti con il COVID-19. Per milioni di visoni, in Paesi come la Danimarca e l’Olanda, è stata ordinata la soppressione per motivi di salute pubblica. L’influenza aviaria A(H5N1) altamente patogena è stata riscontrata in 72 allevamenti di animali da pelliccia (uno in Spagna, 71 in Finlandia). Per circa 500.000 animali, tra cui visoni, volpi artiche, volpi rosse, cani procione e zibellini, è stato ordinato l’abbattimento sanitario.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885
LAV e HSI: “persa una grande occasione per compiere scelte coraggiose e sostenibili. Nessun segnale di una progressiva dismissione di materiali animali critici. Incoraggiamo il Gruppo a farlo!”
Humane Society International / Europa
Milano—Il Gruppo Prada ha pubblicato la sua prima “Animal Welfare policy”; per le associazioni animaliste LAV e Humane Society International/Europe non ambisce a eradicare la sofferenza animale dalla supply chain dell’azienda. La policy rappresenta un’autoregolamentazione delle modalità di approvvigionamento di materie prime ricavate da animali quali piume (per imbottiture e decorative), pelli (da quella bovina alle “esotiche”) e filati (lana di pecora, cashmere, mohair, alpaca e altri filati) e deferisce a sistemi di certificazione elaborati da queste stesse industrie che spesso non sono trasparenti, sostenibili e credibili in termini di benessere animale.
“Una grande delusione! Dopo gli importanti traguardi raggiunti nel 2020 con gli annunci della definitiva dismissione di pellicce prima e pelle di canguro poi, a seguito del proseguire delle relazioni con l’azienda in particolare sulle filiere più critiche quali sono quelle delle pelli esotiche e delle piume, ci saremmo aspettati ulteriori impegni di sostenibilità. Il Gruppo Prada si è invece limitato ad elencare quali sono le Certificazioni “Responsabili” da cui continuerà ad approvvigionarsi; unica positiva novità, la rinuncia alla lana d’angora (un filato ricavato da conigli e con metodi cruenti),” dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, commenta: “Se qualche anno fa abbiamo celebrato il Gruppo Prada per le sue scelte etiche in merito a certi materiali di origine animale, oggi la loro nuova policy, invece di costruire su quei principi etici, desta preoccupazione per ciò che l’azienda intende come standard accettabili di benessere animale e per la sua disponibilità a deferire a sistemi di certificazione gestiti dall’industria. Non possiamo che scuotere il capo di fronte all’uso di materiali estremamente problematici come le pelli di rettili selvatici, cacciati o allevati contro natura, o le piume che potrebbero derivare dall’industria cruenta del foie-gras. Dal dialogo con l’azienda ci saremmo aspettati più ambizione, in linea con la crescente domanda di prodotti veramente cruelty-free.”
Tra i punti più discutibili della Animal Welfare Policy di Prada, evidenziamo i seguenti:
nel paragrafo “Vision and Goals” Prada dichiara: “il Gruppo mira a procurarsi fibre e materiali animali solo da catene di approvvigionamento responsabili attraverso solidi schemi di verifica, con parametri misurabili e tracciabilità integrata”;
questa affermazione è tuttavia incoerente con quanto poi l’azienda stessa scrive in riferimento ai sistemi di certificazione da cui si approvvigiona e che, per esempio per piume e pelli di struzzo risulta che “Il Gruppo è consapevole che lo standard (il SAOBC South African Ostrich Business Chamber) è ancora in fase di piena implementazione e richiede ancora attenzione per quanto riguarda la robustezza e la creazione di una catena di custodia”.
Nel paragrafo “Core principles” l’azienda dichiara che: “si impegna a eliminare gradualmente in futuro altri materiali di origine animale la cui provenienza, secondo evidenze scientifiche, non è in linea con questa policy”;
tuttavia, questa policy si limita a citare standard industriali (anche riconoscendo il fatto che, alcuni, sono incompleti e necessitano di ulteriori verifiche) che sono scritti dagli stessi allevatori/fornitori dei materiali animali cui fanno riferimento; l’azienda non definisce propri standard cui i fornitori dovrebbero adeguarsi.
Inoltre, la decisione dell’azienda sulla eventuale dismissione di determinati materiali non dovrebbe essere in funzione di sole valutazioni “scientifiche”, ma deve tenere conto anche di considerazioni etiche e dell’opinione pubblica.
Nel paragrafo “Animal welfare commitment” l’azienda dichiara che: “I sistemi standard prescelti vengono selezionati in base alle loro prestazioni e devono contenere criteri validi nei settori chiave della tracciabilità, della trasparenza, della qualità delle pratiche relative al benessere degli animali e della metodologia di verifica.”;
Tuttavia, diversi standard industriali citati nella Policy non sono pubblici, quindi mancano in trasparenza (per esempio per i rettili quello dell’International Crocodilian Farmers Association ed il Responsible Reptile Sourcing Standard; ma anche quello della South African Ostrich Business Chamber per la filiera di pelle e piume di struzzo)
Infine, il Gruppo Prada dichiara che la pelle animale è un key material; ciononostante, nella Animal Welfare policy del Gruppo non c’è traccia di standard industriali o specifiche azioni dell’azienda in termini di maggiori tutele per gli animali di questa filiera oltre a quanto già prevedono le minime norme di legge vigenti nei Paesi da cui il Gruppo si approvvigiona (paesi che, non essendo esplicitati, possono anche essere extra-UE quindi con parametri anche inferiori a quelli europei).
“Le filiere produttive di materiali animali per la moda, oltre a criticità etiche, implicano palesi problemi di impatto ambientale legate alle emissioni di gas serra, al consumo e all’inquinamento dell’acqua, al consumo di suolo. Considerato che il Gruppo Prada si è voluto fortemente impegnare sul fronte della Sostenibilità del comparto moda, aderendo ai network ‘The Fashion Pact’ (iniziativa avviata dal presidente francese Emmanuel Macron con François-Henri Pinault, CEO Kering Group) e della ‘Fashion taskforce’ nell’ambito della Sustainable Markets Initiative di re Carlo III, incoraggiamo e chiediamo al Gruppo Prada di definire e rendere pubblica, per coerenza, una roadmap ambiziosa, da qui al 2030, per la riduzione e dismissione di materiali animali critici” concludono LAV e HSI/Europe.
Contatto stampa: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885
La produzione cinese di pellicce è diminuita di quasi il 90% nell’ultimo decennio, ma milioni di animali continuano a soffrire confinati negli allevamenti nonostante i rischi che pongono alla salute pubblica
Humane Society International / Europa
PECHINO/ROMA—I filmati allarmanti provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina mostrano volpi, cani procione e visoni esibire comportamenti ripetitivi e stereotipati associati ad un deterioramento mentale e animali tenuti in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale per la diffusione di malattie zoonotiche. L’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International ha pubblicato i filmati e rinnovato il suo appello per una fine globale al commercio delle pellicce.
Gli investigatori hanno visitato cinque allevamenti di animali da pelliccia nel dicembre 2023 nelle regioni settentrionali di Hebei e Liaoning, rilevando un ampio uso di antibiotici e la commercializzazione di carcasse di cani procione destinate al consumo umano.
Le statistiche ufficiali dell’Associazione cinese dell’Industria della Pelliccia e della Pelle, indicano una diminuzione del 50% nella produzione di pellicce nel Paese, tra il 2022 e il 2023 e un calo di quasi il 90% nel periodo dal 2014 al 2023. Dati in linea con la diminuzione globale della produzione di pellicce. Gli investigatori hanno notato la chiusura di un significativo numero di allevamenti di piccole e medie dimensioni precedentemente attivi nella zona, dovuta alle scarse vendite. Nonostante rimanga il principale paese produttore di pellicce al mondo, la Cina non può ignorare il cambiamento globale che ha investito consumatori e designer, sempre meno inclini ad utilizzare le pellicce, sia per motivi di benessere animale, sia per motivi ambientali.
L’investigatore cinese Xiao Chen ha dichiarato: “Gli allevamenti di animali da pelliccia che abbiamo visitato rappresentano la tipica realtà di questo tipo di allevamenti in tutta la Cina. Qui gli animali sono tristemente confinati in gabbie strette e spoglie e molti di loro manifestano stereotipie comportamentali a causa di problemi psicologici. Questi animali, naturalmente curiosi ed energici, sono ridotti ad una triste esistenza in gabbie metalliche, senza alcuna possibilità di movimento o stimolo. Non riesco a immaginare quanto siano frustrati e annoiati. Questo per produrre qualcosa di così inutile come la pelliccia. Mi vergogno di essere un essere umano quando visito questi allevamenti di animali da pelliccia; vedo la crudeltà e l’indifferenza di cui siamo capaci”.
Ognuno degli allevamenti di animali da pelliccia visitati teneva tra i 2.000 e i 4.000 animali in piccole gabbie in batteria, così vicine tra loro che in alcuni casi i visoni o i cani procione potevano toccare gli animali nelle gabbie vicine attraverso i divisori di filo metallico, aumentando il rischio di trasmissione di malattie. Nonostante le centinaia di casi di COVID-19 e di influenza aviaria confermati negli allevamenti di animali da pelliccia a livello globale dal 2020, i proprietari degli allevamenti hanno confermato agli investigatori di non sterilizzare abitualmente le strutture per motivi economici. Sebbene nessun allevatore abbia richiesto agli investigatori di rispettare i protocolli sanitari per prevenire la trasmissione di malattie prima di accedere alle strutture, gli investigatori hanno preso le loro precauzioni.
Nelle aree dedicate alla preparazione del cibo, in diversi allevamenti, sono state rinvenute ingenti quantità di pesce, carne e fegato di pollo congelati, uova e latte in polvere macinati fino a ottenere una pasta e somministrati agli animali. L’alimentazione di carne di pollo cruda agli animali in questi allevamenti non solo contribuisce all’impronta di carbonio dell’allevamento di animali da pelliccia, ma rappresenta anche, secondo esperti dell’Unione Europea, un rischio per la biosicurezza.
Il Professor Alastair Macmillan, veterinario specializzato in microbiologia, che ha visionato le registrazioni, ha dichiarato: “In qualità di esperto in microbiologia veterinaria, sono profondamente preoccupato per l’apparente mancanza di biosicurezza e per il potenziale di trasmissione dell’influenza aviaria dovuto alla libera movimentazione di polli e anatre tra le gabbie di cani procione. Questo rappresenta una via di trasmissione diretta tramite contatto o contaminazione fecale. Negli allevamenti europei di animali da pelliccia sono già stati documentati casi di influenza aviaria, e una così stretta vicinanza tra le specie aumenta notevolmente il rischio di trasmissione dall’avifauna ai mammiferi. L’elevata densità di cani procione potrebbe altresì agevolare l’adattamento del virus agli ospiti mammiferi e la selezione di ceppi virali capaci di trasmettersi tra mammiferi. Anche la vendita di carcasse di cani procione e di carne cotta destinata al consumo umano solleva preoccupazioni riguardo alla possibile trasmissione di malattie zoonotiche.”
L’indagine ha rivelato che il metodo di uccisione più diffuso negli allevamenti di animali da pelliccia è quello dell’elettroshock, sebbene alcuni allevatori uccidano i visoni sbattendoli contro una barra metallica o con un bastone. Nella regione sono presenti diversi mercati dove le carcasse degli animali provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia vengono vendute a circa 2-3 yuan/kg. Un ristorante locale visitato dagli investigatori offriva ai clienti locali carne di cane procione bollita, fritta e marinata per circa 20 yuan, confermando inoltre di cucinare 42 cani procione al giorno.
Il dottor Peter Li, esperto di politica cinese di Humane Society International ha dichiarato: “Sebbene questa indagine abbia avuto luogo in Cina, la sofferenza degli animali insita nel commercio di pellicce è osservabile anche negli allevamenti in Europa e Nord America. Animali con disturbi psichici, ammassi di sterco animale, gabbie spoglie e un preoccupante rischio di malattie zoonotiche sono in netto contrasto con l’immagine glamour che l’industria della pellicceria cerca di promuovere. Una triste realtà. La Cina esporta pellicce in paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e l’intera Europa, rendendo tali nazioni complici di questa crudeltà. In risposta al rifiuto per le pellicce da parte di molti designer e consumatori, la produzione di pellicce in Cina è drasticamente diminuita negli ultimi anni. Ma la fine di questa industria crudele, dannosa per l’ambiente e pericolosa per la salute, non arriverà mai abbastanza presto”.
Foto e video dell’indagine (creare account per il download)
Nel 2023 la Cina ha prodotto 10 milioni di pellicce di volpe, visone e cane procione, con una diminuzione di oltre il 50% rispetto ai 22 milioni di pellicce prodotte nel 2022 e un calo dell’88% rispetto a un decennio fa. Nel 2014, la Cina ha prodotto 87 milioni di pellicce: 60 milioni di pellicce di visone, 14 milioni di pellicce di cane procione e 13 milioni di pellicce di volpe.
Uno studio condotto dagli esperti nella valutazione delle impronte carboniche di Foodsteps, commissionato da Humane Society International e rivisto dal famoso esperto di sostenibilità Dr Isaac Emery, ha rilevato che l’impatto ambientale della produzione di pellicce di visone, volpe e cane procione supera in modo significativo quello di altri materiali utilizzati nella moda, tra cui il cotone e persino il poliestere e l’acrilico usati per realizzare pellicce finte. Una componente significativa dell’impronta di carbonio della pelliccia è la grande quantità di prodotti animali usati per alimentare gli animali carnivori negli allevamenti.
Nell’ambito del progetto IO NON COMBATTO realizzato da Fondazione CAVE CANEM e Humane Society International/Europe in materia di prevenzione e contrasto ai combattimenti tra animali, avrà luogo un momento formativo e divulgativo volto a dotare gli addetti ai lavori di strategie legali orientate al benessere dei cani
Humane Society International / Europa
ROMA—Si terrà in data 18 aprile, presso la sala della Protomoteca in sede del Campidoglio, a Roma, il convegno “La tutela giuridica degli animali sotto sequestro giudiziario. Dalla elaborazione della segnalazione per ipotesi di maltrattamento o detenzione incompatibile allo svincolo dall’esito del procedimento – Prediligere il deposito cauzionale quale misura di maggior tutela per l’animale e brevità rispetto alla confisca”. Organizzata nell’ambito delle attività formative e divulgative del progetto IO NON COMBATTO, realizzato da Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM per la prevenzione e la repressione del fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani, la conferenza ha l’obbiettivo di fornire agli addetti ai lavori le conoscenze e gli strumenti operativi necessari per porre la priorità sul benessere dei cani, vittime di queste attività illecite.
Con il patrocinio dall’Assessorato all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei Rifiuti di Roma Capitale, apriranno i lavori l’Assessora Sabrina Alfonsi, il Generale di Brigata Giorgio Maria Borrelli, l’Avv. Federica Faiella, Presidente della Fondazione CAVE CANEM, Mirko Zuccari educatore cinofilo specializzato nel recupero di cani vittime di gravi maltrattamenti; modererà l’evento la Dott.sa Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe.
L’iniziativa ha l’obiettivo di trasmettere conoscenze e informazioni utili a diversi livelli, con particolare attenzione alle condizioni incompatibili di benessere dei cani, vittime del fenomeno criminoso dei combattimenti clandestini. Dalla fotografia della normativa vigente, alle modalità di intervento della Magistratura e delle Forze di Polizia. Dall’ipotesi di reato alla confisca degli animali tratti in salvo. Dall’operato di coloro i quali sono impegnati costantemente nei canili rifugio per garantire il recupero psico-fisico delle vittime al ruolo del custode giudiziario. Fino ad analizzare il profilo psicologico-comportamentale del dog-fighter.
Il programma prevede l’intervento di autorità, rappresentanti delle Forze di Polizia e della Magistratura nonché esperti del settore:
• Dott.ssa Diana Russo, Sostituta Procuratore;
• Ten. Col. Marco Trapuzzano, Comandante del Nucleo Carabinieri CITES di Napoli;
• Avv. Federica Faiella, Presidente Fondazione CAVE CANEM;
• Avv. Maria Silvia D’Alessandro, consulente legislativo dalla XIV legislatura presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, specializzata in normativa sulla tutela degli animali;
• Avv. Alessandra Itro, specialista in normativa sulla tutela degli animali;
• Dott.ssa Carolina Salomoni, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO;
• Angela Maria Panzini, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO.
Tra i temi che verranno trattati e di estremo interesse nell’ambito della tutela giuridica degli animali, il deposito cauzionale, uno strumento che prevede il versamento di una somma per l’affido definitivo di animali sequestrati a enti o privati che ne garantiscano il benessere e il rispetto delle caratteristiche etologiche: in caso di assoluzione, la somma sarà corrisposta agli imputati; in caso di condanna, la stessa verrà versata nel Fondo Unico di Giustizia. Il deposito cauzionale emerge come una misura di maggior tutela per gli animali rispetto alla confisca, in quanto consente di svincolare l’animale dall’esito del procedimento penale, che può essere lungo e incerto. Tale strumento risulta facilmente utilizzabile laddove sia accertata la mancanza di legame affettivo tra gli animali sequestrati e le persone imputate, ad esempio nel caso di flagranza di reato di combattimento.
I combattimenti fra animali sono un fenomeno criminale sommerso, di portata nazionale e internazionale che coinvolge diverse specie animali, tra cui i cani, in particolare i molossi. Il coinvolgimento in queste attività causa loro gravi danni fisici e traumi psicologici. In Italia, il combattimento tra animali, è un reato punito dall’art. 544 quinquies del Codice penale. Si tratta di una pratica sanguinaria che mette cani l’uno contro l’altro, all’interno di ring o fosse, più o meno improvvisati, in alcuni casi previa somministrazione di sostanze dopanti, ai fini dell’intrattenimento di chi assiste, spesso associato al gioco d’azzardo e altre attività criminali.
Il convegno si svolgerà giovedì, 18 aprile 2024, dalle 9:30 alle 13:00, presso la Sala della Protomoteca, Piazza del Campidoglio 1, Roma. Per iscriversi, mandare una mail a info@iononcombatto.it.FINE
Contatti: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885
Basta ostruzionismo, HSI/Europe chiede al Parlamento e al Governo di approvare al più presto il divieto
Humane Society International / Europa
ROMA—Humane Society International/Europe (HSI/Europe) esprime profondo disappunto per la decisione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On. Maschio (Fratelli d’Italia), di dichiarare inammissibile l’emendamento 14.01 durante la discussione sul disegno di legge dell’On. Brambilla (Noi Moderati) in materia di reati contro gli animali. Tale emendamento, a prima firma dell’On. Costa (Movimento 5 Stelle), mirava a introdurre in Italia il divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia di specie a rischio estinzione, adattando il testo dei disegni di legge già presentati la scorsa legislatura alla Camera a prima firma dell’ex Sottosegretario alla Giustizia On. Ferraresi (Movimento 5 Stelle) e nella presente legislatura dalla stessa On. Brambilla e, al Senato, dalla Sen.ce Bevilacqua (Movimento 5 Stelle).
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, dichiara: “Siamo profondamente rammaricati e delusi da questa decisione, contraria all’impegno bipartisan dell’On. Brambilla e della Sen.ce Bevilacqua, rispettivamente presidente e membro dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente. L’emendamento che si inseriva tra le norme riguardanti la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES) era assolutamente attinente e rappresentava un passo avanti fondamentale per contrastare la crudele e inutile pratica della caccia al trofeo e per tutelare la sopravvivenza di specie animali vulnerabili. Rinnoviamo l’invito al Presidente Maschio a visitare la mostra fotografica «Natura morta. In consegna.», allestita da HSI/Europe e attualmente in corso presso Palazzo Valdina, per comprendere la realtà straziante che si cela dietro a questi trofei. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte all’insensatezza di uccidere animali a rischio di estinzione per trasformarli in sgabelli, portapenne, apribottiglie e altri macabri oggetti”.
La mostra “Natura morta. In consegna.” organizzata da HSI, con il patrocinio dell’On. Michela Vittoria Brambilla e inaugurata lo scorso 12 marzo, presenta gli scatti della fotografa pluripremiata Britta Jaschinski, co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e rimarrà aperta la pubblico presso Palazzo Valdina, sede della Camera dei Deputati, fino al prossimo giovedì 21 marzo. Attraverso immagini forti e suggestive, l’esposizione denuncia la brutalità della caccia al trofeo e l’impatto devastante che essa ha su animali, ambiente e comunità locali, con l’obiettivo di accelerare l’adozione di un divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia ottenuti da specie protette a livello internazionale
Vista l’ennesima occasione persa, HSI/Europe sollecita il Parlamento italiano e, in particolare, i due Presidenti delle Commissioni Giustizia (l’On. Maschio alla Camera e la Sen.ce Bongiorno al Senato), a calendarizzare la discussione dei due disegni di legge presentati sul tema e il Governo italiano ad agire con urgenza per vietare l’importazione di trofei di caccia, allineandosi con la posizione di numerosi altri Paesi europei, tra cui il Belgio, che hanno già adottato misure in tal senso, oltre a sostenere con forza la necessità di un divieto di importazione a livello europeo.
“È inaccettabile che l’Italia continui a permettere l’ingresso nel proprio territorio di resti di animali selvatici uccisi per puro divertimento”, aggiunge Martina Pluda. “Le proposte di legge per il divieto di importazione, depositate sia alla Camera che al Senato, attendono di essere discusse. Ci auguriamo che questa mostra possa servire da sprone per accelerare l’iter legislativo e finalmente mettere un freno a questa barbarie.”
La mostra “Natura morta. In consegna. – Il macabro business della caccia al trofeo negli scatti di Britta Jaschinski”, è aperta al pubblico dal 12 al 21 marzo 2024 presso la Camera dei Deputati – Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma, ad accesso libero.
La politica europea è chiamata a rispettare gli impegni presi con i cittadini
Humane Society International / Europa
BRUXELLES—Il Comitato dei Cittadini, composto dai sette cittadini europei promotori dell’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “End the Cage Age”, ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro la Commissione UE, responsabile di aver tradito il proprio impegno a proporre una normativa per mettere fine all’allevamento in gabbia.
La documentazione a sostegno del ricorso del Comitato dei Cittadini è già stata inviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Secondo il Comitato, la Commissione è venuta meno all’impegno, preso in risposta all’ICE End the Cage Age, di presentare entro il 2023 una legislazione per l’eliminazione graduale dell’uso delle gabbie dagli allevamenti europei.
“End the Cage Age” è stata la prima e finora l’unica ICE a ottenere dalle istituzioni UE un chiaro impegno formale. Inoltre, Il Comitato sottolinea come le ICE siano state introdotte con lo specifico intento di garantire ai cittadini dell’UE una maggiore influenza sui processi decisionali dell’Unione e come la retromarcia della Commissione rispetto al suo storico impegno comprometta proprio lo scopo di questo strumento democratico.
Nel 2021, la Commissione UE aveva assunto l’impegno formale a presentare una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti europei entro la fine del 2023. Una decisione in risposta al successo dell’ICE “End the Cage Age” che – con il sostegno di una coalizione di 170 associazioni coordinate da Compassion in World Farming (CIWF), di cui 20 italiane – aveva raccolto 1,4 milioni di firme certificate.
L’azione legale “End the Cage Age” presso la Corte di Giustizia UE, le cui spese sono sostenute da CIWF, è ora la prima a chiamare la Commissione a rispondere della propria inazione in merito a una ICE. Se la Corte di Giustizia Europea si esprimerà in favore del ricorso, la Commissione sarà obbligata a pubblicare la propria proposta legislativa, seguendo una tempistica chiara e ragionevole, e a rendere pubblico il proprio dossier sull’ICE “End the Cage Age”.
Annamaria Pisapia, una dei sette membri del Comitato dei Cittadini promotori dell’ICE “End the Cage Age”, afferma: “La Commissione europea aveva dato la sua parola alle cittadine e ai cittadini UE che avrebbe proposto un divieto dell’allevamento in gabbia. Con la sua retromarcia, non ha tradito solo le persone, ma anche i 300 milioni di animali che ogni anno soffrono in gabbia negli allevamenti dell’UE. Non esistono giustificazioni per ulteriori ritardi.”
Le associazioni italiane della coalizione End the Cage Age hanno dichiarato: “Il ricorso presentato dal Comitato dei Cittadini contro la Commissione ha il nostro pieno sostegno. È un’azione non solo in difesa degli animali ma rappresenta anche tutti quei cittadini e cittadine dell’UE che hanno sostenuto convintamente l’introduzione del divieto di allevamento in gabbia, ritenendo la ICE uno strumento democratico autentico, che avrebbe garantito loro maggior influenza sui processi decisionali dell’UE. Finora non è stato così, purtroppo, ma noi non ci diamo per vinti.”
Ancora oggi, infatti, oltre 300 milioni tra suini, galline, conigli, oche, vitelli, quaglie e anatre soffrono in gabbia all’interno degli allevamenti dell’Unione europea, vivendo una vita fatta solo di crudeltà e sofferenza. Nell’ottobre dello scorso anno, proprio l’Eurobarometro della Commissione Europea ha evidenziato che una schiacciante maggioranza di nove cittadini UE su dieci – circa 400 milioni di persone – ritiene che gli animali non debbano essere allevati in gabbie individuali. Anche i consulenti scientifici della Commissione, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), si sono espressi a favore della graduale eliminazione delle gabbie per motivi di benessere animale per suini, vitelli, galline ovaiole, quaglie, oche e conigli.
La Commissione stava per presentare la propria proposta legislativa per mettere fine all’allevamento in gabbia lo scorso autunno, quando la presidente Von der Leyen ha messo il tutto in pausa, molto probabilmente dietro le pressioni della lobby agricola. Un voltafaccia arrivato a discapito del fatto che i funzionari della Commissione avevano già completato tutti i preparativi e le valutazioni e consultazioni necessarie, e nonostante le proposte includessero un solido sostegno finanziario per assistere gli allevatori durante la transizione verso sistemi senza gabbie. Una misura, questa, che trova il favore delle associazioni di protezione animale, che ritengono che i sussidi pubblici dovrebbero essere reindirizzati per sostenere gli allevatori che transitano a sistemi più rispettosi del benessere animale e a coltivazioni vegetali, nel rispetto della natura e nell’interesse della società tutta.
Note
Il Comitato dei cittadini promotori dell’ICE “End the Cage Age” è composto da: Leopoldine Charbonneaux, Francia; Olga Kikou, Grecia; Malgorzata Szadkowska, Polonia; Romana Sonkova, Repubblica Ceca; Geert Laugs, Paesi Bassi; Annamaria Pisapia, Italia; e Mahi Klosterhalfen, Germania.
Un esempio delle sofferenze a cui sono sottoposti i millioni di animali allevati in gabbia: le scrofe sono costrette ad allattare i suinetti in gabbie così piccole da non potersi girare su loro stesse, i conigli e le quaglie trascorrono la vita in gabbie squallide e anguste, i vitelli trascorrono in box singolo le prime otto settimane della loro vita, dopo essere stati strappati alla loro madre, e le oche e anatre sono ingabbiate per essere sottoposte alla crudele pratica dell’alimentazione forzata per la produzione di foie gras.
Le associazioni italiane della coalizione End the Cage Age sono: Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, HSI/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus.
FINE
Martina Pluda, direttrice per l’Italia : mpluda@hsi.org; 3714120885
“I trofei di caccia sono nature morte del nostro tempo, oggetti simbolo del disprezzo per animali appartenenti a specie a rischio estinzione e la natura. Che queste fotografie possano rimanere impresse nelle menti di coloro che hanno la responsabilità politica di proteggere le specie animali a rischio di estinzione” l’appello di Humane Society International/Europe e delle parlamentari Brambilla e Bevilacqua, sostenitrici dell’iniziativa
Humane Society International / Europa
ROMA—La mostra fotografica Natura Morta. In Consegna. apre oggi le sue porte al pubblico per esporre il macabro business della caccia al trofeo attraverso gli scatti suggestivi di Britta Jaschinski, fotografa pluripremiata e co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™, nella prestigiosa cornice di Palazzo Valdina, sede della Camera dei Deputati, a Roma. Organizzata da Humane Society International/Europe con il patrocinio dell’On. Michela Vittoria Brambilla, Presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, l’esposizione è stata inaugurata alla presenza di rappresentati della stampa e delle istituzioni con un panel moderato da Diana Letizia, Direttrice editoriale di Kodami, durante il quale hanno preso la parola l’On. Brambilla, la Sen. Dolores Bevilacqua, la fotografa Britta Jaschinski e Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, creando un momento di riflessione e sensibilizzazione sul tema della caccia al trofeo.
La mostra, organizzata in sostegno alla campagna #NotInMyWorld, si propone di accelerare l’introduzione in Italia di un divieto di importazione ed esportazione dei trofei di caccia, al fine di proteggere animali appartenenti a specie a rischio di estinzione, come l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone africano, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare, e preservare la biodiversità globale. I trenta scatti esposti saranno visionabili dal 12 al 21 marzo 2024, offrendo ai visitatori l’opportunità di immergersi nella tragica realtà della caccia al trofeo, osservare la trasformazione degli animali in oggetti – da apribottiglie a posacenere –, esplorare le implicazioni di questa pratica su animali, ambiente e comunità locali e lanciare l’appello per azioni concrete per la sua cessazione. Corpi, pelli, zampe e teste dagli sguardi oramai vacui, irrigiditi nell’immobilità della morte. Non più animali, ma oggetti, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. Sono nature morte del nostro tempo, dei secoli XIX-XXI. Questa l’essenza degli scatti di Britta Jaschinski esposti alla mostra Natura morta. In consegna., che, come lascia intendere il titolo, evocano il parallelismo tra l’uccisione e la reificazione di animali appartenenti a specie minacciate e a rischio di estinzione e l’idea classica di “natura morta”, ovvero la raffigurazione, normalmente pittorica, di oggetti inanimati, tra i quali anche bottini venatori.
L’On. Brambilla, madrina della mostra e promotrice di una proposta di legge per vietare l’importazione, l’esportazione e la ri-esportazione dei trofei di caccia delle specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), depositata alla Camera dei Deputati, ha affermato: “Gli scatti di Britta Jaschinski ritraggono animali trasformati in oggetti, ma anche, indirettamente, la psiche di chi pensa, in questo modo, di appropriarsi della loro “magia”. La caccia al trofeo è francamente una vergogna, alla quale occorrerebbe porre termine senza indugio. L’approvazione della proposta di legge che ho presentato metterebbe l’Italia sulla strada giusta, quella del divieto di importazione ed esportazione, già battuta da altri Paesi europei, per garantire la conservazione di un inestimabile patrimonio naturale a beneficio delle future generazioni.”
Una proposta di legge in tal senso è stata presentata anche al Senato della Repubblica dalla Sen. Bevilacqua che durante il panel di apertura ha sottolineato: “Numerosi paesi europei, come Francia, Paesi Bassi, Finlandia e Belgio, hanno adottato o stanno discutendo un divieto di importazione di trofei di caccia di specie a rischio estinzione. Anche in Italia dobbiamo discuterne, per questo sono felice che la proposta di legge presentata dal M5S nella scorsa legislatura alla Camera, sia stata riproposta grazie all’Intergruppo per i diritti animali. Serve però portare avanti il tema anche a livello UE, proprio alla luce dell’adozione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione che chiede appunto il divieto di importazione di trofei di caccia delle specie minacciate. Auspico, quindi, che tutti i candidati alle prossime elezioni europee esprimano la propria sensibilità al riguardo: per quanto riguarda il M5S ci impegneremo a continuare a lavorare per un divieto nazionale ed europeo.”
Nel decennio tra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato trofei di caccia provenienti da oltre 27.000 animali appartenenti a specie protette dalla CITES, posizionandosi come il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti d’America. I dati sulle importazioni di trofei di caccia dimostrano il coinvolgimento dell’Italia in questa macabra industria. Tra il 2014 e il 2022, l’Italia ha infatti importato 492 trofei di caccia provenienti da mammiferi protetti dalla CITES, come ippopotami, rinoceronti neri, elefanti africani, leoni, leopardi, ghepardi, giaguari, orsi polari e tante altre specie. La caccia al trofeo non contribuisce positivamente alla conservazione, anzi, minaccia la sopravvivenza di intere popolazioni animali. Per la natura competitiva di questa pratica, l’obiettivo dei cacciatori di trofei è uccidere animali che presentano determinate caratteristiche fisiche: gli elefanti dalle zanne più imponenti, i leoni dalla criniera più folta e scura, i rinoceronti dai corni più sviluppati. Si tratta, spesso, di individui adulti, in età riproduttiva ed essenziali per il benessere e la stabilità dei gruppi sociali e degli ecosistemi in cui vivono.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe ha commentato: “In Italia, nonostante il 74% della popolazione sia chiaramente a favore di un divieto di importazione dei trofei di caccia di animali appartenenti a specie a rischio di estinzione, questa pratica rimane legale. È essenziale che il Governo italiano dia ascolto alla volontà dei suoi cittadini. La collocazione di questa mostra, infatti, non è affatto casuale; queste foto devono servire da monito per accelerare il processo legislativo di adozione delle proposte di legge già sul tavolo alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Mettere un freno a questa pratica crudele e anacronistica non è solo un imperativo etico ma anche la risposta adeguata al mandato del Parlamento Europeo che, nel 2022, ha richiesto un divieto sulle importazioni di trofei. È arrivato il momento per l’Italia di schierarsi dalla parte della conservazione della fauna selvatica e di agire con responsabilità per proteggerla. È inaccettabile che si possano trasformare leoni, elefanti, rinoceronti in tappeti, sgabelli e portapenne.”
La mostra sarà aperta al pubblico dal 12 al 21 marzo 2024, presso la Camera dei Deputati – Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma, da lunedì a venerdì, dalle ore 11:00 alle 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00), entrata libera.
Divieti di importazione dei trofei di caccia in altri paesi:
Il Belgio, tredicesimo maggior importatore di trofei di caccia di specie protette a livello internazionale in Europa, ha vietato l’importazione di trofei di caccia a gennaio 2024.
Nel maggio 2016, i Paesi Bassi hanno istituito un divieto all’importazione di trofei di caccia per oltre 200 specie elencate nell’Allegato A del Regolamento europeo 338/97 sulla protezione delle specie della fauna e flora selvatiche, nonché specie in pericolo di estinzione. Il divieto di importazione si applica anche alle seguenti specie dell’Allegato B: rinoceronte bianco, ippopotamo, muflone (pecora selvatica del Caucaso), leone e orso polare. Il divieto di rilascio di permessi di importazione coinvolge complessivamente 200 specie animali.
La Francia ha implementato un divieto all’importazione di trofei di caccia di leone nel 2015. Nel 2023, una proposta di legge volta a “fermare il rilascio di permessi di importazione per trofei di caccia di alcune specie in via di estinzione” è stata presentata.
Le importazioni di trofei di caccia in Finlandia sono state limitate nel giugno 2023. La nuova Legge sulla Conservazione della Natura include una disposizione che vieta l’importazione di singoli animali o delle loro parti per le specie più minacciate al mondo, minacciate dal commercio internazionale come trofei provenienti da paesi al di fuori dell’UE.
In Germania, la Ministra dell’Ambiente, Steffi Lemke, ha annunciato l’intenzione di limitare l’importazione di trofei di caccia da specie animali protette. Nel 2022, la Germania ha terminato la sua adesione all’International Council for Game and Wildlife Conservation, un gruppo a favore della caccia al trofeo, nel 2022.
Il macabro business della caccia al trofeo negli scatti di Britta Jaschinski. 12 - 21 marzo 2024, Camera dei Deputati—Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma
Humane Society International / Europa
(for English version, please scroll down)
Corpi, pelli, zampe e teste dagli sguardi oramai vacui, irrigiditi nell’immobilità della morte. Non più animali, ma oggetti, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. Sono nature morte del nostro tempo, dei secoli XIX-XXI. Questa l’essenza degli scatti di Britta Jaschinski, esposti alla mostra “Natura morta. In consegna.”,che, come lascia intendere il titolo, evocano il parallelismo tra l’uccisione e la reificazione di animali appartenenti a specie minacciate e a rischio di estinzione e l’idea classica di “natura morta”, ovvero la raffigurazione, normalmente pittorica, di oggetti inanimati, tra i quali anche bottini venatori.
“Natura morta. In consegna.” invita il pubblico a riflettere sulla complessità morale e sul simbolismo celati nei trofei di caccia: macabri souvenir che un’élite di cacciatori, solitamente occidentali, ottiene dall’uccisione di animali “ambiti”, braccati e abbattuti per divertimento in nazioni lontane, per poi importarli nelle proprie. Oggetti considerati spesso sinonimo di prestigio e status che, in realtà, rappresentano una visione antropocentrica, anacronistica e coloniale della natura.
L’obiettivo della mostra è, dunque, quello di evidenziare l’impatto della caccia al trofeo, ancora legale in molti paesi, evidenziando il disprezzo per la vita animale, in particolare quella di specie a rischio di estinzione e protette a livello internazionale, la pericolosità per gli sforzi di conservazione e per la tutela degli ecosistemi, della biodiversità e dell’ambiente, ma anche l’assenza di benefici economici per le comunità locali, a dispetto delle affermazioni buoniste dei suoi sostenitori. I cacciatori di trofei, infatti, contribuiscono solo marginalmente all’economia dei luoghi nei quali praticano il loro passatempo, a fronte di ingenti sofferenze per gli animali, danni ambientali e sociali.
La caccia al trofeo e il suo impatto
Nei dieci anni tra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato trofei di caccia provenienti da oltre 27.000 animali appartenenti a specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), posizionandosi come il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti d’America. I principali paesi esportatori verso l’UE sono Namibia, Sudafrica e Canada. La zebra di montagna di Hartmann, il babbuino nero, l’orso nero americano, l’orso bruno, l’elefante africano e il leone africano sono tra le specie animali più importate in territorio europeo. In Italia, nello stesso periodo, sono stati importati 492 trofei; tra le specie più cacciate per l’ottenimento di trofei vi sono l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone africano, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare.
La caccia al trofeo non contribuisce positivamente alla conservazione, anzi, minaccia la sopravvivenza di intere popolazioni animali. Per la natura competitiva di questa pratica, l’obiettivo dei cacciatori di trofei è uccidere animali che presentano determinate caratteristiche fisiche: gli elefanti dalle zanne più imponenti, i leoni dalla criniera più folta e scura, i rinoceronti dai corni più sviluppati. Si tratta, spesso, di individui adulti, in età riproduttiva ed essenziali per il benessere e la stabilità dei gruppi sociali e degli ecosistemi in cui vivono. I cacciatori, così facendo, causano una selezione innaturale che può alterare i tratti genetici delle popolazioni cacciate, con conseguenze negative sulla loro sopravvivenza e sulla diversità biologica. Carnivori e grandi erbivori svolgono ruoli cruciali negli ecosistemi e la caccia al trofeo rappresenta un’ulteriore fonte di stress insostenibile per specie animali che già vivono sotto continua e forte pressione antropica.
Questa pratica, in definitiva, simboleggia ideologie coloniali e, al contempo, perpetua discriminazioni e diseguaglianze sociali, offrendo un supporto estremamente limitato e distribuito in modo iniquo alle comunità locali, in particolare se paragonata al turismo di osservazione e fotografico della fauna selvatica, effettuato nel rispetto dell’etologia degli animali, che rappresenta un’opzione maggiormente etica, ma anche più vantaggiosa dal punto di vista economico per i paesi e le popolazioni coinvolte. Ad esempio, se è vero che un cacciatore può arrivare a pagare 40.000 dollari per sparare a un elefante maschio, lo stesso animale vivo può generare ogni anno 23.000 dollari tramite il turismo fotografico, ottenendo quindi un valore potenziale di 1,6 milioni di dollari nell’arco della sua vita, ovvero 40 volte quanto pagato dal cacciatore.
Trofei di caccia importati dall’Italia nell’ultimo decennio:
Zebra di montagna di Hartmann (Equus zebra
hartmannae)
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
2
Lince eurasiatica (Lynx lynx)
0
0
2
0
0
0
0
0
0
0
2
Argali del Gobi (Ovis darwini)
0
0
1
1
0
0
0
0
0
0
2
Orso nero (Ursus americanus)
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
2
Addax
(Addax nasomaculatus)
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
1
Rinoceronte nero
(Diceros bicornis)
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
1
Giraffa
(Giraffa camelopardalis)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
Argali
(Ovis ammon)
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
1
Giaguaro (Panthera onca)
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
1
Tigre
(Panthera tigris)
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
1
Babbuino giallo (Papio cynocephalus)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
Cefalofo azzurro (Philantomba monticola)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
Totale annuale
21
13
39
48
40
182
77
28
15
29
492
Fonte: dati estratti dal CITES Trade Database, aggiornati al primo febbraio 2024.
#NotInMyWorld
La collocazione di questa mostra non è affatto casuale. È facile riconoscere il coinvolgimento dell’Italia in questa pratica dannosa ed è pertanto necessario sottolineare la necessità di un’azione legislativa, a livello europeo e nazionale, per fermare le importazioni ed esportazioni dei trofei di caccia ottenuti da specie minacciate e a rischio di estinzione che ad oggi sono ancora legali.
Con la campagna #NotInMyWorld, Humane Society International accende un riflettore sul tema e intende responsabilizzare le politiche dei singoli Stati Membri e dell’Unione Europea, ma anche quelle aziende che, direttamente o indirettamente, agevolano o supportano la caccia al trofeo.
In pochi anni, la campagna ha già raggiunto importanti risultati: a gennaio 2024, il Parlamento belga ha definitivamente vietato l’importazione di trofei di molte specie a rischio di estinzione, così come ha fatto il Parlamento finlandese a dicembre 2022, mentre una legge simile è in discussione presso il Parlamento francese. Per quanto concerne l’Italia, proposte di legge che puntano a vietare l’importazione e l’esportazione dei trofei di caccia sono state presentate sia durante la scorsa legislatura, sia nella presente, tanto alla Camera, a prima firma dell’On. Brambilla, quanto al Senato, a prima firma della Sen.ce Bevilacqua. Infine, a dicembre 2023 la compagnia aerea di bandiera ITA Airways ha aderito alla campagna, formalizzando il divieto di trasportare trofei di caccia sia come merce cargo, sia come bagaglio al seguito del passeggero sui propri voli.
Sostieni anche tu un divieto di importazione ed esportazione dei trofei di caccia: hsi.org/bastacacciaaltrofeo
Britta Jaschinski
Nota per il suo stile fotografico unico, Britta Jaschinski è una fotogiornalista tedesca che indaga il rapporto tra l’uomo e la natura e l’impatto di tale rapporto, documentando i crimini contro la fauna selvatica e l’ambiente. Collabora con autorità, associazioni di beneficenza, musei e organizzazioni ambientali e il suo lavoro ha ricevuto numerosi premi internazionali. Le sue foto sono state pubblicate su Geo, National Geographic, The Guardian, Stern, Spiegel e molte altre riviste e libri e sono state esposte in mostre in tutto il mondo. Quando non impegnata in incarichi fotografici, è relatrice presso festival fotografici europei ed eventi di conservazione che richiamano un ampio pubblico internazionale. Le sue immagini investigative e le mostre multimediali sui crimini contro la natura e la fauna selvatica sono di forte impatto, ma anche avvincenti e sempre ispiratrici.
È cofondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e del The Evidence Project, iniziative che informano il pubblico e chiedono a politica e legislativo di intervenire per tutelare la fauna selvatica e ciò che resta della natura selvaggia.
Humane Society International
Humane Society International è un’organizzazione internazionale impegnata a migliorare il benessere degli animali in oltre 50 Paesi. Lavora in tutto il mondo per rafforzare il rapporto tra esseri umani e animali, salvare e proteggere cani e gatti, migliorare il benessere degli animali allevati, salvaguardare la fauna selvatica, promuovere metodologie alternative alla sperimentazione animale, intervenire in caso di disastri naturali e combattere la crudeltà nei confronti degli animali in tutte le sue forme.
Direzione artistica: Eva-Maria Heinen, Martina Pluda
Testi: Alessandro Fazzi, Eva-Maria Heinen, Britta Jaschinski, Madison Miketa, Martina Pluda, Sarah Veatch
Allestimento mostra: Mai Tai Srl
Realizzazione Grafica: Mai Tai Srl, offroad communications
Effetti sonori: Humane Society International/Europe
Video: Humane Society International, Kodami
Si ringraziano per il supporto artistico e istituzionale:
On. Michela Vittoria Brambilla
Sen. Dolores Bevilacqua
Britta Jaschinski
Diana Letizia
Natura morta. In consegna.
The macabre business of trophy hunting—photographs by Britta Jaschinski. March 12-21, 2024, Chamber of Deputies—Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Rome
Bodies, skins, paws, and heads with empty stares. Stiffened in the stillness of death. No longer animals, but lifeless objects, rendered as such by the barrel of a gun and immortalized by the lens of the camera. They are the still lifes of our time, of the 19th-21st centuries. This is the essence of Britta Jaschinski’s photographs, displayed in the exhibition “Natura morta. In consegna.” which, as implied by the title, evoke the parallels between the killing and objectification of animals belonging to threatened and endangered species and the classic idea of “still life”, i.e. the pictorial representation of inanimate objects, among which also hunting spoils.
“Natura morta. In consegna.” invites the audience to reflect on the moral complexity and symbolism hidden in hunting trophies: macabre souvenirs obtained by elite hunters in distant lands, usually Westerners, from the killing of “prized” animals who are chased and hunted down for fun only to be imported into foreign lands. Objects often seen as prestigious and a status symbol but which, in reality, represent an anthropocentric, anachronistic and colonial view of nature.
The aim of the exhibition is to highlight the impact of trophy hunting, still legal in many countries, by highlighting its insensitivity towards animal life, particularly of endangered and internationally protected species, its danger to conservation efforts and the protection of ecosystems, biodiversity, and the environment, but also the absence of economic benefits for local communities, despite the “do-gooder” claims of its proponents. Trophy hunters, in fact, only marginally contribute to the economy of the places where they practice their pastime, in the face of significant animal suffering and environmental and social damage.
Trophy hunting and its impact
Between 2013 and 2022, the European Union imported hunting trophies from over 27.000 animals obtained from species protected by the Convention on International Trade in Endangered Species (CITES), positioning itself as the world’s second-largest importer after the United States. The main exporting countries to the EU are Namibia, South Africa, and Canada. Hartmann’s mountain zebra, the chacma baboon, the American black bear, the brown bear, the African elephant, and the African lion are among the most imported animal species in Europe. In Italy, during the same period, 492 trophies were imported; among the most trophy hunted species were the hippopotamus, the African elephant, the African lion, the leopard, the brown bear, and the polar bear.
Trophy hunting does not positively contribute to conservation; on the contrary, it threatens the survival of entire animal populations. Due to the competitive nature of this practice, trophy hunters aim to kill animals with certain physical characteristics: elephants with the most imposing tusks, lions with the thickest and darkest manes, rhinoceroses with the most developed horns. These are often adult individuals, in reproductive age and essential for the well-being and stability of the social groups and ecosystems in which they live. Hunters, in doing so, cause unnatural selection which can alter the genetic traits of hunted populations, with negative consequences for their survival and biological diversity. Carnivores and large herbivores play crucial roles in ecosystems, and trophy hunting represents additional unsustainable stress for animal species that already live under continuous and strong anthropogenic pressure.
Ultimately, this practice symbolizes colonial ideologies and, at the same time, perpetuates discrimination and social inequalities, offering extremely limited and inequitably distributed support to local communities, particularly when compared to wildlife observation and photographic tourism, which represents a more ethical option but also more economically advantageous for the countries and populations involved. For example, while a hunter can pay up to $40,000 to shoot a male elephant, the same live animal can generate $23,000 annually through photographic tourism, thus obtaining a potential value of $1.6 million over his lifetime, or 40 times what the hunter paid.
Hunting trophy imports to Italy between 2013 and 2022:
Species
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
2022
Total
Hippopotamus (Hippopotamus amphibius)
0
0
6
7
5
127
13
2
0
3
163
African elephant (Loxodonta africana)
7
5
7
17
16
20
30
5
7
15
129
Lion
(Panthera leo)
0
0
12
5
4
12
17
7
0
2
59
Leopard (Panthera pardus)
11
6
9
5
1
8
9
3
2
1
55
Brown bear (Ursus arctos)
0
1
0
1
7
4
2
0
2
1
18
Marco Polo sheep
(Ovis polii)
0
0
0
5
0
5
3
1
0
0
14
Polar bear (Ursus maritimus)
0
0
0
2
0
1
0
5
1
0
9
Grey wolf
(Canis lupus)
3
0
0
1
1
0
1
1
0
1
8
Wildcat
(Felis silvestris)
0
1
0
1
2
2
0
0
0
0
6
Scimitar oryx (Oryx dammah)
0
0
2
1
1
0
0
1
1
0
6
Cheetah (Acinonyx jubatus)
0
0
0
0
0
1
0
2
0
1
4
Markhor
(Capra falconeri)
0
0
0
0
0
0
1
0
0
2
3
Southern white rhinoceros
(Ceratotherium simum simum)
Source: data extracted from the CITES Trade Database, updated as of February 1, 2024.
#NotInMyWorld
The location for this exhibition is no coincidence. It is obvious to recognize Italy’s involvement in this harmful practice, and it is therefore necessary to emphasize the need for legislative action, both at the European and national level, to stop the import and export of hunting trophies obtained from threatened and endangered species.
With the #NotInMyWorld campaign, Humane Society International shines a spotlight on this issue and aims to hold accountable the policies of individual Member States and the European Union, as well as those companies directly or indirectly facilitating or supporting trophy hunting.
In just a few years, the campaign has already achieved significant results: in January 2024, the Belgian Parliament permanently banned the import of trophies from many endangered species into the country, as did the Finnish Parliament in December 2022. A similar law is currently under discussion in the French Parliament. Regarding Italy, legislative proposals aiming to ban the import and export of hunting trophies have been presented both during the previous legislature and the current one, both in the Chamber of Deputies, sponsored by Hon. Brambilla, and in the Senate, sponsored by Sen. Bevilacqua. Finally, in December 2023, Italy’s flag carrier ITA Airways joined the campaign, formalizing their ban on transporting hunting trophies as both cargo and passenger baggage on its flights.
Britta Jaschinski
Renowned for her unique style in photography, Britta Jaschinski is a London-based, German photojournalist who investigates the connection between humans and nature and the impact of this relationship, documenting crimes against wildlife and the environment. She collaborates with authorities, charities, museums, and environmental organizations, and her work has received numerous international awards. Her photos have been featured in publications such as Geo, National Geographic, The Guardian, Stern, Spiegel, and many others, and exhibited worldwide. When not on assignment, she is a speaker at European photo festivals and conservation events with large international audiences. Her investigative images and multimedia exhibitions on crimes against nature and wildlife can be hard-hitting yet compelling and always inspiring.
She is the co-founder of Photographers Against Wildlife Crime™ and The Evidence Project, initiatives that inform the public and call on policymakers and legislators to intervene to protect wildlife and what remains of the wilderness.
Humane Society International
Humane Society International is an international organization committed to animal welfare in over 50 countries across the globe. It works worldwide to strengthen the human-animal bond, rescue and protect dogs and cats, improve the welfare of farmed animals, safeguard wildlife, promote alternative methods to animal testing, intervene in natural disasters, and fight cruelty towards animals in all its forms.
Artistic direction: Eva-Maria Heinen, Martina Pluda
Texts: Alessandro Fazzi, Eva-Maria Heinen, Britta Jaschinski, Madison Miketa, Martina Pluda, Sarah Veatch
Exhibition setup: Mai Tai Srl
Graphic design: Mai Tai Srl, offroad communications
Sound effects: Humane Society International/Europe
Video: Humane Society International, Kodami
Special thanks for the artistic and institutional support:
Hon. Michela Vittoria Brambilla
Sen. Dolores Bevilacqua
Britta Jaschinski
Diana Letizia
L’appello di HSI, LAV e Fur Free Alliance per “inaugurare” la settimana della moda di Milano
Humane Society International / Europa
REGGIO EMILIA—“Max Mara GO FUR-FREE!” è il messaggio lanciato dalle associazioni Humane Society International (HSI) e LAV e da tutti i membri della Fur Free Alliance alla casa di moda italiana Max Mara, con una spettacolare mongolfiera che ha sorvolato la sede centrale del Gruppo, a Reggio Emilia, in occasione della settimana della moda di Milano, inaugurata ieri. La sfilata di Max Mara è in programma per giovedì 22 febbraio, poi seguirà quella di Sportmax venerdì 23, nel mentre le proteste di associazioni in tutto il mondo stanno incitando Max Mara Fashion Group – di proprietà della famiglia Maramotti – ad eliminare le pellicce dalle collezioni di tutti i brand di proprietà e adottare una politica fur-free come hanno fatto già molti altri marchi e stilisti.
Questo stunt si inserisce all’interno delle attività della campagna globale #FurFreeMaxMara, lanciata dai 50+ membri della Fur Free Alliance, in occasione dell’attuale fashion month (9 febbraio – 3 marzo), per esortare tutti i marchi del Max Mara Fashion Group come Marina Rinaldi, Sportmax, Max&co., Pennyblack e altri oltre a Max Mara ad abbandonare l’uso di pellicce animali. Il Gruppo Max Mara, che conta oltre 2.500 negozi in 105 paesi, è uno degli ultimi grandi marchi ad impiegare la pelliccia. L’attuale gamma include articoli realizzati in volpe, cane procione e visone. Tra i prodotti con pelliccia di Max Mara si trovano polsini in pelliccia di volpe, un cappuccio rifinito in visone, un cappuccio rifinito in pelliccia di volpe, guanti in visone, un parka con rifiniture in pelliccia di volpe e un accessorio per borse in pelliccia di cane procione. Inoltre, le etichette dei prodotti rivelano che l’azienda utilizza pelliccia di visone di provenienza cinese e pelliccia di volpe e cane procione dalla Finlandia (paese dove, peraltro, sono già stati documentati oltre 70 focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1 proprio in allevamenti di animali da pelliccia).
Con la portata della Fur Free Alliance, presente tramite i suoi membri in 35 paesi, la campagna #FurFreeMaxMara è la più grande corporate campaign antipelliccia di tutti i tempi, con decine di migliaia di e-mail e chiamate ai telefoni dell’azienda e con azioni sia nei social media che presso i punti vendita dell’azienda. Per far giungere il messaggio a destinazione, HSI e LAV hanno optato per veicolarlo in maniera plateale e inequivocabile alla sede del marchio: con una mongolfiera di 25 metri di altezza e 20 di diametro.
“Se fino a ieri la famiglia Maramotti insieme al management di Max Mara Fashion Group non ha ascoltato la nostra richiesta di dialogo e confronto circa l’insostenibilità della produzione di pellicce, oggi non hanno certo potuto non vedere il nostro messaggio ‘Max Mara Go Fur-Free!’ arrivato dal cielo con una mongolfiera. Se l’azienda proseguirà ignorando il nostro invito, continueremo a coinvolgere migliaia di persone nel mondo sino all’ottenimento di una policy fur-free definitiva” – ha dichiarato Simone Pavesi, Responsabile LAV, Area Moda Animal Free.
Martina Pluda, direttrice per l’Italia di HSI ha detto: “È inconcepibile che il Max Mara Fashion Group abbia ignorato gli appelli di adesione al movimento fur-free per così tanto tempo, non ritenendo necessario allinearsi alle richieste e alle sensibilità dei moderni consumatori. Proporre una moda maggiormente etica non è solamente la cosa giusta da fare ma anche un imperativo in un contesto caratterizzato da moltissime innovazioni tessili e da competitor sempre più all’avanguardia. Auspichiamo che il nostro messaggio dal cielo sia arrivato!”
La maggior parte delle principali case di moda del mondo ha già eliminato la pelliccia dalle proprie collezioni. Tra queste Dolce & Gabbana, Saint Laurent, Valentino, Gucci, Versace, Alexander McQueen, Balenciaga e Jimmy Choo, oltre ai marchi storicamente contrari come Hugo Boss, Armani, Tommy Hilfiger, Stella McCartney e Vivienne Westwood. L’uso della pelliccia da parte di Max Mara rende il gruppo sempre più demodé.
Visoni, volpi e cani procione – tutte specie utilizzate dal Max Mara Fashion Group – trascorrono tutta la loro vita in gabbie di rete metallica anche nella pavimentazione, in condizioni di scaro benessere, privati della capacità di esprimere i propri comportamenti naturali, per poi essere uccisi tramite gas o elettrocuzione anale. La produzione di pellicce è anche devastante dal punto di vista ambientale e un rischio per la salute pubblica. Allevamenti e concerie sono estremamente dannosi per il suolo e i corsi d’acqua, poiché rifiuti e sostanze chimiche tossiche possono finire sversati nell’ambiente circostante. Inoltre, a confronto con altri materiali, la pelliccia ha le più alte emissioni di gas serra per chilogrammo. Ad esempio, l’impronta carbonica di 1kg di pelliccia di visone risulta 31 volte superiore a quella del cotone e 25 volte superiore al poliestere.
L’appello fur-free può essere rivolto da chiunque al gruppo Max Mara tramite questa pagina
Approfondimenti:
Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno per mano dell’industria globale della pellicceria. La maggior parte di loro viene allevata in maniera intensiva.
I visoni di oltre 480 allevamenti in 13 Paesi sono risultati infetti da SARS-CoV-2 e si sono riscontrati focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità (H5N1) in allevamenti di visoni in Spagna e Finlandia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il potenziale di trasmissione e diffusione zoonotica negli allevamenti di animali da pelliccia.
L’allevamento di animali da pelliccia è già vietato in 20 paesi europei, di cui 15 Stati Membri dell’UE: Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Serbia, Slovacchia e Slovenia. Svizzera e Germania hanno introdotto standard di benessere animale talmente rigidi da aver di fatto posto fine all’allevamento di animali per la produzione di pellicce nei paesi.
Contatto da stampa: Martina Pluda: Direttrice per l’Italia, mpluda@hsi.org; 3714120885
Organizzazioni animaliste di tutto il mondo unite nell’appello rivolto a Max Mara
Humane Society International / Europa
MILANO—In vista delle settimane della moda di New York, Londra, Milano e Parigi, è stata lanciata la più grande campagna globale fur-free mai realizzata per esortare il gruppo di moda Max Mara a eliminare l’uso di pellicce dalle sue collezioni. La richiesta per l’adozione di una policy fur-free è rivolta a tutti i marchi del Max Mara Fashion Group come Marina Rinaldi, Sportmax, Max&co., Pennyblack e altri. A guidare la campagna sono le associazioni animaliste Humane Society International (HSI), Humane Society of the United States (HSUS) e le organizzazioni della Fur Free Alliance (FFA) presenti in più di 35 paesi. Le associazioni si rivolgono da oggi a tutti i loro sostenitori, nel mondo e in Europea, in particolar modo in Italia dove il gruppo Max Mara ha sede, per chiedere supporto nel rivolgere questo appello al marchio; tramite email, telefono e sui social, l’obbiettivo è di esortare, in maniera corale, Max Mara a cessare l’utilizzo della pelliccia animale perché crudele, anacronistica e fuori luogo nella società moderna.
La maggior parte delle principali case di moda del mondo ha già eliminato la pelliccia dalle proprie collezioni. Tra queste Dolce & Gabbana, Saint Laurent, Valentino, Gucci, Versace, Alexander McQueen, Balenciaga e Jimmy Choo, oltre ai marchi storicamente contrari come Hugo Boss, Armani, Tommy Hilfiger, Stella McCartney e Vivienne Westwood. L’uso della pelliccia da parte di Max Mara rende il gruppo sempre più demodé.
PJ Smith, Director of fashion policy per HSUS e HSI, ha dichiarato: “Max Mara è uno degli ultimi grandi marchi della moda che continua a sostenere la tremenda industria della pellicceria, nonostante le prove della sua crudeltà nei confronti degli animali e della sua pericolosità per l’ambiente e per la salute pubblica. Proseguendo su questa strada, Max Mara è sempre più isolata in un mondo in cui la stragrande maggioranza dei consumatori trova la pelliccia oscena. Speriamo che Max Mara smetta di associarsi al business delle pellicce e invece decida di optare per una moda più etica e compassionevole.”
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, ha dichiarato: “Uno dei valori di Max Mara è ‘tradizione e innovazione’, un valore che il Gruppo incarnerebbe perfettamente con l’adozione di una politica fur-free e che si allineerebbe con le sensibilità moderne dei consumatori verso il benessere degli animali, la protezione dell’ambiente e la sostenibilità e con lo sviluppo di nuove e innovative tecnologie in ambito tessile. Un marchio come Max Mara, che è stato pioniere dell’imprenditoria del settore dal 1951, deve essere anche all’avanguardia dell’evoluzione della moda nel 2024.”
Visoni, volpi e cani procione – tutte specie utilizzate dal Max Mara Fashion Group – vengono allevati in gabbie piccole e spoglie per tutta la loro vita, privati della possibilità di esprimere i propri comportamenti naturali, per poi essere crudelmente uccisi per elettrocuzione o asfissia da gas e quindi scuoiati. La produzione di pellicce è anche devastante per l’ambiente e rappresenta un rischio per la salute pubblica. Secondo le ricerche peer-reviewed degli esperti di Foodsteps (commissionate da HSI), rispetto ad altri materiali, la pelliccia ha le più alte emissioni di gas serra per chilogrammo. L’impronta carbonica di 1kg di pelliccia di visone risulta 31 volte superiore a quella del cotone e 25 volte superiore al poliestere. Gli allevamenti di animali da pelliccia rappresentano, inoltre, il terreno ideale per la diffusione di malattie zoonotiche come il COVID-19 e l’influenza aviaria, con centinaia di focolai confermati negli allevamenti europei e nordamericani, negli ultimi anni. Tutto ciò risulta paradossale in un contesto in cui tessuti alternativi di alta qualità e rispettosi degli animali sono facilmente disponibili e adoperati dai competitor di Max Mara, come, ad esempio, KOBA® Fur Free Fur che incorpora ingredienti di origine vegetale e riciclati.
L’indagine sotto copertura più recente e più ampia sugli allevamenti di animali da pelliccia è stata condotta in sei paesi dell’UE tra cui la Finlandia, paese dal quale Max Mara attinge le sue pellicce di volpe e cane procione. Durante l’estate e l’autunno del 2023, investigatori indipendenti hanno condotto più di 100 accertamenti negli allevamenti, raccogliendo foto e video scioccanti. Sono stati documentati visoni, volpi e cani procione in condizioni di stabulazione orribili, casi di cannibalismo e automutilazione, animali feriti, malati, morti e moribondi, tra cui alcuni con arti, code o orecchie mancanti, gravi infezioni agli occhi, ferite infestate da larve.
L’appello fur-free può essere rivolto al gruppo Max Mara tramite questa pagina
Approfondimenti:
Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno per mano dell’industria globale della pellicceria. La maggior parte di loro viene allevata in maniera intensiva.
I visoni di oltre 480 allevamenti in 13 Paesi sono risultati infetti da SARS-CoV-2 e si sono riscontrati focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità (H5N1) in allevamenti di visoni in Spagna e Finlandia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il potenziale di trasmissione e diffusione zoonotica negli allevamenti di animali da pelliccia.
L’allevamento di animali da pelliccia è già vietato in 20 paesi europei, di cui 15 Stati Membri dell’UE: Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Serbia, Slovacchia e Slovenia. Svizzera e Germania hanno introdotto standard di benessere animale talmente rigidi da aver di fatto posto fine all’allevamento di animali per la produzione di pellicce nei paesi.