Humane Society International accoglie con favore le raccomandazioni del Ministero sudafricano per l’ambiente per porre fine all’allevamento di leoni in cattività

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CITTÀ DEL CAPO/ROMA—Il Ministero sudafricano per l’ambiente ha rilasciato ieri le raccomandazioni del comitato consultivo ministeriale (Ministerial High Level Advisory Panel) nominato nel novembre 2019 per rivedere le politiche, la legislazione e le pratiche relative alla gestione, all’allevamento, alla caccia e al commercio di elefanti, leoni, leopardi e rinoceronti.

Le raccomandazioni del comitato includono una serie di impegni positivi, tra cui la fine dell’allevamento di leoni in cattività e il commercio dei derivati di questo felino, nonchè il riconoscimento del benessere animale come pilastro centrale nella gestione della fauna selvatica. Queste proposte chiave sono state avanzate da Humane Society International/Africa al gruppo di esperti, in numerose presentazioni scritte e orali e durante i processi di partecipazione pubblica allo sviluppo di norme e standard specifici per ogni specie.

“Esultiamo per i leoni sudafricani grazie all’adozione da parte del Governo delle raccomandazioni per porre fine all’abominevole industria che li vede allevati e sfruttati in cattività. I leoni non dovranno più soffrire in condizioni orribili per i selfie dei turisti, per la caccia ai trofei o per essere trasformati in vini e polveri derivanti dal commercio delle loro ossa”, ha detto la Dott.ssa Audrey Delsink responsabile fauna selvatica di Humane Society International/Africa.

Secondo Humane Society International/Africa, che nel 2020 ha commissionato un sondaggio d’opinione nazionale e indipendente sulla caccia ai trofei, l’allevamento di leoni in cattività e le industrie associate, questa nuova misura è accolta calorosamente e sarà sostenuta dalla maggior parte dei sudafricani. Infatti, la maggioranza dei sudafricani intervistati si oppone all’allevamento di cuccioli di leone per due attività turistiche malviste, ovvero l’accarezzamento (“cub petting”) e le passeggiate con i leoni (“lion-walking”), legate al cosiddetto “canned hunting”, cioè la caccia in aree confinate dove gli animali non hanno possibilità di fuga, e al commercio di ossa di leone.

Secondo l’organizzazione, il Sudafrica è il primo esportatore di trofei di leone al mondo e la maggior parte di questi animali provengono da allevamenti commerciali presenti nel paese. Un’analisi di Humane Society International dei dati sul commercio delle specie di mammiferi elencate nella Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), ha rilevato che, tra il 2014 e il 2018, sono stati esportati dal Sudafrica 4.176 trofei di leone (così come 25 trofei di tigre in cattività).

“Siamo soddisfatti della decisione di porre fine all’allevamento di leoni in cattività e analizzeremo in modo approfondito le altre raccomandazioni per considerarne tutti gli aspetti nel dettaglio. Siamo anche contenti che il benessere degli animali sia ora espressamente riconosciuto come pilastro centrale della gestione della fauna selvatica. È fondamentale tenere in considerazione che gli animali sono esseri senzienti, il cui benessere va rispettato, quando vengono prese delle decisioni politiche sulla fauna selvatica. Questo è stato uno degli elementi principali della presentazione fatta da Humane Society International/Africa al comitato consultivo ministeriale e dell’input che abbiamo fornito nel processo di definizione delle norme e degli standard per le diverse specie”, ha aggiunto Delsink.

Humane Society International rimane comunque preoccupata per l’impatto dell’industria della caccia ai trofei sulla fauna selvatica del Sudafrica e per la centralità delle entrate generate attraverso la caccia alle specie simbolo del paese.

“Siamo consapevoli della necessità di ridurre la povertà attraverso lo sviluppo economico nel settore della biodiversità. Tuttavia, nonostante le molte prove scientifiche presentate al comitato da Humane Society International/Africa e da altre organizzazioni riguardo al danno arrecato dalle attività di tipo consumistico alle specie minacciate d’estinzione, siamo preoccupati che le raccomandazioni del comitato in questo ambito prevedano un’espansione della caccia ai trofei. Il nostro sondaggio nazionale indipendente ha rivelato che il 64% dei sudafricani condivide questa preoccupazione e si oppone alla caccia ai trofei, indipendentemente da razza, sesso, età e reddito”, ha detto Delsink.

L’analisi dei dati CITES ha dimostrato che, tra il 2014 e il 2018, il Sudafrica ha esportato 574 trofei di leopardo africano. Il 98% di questi animali è stato cacciato in natura, mentre il 2% è stato allevato in cattività. Inoltre, sono stati esportati anche 1.337 trofei di elefante africano e 21 trofei di rinoceronte nero.

“Nonostante le preoccupazioni legate alla caccia ai trofei, la giornata di ieri ha segnato un passo importante per trasformare la gestione della fauna selvatica in Sudafrica e riformulare le norme che la disciplinano. Accogliamo con favore le raccomandazioni del ministero e l’impegno espresso a favore di un dialogo trasparente e che coinvolga tutte le parti interessate. Humane Society International/Africa porterà avanti il proprio impegno e darà il suo contributo”, ha concluso Delsink.

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Wojciechowski assicura "il pieno sostegno della Commissione europea per attuare questa trasformazione"

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ROMA—Oggi, il Parlamento Europeo ha tenuto un’audizione pubblica di tre ore sull’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “End the Cage Age”, che è stata accolta calorosamente dai tre commissari europei presenti durante il dibattito. Molti europarlamentari sono intervenuti e, nel complesso, l’ICE ha ricevuto un sostegno schiacciante.

L’iniziativa End the Cage Age chiede all’UE di eliminare gradualmente l’uso delle gabbie negli allevamenti. L’audizione pubblica di oggi è stata una pietra miliare per l’Iniziativa, in vista della risposta ufficiale della Commissione Europea, attesa nei prossimi mesi.

“L’UE sostiene di essere leader nel benessere degli animali, eppure ogni anno condanna più di 300 milioni di animali d’allevamento a una vita misera in gabbie anguste. Questa pratica medievale è crudele e completamente inutile, dato che i sistemi senza gabbie non solo esistono, ma sono anche in uso in alcune parti dell’UE, hanno detto le 21 organizzazioni italiane che hanno aderito all’iniziativa, Amici della terra Italia, Animal Aid, Animal Equality, Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia Onlus, Confconsumatori, ENPA, HSI/Europe—Italia, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC—Lega per l’abolizione della caccia, LAV, Legambiente, Lega Nazionale per la Difesa del Cane, LEIDAA, OIPA, Partito Animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus, Lumen.

“Un certo numero di Stati membri pionieri e di imprese hanno aperto la strada all’abbandono delle gabbie. Ora è il momento che il resto dell’UE si metta al passo con le ambizioni del Green Deal Europeo e della strategia Farm to Fork, chiediamo alla Commissione europea di mettere in atto una graduale eliminazione delle gabbie negli allevamenti, attraverso una revisione della direttiva del 1998 sulla protezione degli animali d’allevamento”.

Norbert Lins, presidente della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (gruppo del Partito popolare europeo, Germania) ha concluso durante l’audizione che “la maggior parte degli oratori ha accolto con favore questa iniziativa” e ha osservato che “la palla è ora nel campo della Commissione”.

Prima dell’audizione, lo scorso 13 aprile, i cittadini dell’UE e le organizzazioni non governative (ONG) si sono riuniti in un twitterstorm, incoraggiando gli eurodeputati a sostenere l’ICE durante l’audizione pubblica. Un totale di 35.000 tweet sono stati inviati, raggiungendo un numero potenziale di oltre 3,7 milioni di visualizzazioni, rendendo innegabile il sostegno pubblico all’ICE.

All’audizione sono intervenuti anche Věra Jourovà, vicepresidente della Commissione europea responsabile per i valori e la trasparenza, Stella Kyriakides, commissario per la salute e la sicurezza alimentare, Janusz Wojciechowski, commissario per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, oltre a rappresentanti del Comitato delle regioni, del Comitato economico e sociale europeo e decine di membri del Parlamento Europeo.

La ICE End the Cage Age è stata lanciata l’11 settembre 2018 e si è chiusa esattamente un anno dopo. Con 1,4 milioni di firme verificate dai cittadini di tutta l’UE, è diventata la prima ICE di successo nel benessere degli animali da allevamento.

Dichiarazioni:

Bo Algers, professore emerito dell’Università svedese di scienze agricole, ha detto: “La legge dell’UE per gli animali d’allevamento è incredibilmente obsoleta. Dal 1998, quando l’UE ha adottato la sua direttiva sulla protezione degli animali d’allevamento, la ricerca sul benessere animale è decuplicata. Oggi, abbiamo una comprensione molto migliore di come i fattori fisici, fisiologici e psicologici siano legati al benessere degli animali. Un’ampia gamma di bisogni etologici specifici delle specie non sono, o non possono essere, forniti in una gabbia, arricchita o meno. È ormai chiaro che le gabbie, a causa delle loro intrinseche restrizioni fisiche e comportamentali, non possono fornire un buon benessere, non importa quanto sia buona la gestione”.

L’eurodeputata Eleonora Evi, vicepresidente dell’intergruppo per il benessere degli animali e co-presidente del suo gruppo di lavoro “cage-free”, ha dichiarato: “L’audizione pubblica di oggi ha segnato un altro passo fondamentale verso l’obiettivo di un’Europa senza gabbie. Insieme a molti eurodeputati che la pensano come noi, abbiamo dato voce agli oltre 300 milioni di animali che ogni anno, solo nell’UE, passano tutta la loro vita, o una parte significativa, imprigionati nelle gabbie. L’enorme sostegno ricevuto da questa iniziativa dei cittadini europei in tutta Europa non può essere ignorato dalla Commissione europea, che deve presentare al più presto una proposta legislativa per porre fine all’inutile crudeltà dell’allevamento in gabbia, avvicinando le pratiche agricole dell’UE alle aspettative dei nostri cittadini e allineandole maggiormente alla natura e alla protezione della salute pubblica”.

La deputata Anja Hazekamp, presidente dell’intergruppo per il benessere degli animali e co-presidente del suo gruppo di lavoro senza gabbie, ha detto: “Centinaia di milioni di animali in Europa sono rinchiusi in gabbie per scopi di allevamento. Questi animali non hanno la possibilità di esercitare i loro comportamenti naturali e le condizioni in cui sono tenuti sono così terribili che la loro vita diventa solo un’agonia. Le gabbie sono crudeli, ma anche antiquate e inutili. È una pietra miliare che più di 1,4 milioni di cittadini si siano uniti per questi animali per mettere fine all’ “era delle gabbie”. Ora ci aspettiamo che la Commissione europea e gli Stati membri dimostrino di prendere sul serio il loro appello e che prendono sul serio l’Iniziativa dei cittadini europei come strumento democratico. Una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie in agricoltura deve essere presentata senza indugio”.

Věra Jourovà, vicepresidente della Commissione europea responsabile per i valori e la trasparenza, ha dichiarato durante l’audizione: “L’Iniziativa si batte per una causa che è di grande attualità nell’attuale dibattito pubblico per migliorare il benessere degli animali d’allevamento e per investire in un’agricoltura sostenibile. Si tratta di obiettivi validi, che la Commissione ha abbracciato nelle sue ambizioni politiche di progettare sistemi alimentari equi, sani e rispettosi dell’ambiente e che hanno trovato la loro strada nella strategia Farm to Fork adottata nel maggio dello scorso anno”.

Stella Kyriakides, commissario per la salute e la sicurezza alimentare, ha dichiarato durante l’audizione: “Stiamo facendo dei passi verso un’azione tangibile perché, come ho ripetutamente dichiarato, il benessere e la salute degli animali sono molto in alto nella nostra agenda. Ha aggiunto: “Siamo molto consapevoli del fatto che dobbiamo fare di più e dobbiamo sforzarci di fare meglio. E siamo assolutamente determinati a farlo. L’iniziativa dei cittadini europei è un promemoria tempestivo di questo. È anche un esempio caloroso di democrazia al suo meglio”.

Janusz Wojciechowski, commissario per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ha detto durante l’audizione che i sussidi agricoli dell’UE e il Recovery Fund “possono anche essere utilizzati in parte per eliminare gradualmente l’allevamento in gabbia e implementare metodi alternativi”, e ha aggiunto “avete il pieno sostegno della Commissione europea per attuare questa trasformazione”.

Note:

  1. Per ulteriori informazioni su End the Cage Age ECI, visitare https://www.endthecageage.eu/.
  2. L’audizione è stata organizzata dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (AGRI) del Parlamento Europeo in associazione con la commissione per le petizioni (PETI).
  3. Il programma dell’audizione può essere trovato qui.
  4. La registrazione dell’audizione può essere consultata qui.

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A livello mondiale, i mercati di animali selvatici e gli allevamenti di animali da pelliccia rappresentano l’ambiente ideale per la prossima pandemia e devono essere vietati, afferma Humane Society International

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Mink on a fur farm
Jo-Anne McArthur 

ROMA—L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato il suo report “WHO-convened Global Study of the Origins of SARS-CoV-2”, a seguito della missione congiunta in Cina, e ha identificato l’allevamento di animali da pelliccia, assieme al commercio di animali selvatici, come settori di interesse nella ricerca delle origini della pandemia da coronavirus. Lo studio congiunto OMS-Cina suggerisce che gli animali selvatici, allevati in modo intensivo per il consumo umano e per le pellicce, potrebbero essere divenuti infetti negli allevamenti per poi essere trasportati presso un “mercato umido”, dove ha avuto inizio l’epidemia.

In questi mercati i commercianti mettono in mostra, vendono e macellano una serie di specie animali domestiche e selvatiche, inclusi tassi, ratti dei bambù, serpenti, coccodrilli e procioni, accanto a conigli, maiali e galline. Molte delle specie osservate sono conosciute per la loro predisposizione all’infezione ai virus SARS, inclusi i visoni, i procioni e le volpi. Questi animali sono allevati a milioni negli allevamenti di pellicce della Cina.

Secondo quanto si legge nella sezione “Studi animali e ambientali” del report, la via di trasmissione indicata come probabile è attraverso un ospite intermedio. Una delle raccomandazioni specifiche contenute richiede “indagini per identificare i virus SARSr-CoVs negli animali allevati, selvatici o domestici, che possono esserne infettati, incluse le specie allevate per la produzione di alimenti come il tasso-furetto e lo zibetto, e quelli allevati per le pellicce come il visone e il cane procione in Cina, nell’Asia sudorientale e in altre regioni”.

Il report aggiunge anche che “il virus SARS-CoV-2 si adatta in modo relativamente rapido negli animali che possono esserne infettati (come i furetti). Il numero crescente di animali che presentano la possibilità di infezione include animali che sono allevati in densità sufficienti per permetterne una circolazione endemica”.

L’industria delle pellicce cinese è la più grande al mondo. Nel 2019 la Cina ha allevato 14 milioni di volpi, 13,5 milioni di cani procione e 11,6 milioni di visoni, destinati anche all’esportazione oltreoceano in paesi come l’Italia. Nel 2019, il valore delle pellicce grezze e conciate, nonché degli articoli di pellicceria importati è stato di 478 miliardi di dollari, di cui il 7,34% (35,1 miliardi di dollari) dalla Cina. L’Italia importa anche da Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Stati Uniti e Russia.

Il Dott. Peter Li, esperto in politica cinese di Humane Society international, ha affermato: “Il rapporto dell’OMS fornisce un forte avvertimento sui rischi devastanti per la salute pubblica derivanti dallo sfruttamento di animali selvatici in sistemi di allevamento intensivi, luoghi antigienici, sovraffollati e disumani, che siano ratti del bambù o tassi destinati al consumo umano, pangolini per la medicina tradizionale o cani procione e visoni per le pellicce. Mettere insieme milioni di animali in queste industrie abusanti crea un ambiente perfetto per lo sviluppo di pandemie e, se non vietiamo l’allevamento di pellicce e il commercio di animali selvatici, continueremo a giocare alla roulette russa con la sicurezza pubblica globale”.

Il report dell’OMS è stato pubblicato nel medesimo giorno di una lettera firmata da 25 leader mondiali, che esprime l’intenzione comune di lavorare verso un nuovo trattato internazionale per la preparazione e la risposta alle pandemie, che includa “responsabilità reciproca e condivisa, trasparenza e cooperazione”. La lettera riconosce inoltre la connessione tra la salute umana e quella degli animali. Gli Stati Uniti, la Cina e la Russia non hanno firmato la lettera ma il Direttore Generale dell’OMS ha affermato che tutti gli Stati Membri saranno rappresentati quando inizieranno i confronti per la stesura del trattato.

Il Dott. Peter Li ha dichiarato: “Abbiamo più volte chiesto un’azione coordinata a seguito della pandemia da Covid-19. Perciò accogliamo con favore la lettera dei leader mondiali e auspichiamo che altri si uniranno, anche dagli Stati Uniti e dalla Cina. Speriamo che il trattato fornisca ai paesi l’occasione per riflettere e discutere sulla fine delle industrie che ignorano il benessere animale e mettono a rischio la salute umana. La preparazione e la risposta sono importanti, ma se ci concentriamo solo sui sintomi, piuttosto che sulla causa del problema, continueremo a giocare d’azzardo con la salute pubblica e le economie mondiali”.

Il report dell’OMS e la lettera dei leader arrivano appena due settimane dopo la pubblicazione, da parte di Humane Society International, di nuove immagini raccolte in 13 allevamenti di animali da pelliccia in Cina, che mostrano animali tenuti a stretto contatto, in violazione di numerose regolamentazioni cinesi, incluse quelle sui controlli epidemiologici. Nonostante l’indagine di HSI abbia avuto luogo durante la pandemia di Covid-19, nessuno degli allevamenti ha seguito le misure minime di biosicurezza. Contrariamente a quanto stabilito dai regolamenti cinesi, mancavano stazioni di disinfezione all’entrata e all’uscita. Alla luce di almeno 422 focolai di Covid-19, in 289 allevamenti di visoni da pelliccia, in 11 diversi paesi in Europa e Nord America dall’aprile 2020, e considerato che anche i cani procione e le volpi possono contrarre il coronavirus, la mancanza di rispetto delle misure di sicurezza è estremamente preoccupante.

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Nell’aprile 2020 Humane Society International ha pubblicato un appello urgente e un white paper scientifico, chiedendo un immediato divieto sul commercio, trasporto e consumo di animali selvatici, in particolare di mammiferi e uccelli la cui specie è nota per la possibilità di contrarre coronavirus, al fine di affrontare la minaccia che questi rappresentano alla salute pubblica, oltre che al benessere animale e alla conservazione delle specie.

Numerose epidemie di malattie infettive sono state legate al commercio di animali selvatici, inclusa la SARS nel 2003, che si ritiene sia stata trasmessa agli umani dagli zibetti venduti per la loro carne. Si stima che il 75% delle malattie infettive emergenti siano zoonotiche, ovvero si diffondano dagli animali non-umani agli umani.

La Cina ha introdotto un divieto sulla vendita di animali selvatici a fini alimentari nel febbraio 2020, ma gli animali selvatici ancora utilizzati per altri scopi, come la medicina tradizionale e la produzione di pellicce, sono esclusi da tale provvedimento (e anche riclassificati come animali da allevamento) nonostante il fatto che l’allevamento di specie selvatiche in condizioni di affollamento, malsane e stressanti, forniscano le circostanze ideali per la diffusione delle zoonosi.

DATI:

  • Undici paesi (inclusi nove Stati Membri dell’UE) hanno ufficialmente identificato animali positivi al virus negli allevamenti di visoni: Canada (2 strutture) Danimarca (290 strutture), Francia (1 struttura), Grecia (23 strutture), Italia (2 strutture), Lituania (2 strutture), Paesi Bassi (69 strutture), Polonia (1 struttura), Spagna (4 strutture), Stati Uniti (16 strutture), Svezia (13 strutture). Sono stati confermati casi anche negli Stati Uniti e in Canada.
  • Si stima che 53 milioni di visoni vengano allevati per la loro pelliccia in più di 20 paesi in tutto il mondo. I primi tre per numero di animali allevati sono in Europa (dati del 2018): Danimarca (17,6 milioni di visoni), Polonia (5 milioni di visoni) e Paesi Bassi (4,5 milioni di visoni).  Nel 2019 la Cina ha allevato 11,6 milioni di visoni, dato in calo rispetto ai 20,6 milioni di visoni del 2018.

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Humane Society of the United States e Humane Society International celebrano i due marchi Kering che con Gucci e Bottega Veneta rifiutano le pellicce

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PARIGI—L’iconica casa di moda britannica Alexander McQueen e il designer di lusso spagnolo Balenciaga sono i più recenti marchi di proprietà del gruppo Kering ad annunciare l’adozione di politiche aziendali “fur-free”. Humane Society International e Humane Society of the United States hanno lavorato con il gruppo ed i marchi Kering sull’adozione di tali politiche per oltre un decennio. McQueen e Balenciaga si uniscono così ad un numero sempre crescente di stilisti che hanno abbandonato l’uso delle pellicce nelle proprie collezioni, tra i quali Prada, Gucci, Armani, Versace, Michael Kors, Jimmy Choo, DKNY, Burberry e Chanel.

L’annuncio è stato inserito nel documento del gruppo Kering “2020 Universal Registration”, con le seguenti parole: “La maggior parte delle Maison del Gruppo non utilizza pellicce. Per esempio, Gucci fa parte del programma Fur Free Retailer promosso dalla Fur Free Alliance, e ha bandito l’uso di pellicce in tutta la sua gamma a partire dalle collezioni primavera/estate 2018. Gucci si è anche impegnata a non utilizzare più l’angora. Anche Balenciaga, Alexander McQueen e MCQ non usano più pellicce nelle loro collezioni.”

Mentre l’annuncio di Gucci risale al 2017, secondo Bottega Veneta, le loro collezioni sono state “fur-free” per quasi 20 anni. Solamente i marchi Kering Saint Laurent e Brioni devono ancora annunciare l’adozione di politiche aziendali che escludano l’uso delle pellicce.

Kitty Block, Presidente e AD per Humane Society of the United States e Humane Society International, ha dichiarato: “Ogni grande nome della moda che dice addio alle pellicce, come hanno fatto Alexander McQueen e Balenciaga, manda un messaggio chiaro e forte: la pelliccia non ha ragione d’essere in una società moderna. Questo attesta che al consumatore interessano maggiormente le soluzioni sostenibili e non le finiture in pelliccia su una borsa o un cappotto. Continueremo con entusiasmo il nostro lavoro con Kering, e il resto dell’industria, per fare in modo che il futuro della moda sia caratterizzato da materiali innovativi e privi di crudeltà”.

Questo annuncio arriva in un momento storico molto particolare. Attualmente, diverse città, stati federali e persino paesi interi stanno cercando di vietare la vendita di pellicce. Nel 2019, la California è diventata il primo stato americano a vietare la vendita di pellicce, dopo che diverse città californiane, tra cui Los Angeles e San Francisco, hanno approvato leggi in merito. Diversi altri stati americani hanno introdotto divieti simili nel 2021, mentre il Regno Unito, che ha vietato la produzione di pellicce nel 2000, sta ora considerando di diventare il primo paese al mondo a vietare la vendita di pellicce.

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Humane Society International identifica cinque rischi pandemici collegati all’allevamento

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ROMA—La dipendenza mondiale dai sistemi di allevamento intensivi, in cui migliaia di animali dello stesso genotipo vengono tenuti a stretto contatto ed in situazioni di stress e scarso benessere, rappresenta un rischio reale per lo sviluppo di future pandemie. Questo è quanto emerge dal nuovo rapporto “Allevamento, zoonosi e pandemie”, redatto dall’organizzazione internazionale per la protezione degli animali Humane Society International (HSI), che sottolinea inoltre la necessità di accelerare l’azione globale per la transizione verso un’alimentazione sempre più vegetale.

HSI identifica cinque rischi pandemici associati all’allevamento che contribuiscono a creare le condizioni ideali per lo sviluppo, la mutazione e la diffusione di agenti patogeni:

  1. L’espansione degli allevamenti in aree selvagge mette specie selvatiche e addomesticate a stretto contatto, favorendo gli “spillover” di virus.
  2. Tenere un gran numero di animali in ambienti chiusi, in condizioni di stress, facilita l’amplificazione virale.
  3. La concentrazione degli allevamenti in una determinata area geografica aumenta il rischio di diffusione di agenti patogeni.
  4. Il commercio globale di animali vivi consente agli agenti patogeni di diffondersi ulteriormente.
  5. I mercati di animali vivi, le fiere agricole e le aste rappresentano centri in cui animali provenienti da luoghi diversi vengono portati in prossimità del pubblico e dove i virus possono proliferare.

Negli ultimi due secoli, gli animali da allevamento sono stati al centro di molteplici epidemie zoonotiche, compresa l’influenza aviaria H5N1 trasmessa all’uomo dal pollame, il virus Nipah e l’influenza suina H1N1 trasmessi invece dai maiali.

Mentre l’attuale pandemia ha spinto il mondo a riconoscere la necessità di chiudere i mercati di fauna selvatica, luoghi insalubri e probabile fonte della propagazione incontrollata del coronavirus, manca lo stesso livello di consapevolezza per allevamenti e macelli, che possono avere conseguenze ugualmente gravi per la salute umana e che sono molto più vicini a noi.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International, dice: “Da quando è stata diffusa la notizia che attribuiva ad un mercato di animali vivi la possibile origine della diffusione del Covid-19, abbiamo iniziato ad interrogarci su quali altri contesti di sfruttamento animale potessero creare delle condizioni simili, per lo sviluppo di malattie. L’allevamento intensivo e la sua espansione senza precedenti è senza dubbio uno di questi. Ogni anno alleviamo e macelliamo più di 80 miliardi di animali in tutto il mondo ma se vogliamo prevenire future pandemie, dobbiamo liberarci da questa dipendenza dalla carne. I leader globali devono attivarsi per permettere la transizione verso un’alimentazione maggiormente vegetale”.

Come nei mercati di fauna selvatica, i sistemi di confinamento intensivo usati nell’allevamento, ammassano un numero elevato di animali in spazi ristretti ma su una scala molto più ampia. Negli impianti produttivi industriali di pollame, vengono allevate decine o addirittura centinaia di migliaia di animali, costretti a respirare la stessa aria polverosa e carica di ammoniaca. Le scrofe e le galline ovaiole sono tenute in gabbie metalliche così piccole da non poter rispettivamente girarsi o spiegare le ali. Più animali rappresentano più opportunità per un virus di replicarsi e mutare e quindi di creare maggiori possibilità per un nuovo e mortale agente patogeno di svilupparsi da un sito di produzione infetto.

Per prevenire un’altra epidemia dovuta a virus zoonotici come quello che causa il Covid-19, secondo HSI sono necessarie:

  • Una riduzione sostanziale della dipendenza globale dalle proteine di origine animale.
  • Politiche pubbliche che favoriscano la produzione di opzioni a base vegetale invece che l’espansione dell’allevamento.
  • Una riduzione del numero di animali allevati a fini alimentari, per ridurre la densità della popolazione animale sia all’interno degli allevamenti che geograficamente.
  • Una graduale eliminazione dell’uso delle gabbie usate per confinare gli animali nei sistemi intensivi.
  • Una graduale eliminazione del trasporto a lunga distanza di animali vivi.
  • Politiche per proteggere gli ecosistemi naturali dall’espansione agricola e da altre fonti di degrado e frammentazione.
  • Un divieto sulla vendita di pollame in tutti i mercati di uccelli vivi e restrizioni sulle esibizioni di animali vivi.

Sara Shields, Senior Scientist di Humane Society International dichiara: “Studiando le malattie passate, trasmesse dagli animali all’uomo, si può notare un modello che identifica chiaramente l’allevamento intensivo come responsabile chiave. L’epidemia di Nipah del 1997 in Malesia è un esempio di diffusione del virus da specie selvatiche a specie domestiche. Le metanalisi hanno inoltre dimostrato che l’influenza aviaria altamente patogena è resa possibile dal confinamento di migliaia di uccelli insieme, permettendo ai virus di scambiarsi facilmente tra gli ospiti. Possiamo rendere il mondo meno vulnerabile a future pandemie ma solo rivalutando i sistemi d’allevamento e attingendo a fonti di proteine vegetali. Per fare questo è necessario che i governi si impegnino a riequilibrare il nostro sistema alimentare e che i consumatori si rendano conto di essere direttamente responsabili dell’impatto delle proprie scelte. Il mercato degli alimenti a base vegetale è in piena espansione, rendendo facile la sostituzione dei prodotti animali con alternative vegetali. Non c’è momento migliore per prendere decisioni coscienziose pensando agli animali e alla salute del nostro pianeta”.

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“I sistemi senza gabbie sono diffusi, economicamente sostenibili e forniscono migliori condizioni di vita per le galline”

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ROMA—Oggi, le principali aziende alimentari dell’UE hanno inviato una lettera congiunta alla Commissione europea e ai membri del Parlamento europeo chiedendo l’eliminazione graduale dell’uso delle gabbie negli allevamenti animali, a partire dalle gabbie arricchite per le galline ovaiole.

ALDI Nord (rivenditore), Gruppo Barilla, Fattoria Roberti (produttore di uova), Ferrero, Gruppo Inter IKEA (rivenditore), Gruppo Jamie Oliver, Le Groupement Les Mousquetaires (rivenditore), Mondelēz International, Nestlé e Unilever hanno firmato la lettera che sottolinea come il business case per la graduale eliminazione delle gabbie arricchite per le galline ovaiole sia forte, in particolare a livello UE. La lettera spiega come “i sistemi senza gabbie sono diffusi, economicamente sostenibili e forniscono migliori condizioni di vita per le galline”.

I firmatari hanno sottolineato che la revisione della legislazione sul benessere degli animali, che è attualmente in preparazione, è l’occasione ideale per porre fine all’uso delle gabbie negli allevamenti animali in tutta l’UE, a partire dalle galline ovaiole in gabbia. Hanno anche dichiarato: “Siamo pronti e disposti a condividere la nostra esperienza e collaborare per raggiungere questo obiettivo.

“Molte aziende sono già avanti nel processo, avendo eliminato gradualmente le gabbie nelle loro catene di approvvigionamento. Un futuro senza gabbie è possibile e viene già attivato da alcune aziende progressiste”, hanno spiegato Amici della Terra, Animalisti Italiani, Animal Equality, Animal Law, CIWF Italia Onlus, Enpa, HSI/Europe – Italia, LAC, LAV, LEIDAA, OIPA, Partito Animalista Italiano, fra i promotori italiani dell’iniziativa End the Cage Age. “L’UE deve ora mettersi al passo e rivedere la legislazione per gli animali d’allevamento, la direttiva 98/58/CE, in modo da porre fine all’uso crudele delle gabbie, per tutte le specie allevate”.

La lettera delle aziende elogia gli obiettivi dell’iniziativa dei cittadini europei ‘End the Cage Age’ (ECI) che chiede la fine delle gabbie negli allevamenti animali in tutta l’UE.  170 ONG europee di cui 21 italiane hanno lanciato l’ECI “End the Cage Age” l’11 settembre 2018. Un anno più tardi l’iniziativa è stata chiusa avendo ottenuto 1,4 milioni di e-mail verificato e diventando la prima ECI di successo sul benessere degli animali d’allevamento. In tutta l’UE, oltre 300 milioni di animali d’allevamento sono confinati in gabbia ogni anno.

Nota per i redattori:

La lettera è indirizzata alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen; al vicepresidente Frans Timmermans, responsabile dell’European Green Deal; alla vicepresidente Věra Jourová, responsabile per i valori e la trasparenza; la commissaria Stella Kyriakides responsabile per la salute e la sicurezza alimentare; il commissario Janusz Wojciechowski, responsabile  per l’agricoltura e lo sviluppo rurale; i presidenti delle commissioni agricoltura e petizioni del Parlamento europeo, Norbert Lins e Dolors Montserrat.

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Gli attivisti denunciano molteplici violazioni alle autorità cinesi, compresa la mancanza di controlli anti-Covid nonostante i rischi di trasmissione

Humane Society International


L’investigazione, condotta in 13 allevamenti di animali da pelliccia tra novembre e dicembre 2020, rivela violazioni di molte delle norme cinesi sul benessere animale, l’allevamento, la macellazione e la sorveglianza epidemiologica.

ROMA—Prove video inquietanti, contenenti immagini di estrema sofferenza, raccolte in diversi allevamenti di animali da pelliccia in Cina, sono state rilasciate da Humane Society International nell’ambito della propria azione globale per porre fine all’industria delle pellicce e per denunciare la crudeltà verso gli animali negli allevamenti di tutto il mondo, incluso in Cina, Finlandia, Stati Uniti e Italia. Sebbene in Italia non ci siano allevamenti di volpi o cani procione, quelli di visoni sono ancora operativi (anche se sospesi per tutto il 2021) e vengono importate pellicce da diversi paesi, tra cui la Germania, la Francia, la Cina, la Spagna, i Paesi Bassi, il Belgio, gli Stati Uniti e la Russia. Nel 2019, il valore delle pellicce grezze e conciate, nonché degli articoli di pellicceria importati è stato di 478 miliardi di dollari, di cui il 7,34% (35,1 miliardi di dollari) dalla Cina. Sebbene i capi d’abbigliamento di pelliccia siano ancora abbastanza diffusi, HSI ritiene che una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori sulla sofferenza degli animali coinvolti, porterà ad una diminuzione degli acquisti di questi prodotti in Italia, come è successo in altre parti del mondo, ad esempio nel Regno Unito.

L’investigazione, condotta in 13 allevamenti di animali da pelliccia tra novembre e dicembre 2020, rivela violazioni di molte delle norme cinesi sul benessere animale, l’allevamento, la macellazione e la sorveglianza epidemiologica. Genera preoccupazione, inoltre, la dichiarazione di un allevatore che ammette che la carne degli animali uccisi viene venduta ai ristoranti locali, per il consumo umano da parte di ignari commensali. In un altro allevamento, le immagini mostrano cani procione sottoposti a elettrocuzione eseguita approssimativamente. Secondo gli esperti, questo avrebbe causato la paralisi degli animali che erano ancora pienamente coscienti mentre sperimentavano una morte lenta e agonizzante per arresto cardiaco. I filmati presentano anche file di volpi ingabbiate che manifestano i classici comportamenti stereotipati e i sintomi da stress ed esaurimento, dovuti alla privazione di stimoli ambientali.

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Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane Society International, ha dichiarato: “Gli italiani rimarranno scioccati dalla triste e crudele realtà che le abili strategie di marketing dell’industria riescono a nascondere. Oltre alla sofferenza, l’investigazione di HSI negli allevamenti cinesi, rivela una quasi totale mancanza di misure per il controllo epidemiologico. Questo è estremamente preoccupante, considerando che visoni, cani procione e volpi sono suscettibili ai coronavirus. L’Italia importa miliardi di euro in pellicce dalla Cina e da molti altri paesi e non c’è assolutamente nulla che impedisca di vendere ai clienti italiani pellicce provenienti da allevamenti come quelli che abbiamo filmato. Sempre più marchi di moda e stilisti italiani di fama internazionale come Armani, Gucci, Prada, Miu Miu e Versace hanno adottato politiche fur-free. Chiediamo ai consumatori di avere a cuore gli animali, facendo scelte informate a favore di alternative fur-free che non prevedono l’uccisione di esseri senzienti per la moda”.

Dalle immagini si evince che, in molti degli allevamenti oggetto delle indagini di HSI, i cani procione sono stati uccisi per elettrocuzione, con degli elettrodi fissati su un bastone appuntito e collegati a una batteria ad alta tensione. Uno ad uno gli animali, trafitti in parti casuali del corpo, hanno ricevuto una scossa elettrica che li ha paralizzati ma non uccisi all’istante, poiché l’uso sbagliato di questo metodo non ha attraversato il cervello.

Il Professor Alastair MacMillan, consulente veterinario di HSI, ha affermato: “Gli animali in questo video sono stati sottoposti a un’elettrocuzione violenta sul corpo e non nel cervello, il che significa che è molto probabile che abbiano sperimentato diversi minuti di estremo dolore fisico e sofferenza, simile ai sintomi dell’infarto. Invece della morte istantanea, è probabile che siano stati immobilizzati dalle scosse elettriche, rimanendo coscienti e provando l’intenso dolore dell’elettrocuzione”.

Nonostante l’indagine di HSI abbia avuto luogo durante la pandemia di Covid-19, nessuno degli allevamenti ha seguito le misure minime di biosicurezza. Contrariamente a quanto stabilito dai regolamenti cinesi, mancavano stazioni di disinfezione all’entrata e all’uscita e i visitatori erano autorizzati ad andare e venire senza che fosse loro richiesto di osservare alcuna precauzione. Alla luce di almeno 422 focolai di Covid-19, in 289 allevamenti di visoni da pelliccia, in 11 diversi paesi in Europa e Nord America dall’aprile 2020, e considerato che che anche i cani procione e le volpi possono contrarre il coronavirus, la mancanza di rispetto delle misure di sicurezza è estremamente preoccupante. HSI ha fornito le prove raccolte alle autorità cinesi, sia a Pechino sia a Londra.

L’industria delle pellicce cinese è la più grande al mondo. Nel 2019 la Cina ha allevato 14 milioni di volpi, 13,5 milioni di cani procione e 11,6 milioni di visoni, destinati anche all’esportazione oltreoceano in paesi come l’Italia. Nonostante l’orribile crudeltà riscontrata in questi allevamenti, è dimostrabile che la sofferenza degli animali è una conseguenza diretta dell’industria mondiale delle pellicce, indipendentemente dal paese di provenienza.

Secondo Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane Society International: Anche se questa indagine ha avuto luogo in Cina, scene altrettanto angoscianti di animali stressati, tenuti in piccole gabbie metalliche, si riscontrano negli allevamenti sia in Nord America sia in Europa, Italia compresa. L’allevamento intensivo di animali da pelliccia comporta sempre enormi sofferenze e un rischio inaccettabile per la salute pubblica. Mentre il Governo italiano non ha autorità sugli allevamenti di animali da pelliccia all’estero, dovrà decidere sul futuro di questa industria in Italia. Un divieto permanente è l’unica soluzione accettabile”.

Recenti denunce sugli allevamenti di animali da pelliccia in tutto il mondo:

  • POLONIA: Cannibalismo, autoaggressione, ferite aperte e paralisi in un allevamento di visoni (Open Cages, settembre 2020). Volpi abbandonate e lasciate a morire di fame con casi di cannibalismo tra gli animali (Open Cages, ottobre 2020).
  • FRANCIA: Sofferenza estrema, visoni con comportamenti stereotipati, disturbi mentali, ferite agli occhi e alla coda, zampe paralizzate e necrotiche, malattie della pelle (One Voice, agosto 2020).
  • PAESI BASSI: Visoni trascinati fuori dalle loro gabbie per la coda o la zampa posteriore e gettati da lontano nella camera a gas mobile, in violazione dei regolamenti UE (Animal Rights, novembre 2020).
  • ITALIA: Diffuse violazioni delle misure di biosicurezza contro la diffusione del virus SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni (LAV, novembre 2020).
  • FINLANDIA: Visoni e volpi morte, animali con ferite non curate e casi di cannibalismo tra gli animali (HSI e Oikeutta eläimille, ottobre 2019).
  • CANADA: 14 capi d’accusa per maltrattamento contro un allevamento di visoni in Ontario, a seguito di un’indagine durata un anno che ha documentato animali con ferite e infezioni non trattate (LCA, maggio 2018).

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FINE

Contatto: Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

Urgente fermare il massacro a causa della costante riduzione della copertura di ghiaccio marino e della pandemia in corso

Humane Society International


Michael Bernard/HSI Canada

MONTREAL/ROMA—A fronte dei dati allarmanti, raccolti al largo della costa orientale del Canada, che rivelano una copertura di ghiaccio marino ai minimi storici, Humane Society International chiede al governo canadese di fermare la caccia commerciale alle foche. Gli scienziati del governo canadese prevedono un’elevata mortalità tra i cuccioli di foca appena nati, a causa dello scioglimento precoce del loro habitat che li costringe ad entrare in mare aperto, prima che siano abbastanza forti per sopravvivere in questo ambiente. Inoltre, permettere a centinaia di cacciatori di foche di operare negli spazi ristretti delle imbarcazioni adibite a questa attività, durante una pandemia, rappresenta un rischio inaccettabile per la salute pubblica.

“I cambiamenti climatici stanno causando un rapido deterioramento della copertura di ghiaccio marino al largo della costa orientale del Canada. Per le foche che si riproducono in questo habitat e che sono l’obiettivo dei cacciatori, è un disastro”, ha dichiarato Rebecca Aldworth, Direttrice di Humane Society International/Canada, da diciotto anni in prima linea e testimone diretta della caccia commerciale alle foche in Canada. “Nessun governo coscienzioso permetterebbe che i pochi cuccioli che sopravvivono a queste condizioni avverse senza precedenti, vengano uccisi solo per produrre articoli di moda. Inoltre, nessuna autorità sanitaria responsabile permetterebbe a questa pratica insensata e vergognosa di continuare durante una pandemia. Chiediamo al governo canadese di fare la cosa più giusta e ragionevole: fermare la caccia commerciale alle foche per tutto il 2021, nella regione del Canada atlantico”.

Gli scienziati del governo canadese affermano inequivocabilmente che le condizioni del ghiaccio marino nel Golfo di San Lorenzo e al largo dell’isola di Terranova continueranno a peggiorare e che, conseguentemente, l’elevata mortalità dei cuccioli avrà un grave impatto sulla popolazione di questi animali, appartenenti alla specie delle foche dalla sella, dette anche della Groenlandia. Un approccio precauzionale nella gestione della fauna selvatica precluderebbe chiaramente la caccia commerciale di una specie dipendente dai ghiacci, il cui habitat sta rapidamente scomparendo.

In particolare, il cambiamento climatico rende i metodi commerciali di uccisione delle foche ancora più disumani. Gli studi veterinari hanno enfatizzato la grave sofferenza che deriva dalla caccia in mare aperto o nelle dirette vicinanze dell’acqua. È stato infatti documentato un alto tasso di ferimenti che inducono le foche colpite ma non uccise a fuggire sotto la superficie dell’acqua, dove affogano lentamente e non vengono catturate. Con il deterioramento delle condizioni dei ghiacci, quasi la totalità delle attività commerciali di caccia alla foca avverrà in questo modo. Inoltre, quando questi animali vengono uccisi in mare o sul ghiaccio troppo fragile per sostenere il peso umano, vengono recuperati con dei ganci di metallo fissati su lunghe aste in legno, simili ad arpioni. Questo avviene senza che i cacciatori possano prima verificare e confermare che l’animale sia già morto. Ne consegue che molte foche vengono arpionate pienamente coscienti e issate sui ponti insanguinati delle barche, prima di essere colpite a morte.

Se il governo canadese si rifiuta di fermare definitivamente questo massacro, deve quantomeno sospendere la caccia commerciale per tutto il 2021. In mancanza anche di questa essenziale misura precauzionale, il governo canadese deve, quale condizione minima, emettere ordini per:

  1. Eliminare le quote assegnate alla regione del Golfo di San Lorenzo data la mortalità eccezionalmente alta dei cuccioli che si verificherà nella suddetta area;
  2. Rinviare la data di apertura della caccia nell’isola di Terranova dato il probabile ritardo delle nascite, causato dalle cattive condizioni del ghiaccio marino (come è accaduto nel 2011, anno in cui si sono registrate condizioni avverse);
  3. Proibire l’uccisione delle foche neonate che stanno subendo la prima muta (dette “ragged jacket”) per prevenire il massacro di massa di questi cuccioli ancora molto piccoli (come documentato nel 2011);
  4. Proibire di sparare e bastonare le foche in mare aperto o nelle dirette vicinanze dell’acqua per ridurre il numero di animali colpiti e datisi alla fuga durante la caccia;
  5. Proibire l’arpionaggio degli animali senza previa conferma della loro morte.

Scaricare le foto ed i filmati della caccia commerciale alle foche documentata da Humane Society International qui e qui

FINE

Contatto: Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

Essenziale fermare gli emendamenti 171 e 72 del Parlamento Europeo perché una vera transizione ecologica deve passare per una transizione alimentare

Humane Society International


HSI

ROMA—In vista delle prossime consultazioni a tre sull’organizzazione comune dei mercati agricoli, Humane Society International, Essere Animali e Compassion in World Farming, chiedono alla Commissione Europea e agli Stati Membri nel Consiglio dell’UE di opporsi agli emendamenti 171 e 72 del Parlamento Europeo che potrebbero rappresentare delle restrizioni ingiustificate e sproporzionate per i prodotti lattiero-caseari a base vegetale. L’appello delle associazioni, contenuto in una lettera inviata al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli, sottolinea inoltre l’evidente contraddizione tra questi emendamenti e gli obiettivi di sostenibilità del Green Deal europeo, della Strategia Farm to Fork e del dichiarato impegno verso la transizione ecologica del Governo.

Il 23 ottobre scorso gli eurodeputati hanno votato su diverse proposte per la denominazione dei prodotti a base vegetale, respingendo l’emendamento 165, conosciuto come “veggie burger ban”, che avrebbe riservato l’utilizzo di termini come “bistecca”, “salsiccia” o “burger”, esclusivamente ai prodotti che contengono carne animale, accogliendo però gli emendamenti 171 e 72 sui prodotti lattiero-caseari a base vegetale.

Se accolto, l’emendamento 171 estenderebbe drasticamente le restrizioni già esistenti sulle denominazioni di latticini, introducendo nuovi divieti contro qualsiasi “uso diretto o indiretto” o “evocazione” di questi termini. Nella pratica, potrebbe implicare il divieto di utilizzare:

  • informazioni essenziali sulla salute e sugli allergeni come “alternativa senza lattosio ai prodotti lattiero-caseari”;
  • descrizioni sulla consistenza e il sapore come “cremoso” o “burroso”;
  • forme e colori di imballaggi che vengono adoperati anche dall’industria lattiero-casearia;
  • immagini di una bevanda bianca versata in un bicchiere o della schiuma di un cappuccino;
  • confronti sull’impatto climatico degli alimenti a base vegetale e dei latticini convenzionali.

L’emendamento 72, invece, introdurrebbe una significativa incertezza giuridica che potrebbe compromettere l’etichettatura degli alimenti a base vegetale in futuro.

Sebbene il pretesto per l’introduzione di queste restrizioni sia la necessità di chiarezza e trasparenza, la loro effettiva introduzione metterebbe a rischio la capacità dei produttori di informare correttamente i consumatori sulla natura dei loro prodotti, impattando particolarmente quelli che non possono far uso di prodotti lattiero-caseari per ragioni mediche, legate ad allergie o intolleranze, o che hanno adottato uno stile di vita vegano o flexitariano per ragioni di salute, ambientali, religiose o etiche.

“Una protezione della denominazione che non permette nemmeno che un alimento sia presentato come alternativa a un prodotto lattiero-caseario è, a nostro avviso, sproporzionata e senza precedenti nel settore alimentare. Non tiene conto della volontà di un crescente segmento di consumatori che predilige cibi a base vegetale e del loro diritto ad essere correttamente e adeguatamente informati”, affermano i firmatari e rappresentati delle associazioni, Martina Pluda (HSI/Europe – Italia), Claudio Pomo (Essere Animali) e Annamaria Pisapia (CIWF Italia).

L’Unione Europea non deve dimenticare inoltre il proprio impegno ambientale, contenuto nel Green Deal europeo e nella strategia Farm to Fork. In Italia, il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, alla Conferenza preparatoria della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, ha sostenuto la necessità di diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali e parlato dei benefici per salute e ambiente legati a un cambio del modello di dieta aumentando le proteine vegetali. Un recente studio dell’Università di Oxford ha rivelato che, senza un taglio delle emissioni causate dal nostro sistema alimentare, sarà impossibile raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

Nella sua strategia Farm to Fork, la Commissione Europea riconosce la necessità di passare a una dieta maggiormente a base vegetale ed esprime il suo desiderio di responsabilizzare i consumatori e rendere più facile scegliere diete sane e sostenibili. Incoraggiare una più ampia diffusione della dieta a base vegetale è un mezzo chiave per ridurre le emissioni di gas serra, l’uso di terreni e risorse idriche, oltre che per prevenire il declino della biodiversità globale e le molte pratiche d’allevamento in contrasto con il benessere animale. L’adozione di questi emendamenti sarebbe in diretto contrasto con questi obiettivi, creando inutili barriere normative all’adozione di una dieta a base vegetale. È pertanto essenziale fermare gli emendamenti 171 e 72 del Parlamento Europeo perché una vera transizione ecologica deve passare per una transizione alimentare”, concludono Martina Pluda (HSI/Europe – Italia), Claudio Pomo (Essere Animali) e Annamaria Pisapia (CIWF Italia).

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Contatto:

Humane Society International chiede all’Italia di vietare permanentemente l'allevamento di animali da pelliccia per proteggere persone e animali

Humane Society International


Jo-Anne McArthur/We Animals

ROMA—Ieri sera il governo italiano ha annunciato che sospenderà ulteriormente l’allevamento di visoni destinati alla produzione di pellicce fino al 31 dicembre 2021, per prevenire un’ulteriore diffusione del virus SARS-CoV-2 che finora è stato rilevato in 2 allevamenti di visoni italiani. In Italia si trovano 6 allevamenti di visoni con circa 60.000 animali, 26.000 dei quali sono stati abbattuti a seguito delle disposizioni indicate nella precedente ordinanza, pubblicata a novembre 2020, dal Ministro della Salute Roberto Speranza. Undici paesi (inclusi nove Stati Membri dell’UE) hanno ufficialmente identificato animali positivi al virus negli allevamenti di visoni: Danimarca (290 strutture), Francia (1 struttura), Grecia (23 strutture), Italia (2 strutture), Lituania (2 strutture), Paesi Bassi (69 strutture), Polonia (1 struttura), Spagna (3 strutture), Stati Uniti (16 strutture), Svezia (13 strutture). Sono stati confermati casi anche negli Stati Uniti e in Canada.

Humane Society International, attiva a livello globale per porre fine al commercio di pellicce, accoglie con favore la notizia ma incoraggia l’Italia a porre fine definitivamente all’allevamento di animali da pelliccia, nell’interesse degli animali e della salute pubblica. A gennaio, HSI ha pubblicato un white paper scientifico che evidenzia il legame tra l’allevamento di animali da pelliccia, lo scarso benessere degli animali e le malattie zoonotiche infettive.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI, ha dichiarato: “Mentre accogliamo favorevolmente la decisione del governo italiano di sospendere l’allevamento di visoni per affrontare l’inaccettabile rischio legato al Covid-19, lo incoraggiamo a porre fine in modo permanente a questa industria crudele e pericolosa. Il confinamento di migliaia di animali in piccole gabbie metalliche per la produzione di pellicce causa terribili sofferenze e finché lo sfruttamento di specie selvatiche, tenute a stretto contatto tra loro in condizioni di scarso benessere, sarà tollerato, il potenziale per lo sviluppo di serbatoi di agenti patogeni zoonotici perdurerà.

Fermare l’allevamento di visoni per i prossimi mesi per poi far ripartire queste attività in futuro, è una strategia senza senso perché si ripresenteranno gli stessi identici rischi. Il governo ha già fallito nell’intraprendere misure precauzionali efficaci, poiché la sospensione iniziale tra novembre 2020 e febbraio 2021 ha interessato solo i mesi prima del consueto inizio del ciclo produttivo, un periodo in cui l’industria è comunque inattiva.

Prorogare la sospensione temporanea è un passo importante, ma se l’anno prossimo il governo consentirà la ripresa delle attività degli allevamenti di visoni in Italia, metterà gli interessi commerciali di questa industria prima della salute pubblica, ignorando inoltre la sofferenza di migliaia di animali.”

All’inizio del mese, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha riferito che tutti gli allevamenti di visoni sono da considerarsi a rischio per i focolai di Covid-19. Nel gennaio 2021, una valutazione del rischio pubblicata congiuntamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE) ha riconosciuto l’Europa come una regione ad alto rischio in relazione all’introduzione e alla diffusione del virus SARS-CoV-2 negli allevamenti di animali da pelliccia, oltre che allo spill-over dagli allevamenti agli esseri umani e alla trasmissione del virus dagli allevamenti di animali da pelliccia alle specie selvatiche suscettibili. In particolare, ha valutato come “probabili” i fattori di rischio legati all’introduzione e alla diffusione del virus SARS-CoV-2 negli allevamenti di animali da pelliccia in Italia.

DATI:

  • Il 27 ottobre 2020, è stato reso pubblico il fatto che il virus SARS-CoV-2 era stato rilevato, con due campioni positivi, in un allevamento di visoni in Lombardia nell’agosto del 2020. Questo fatto è stato rivelato solo dopo la presentazione di un’istanza di accesso agli atti alle autorità competenti, da parte dell’organizzazione LAV. L’OIE è stata notificata solamente il 30 ottobre.
  • Il 2 febbraio 2021 sono stati confermati altri cinque visoni con positività al SARS-Cov-2 in un allevamento di visoni in Veneto. Inoltre, sempre nello stesso allevamento, test sierologici compiuti su un campione di 60 visoni hanno rilevato una sieroprevalenza di oltre il 90%, rivelando che quasi tutti gli animali sono stati a contatto con il virus.
  • Si stima che 53 milioni di visoni vengano allevati per la loro pelliccia in più di 20 paesi in tutto il mondo. I primi tre per numero di animali allevati sono in Europa (dati del 2018): Danimarca (17,6 milioni di visoni), Polonia (5 milioni di visoni) e Paesi Bassi (4,5 milioni di visoni).
  • Nel 2019 la Cina ha allevato 11,6 milioni di visoni, dato in calo rispetto ai 20,6 milioni di visoni del 2018.
  • L’allevamento di animali da pelliccia è vietato nel Regno Unito dal 2003, ed è proibito e/o è in fase di dismissione in numerose nazioni europee come l’Austria, il Belgio, la Bosnia-Erzegovina, la Repubblica Ceca, la Croazia, la Macedonia, i Paesi Bassi, la Norvegia, il Lussemburgo, la Serbia, la Slovacchia, la Slovenia e l’Ungheria. Più recentemente il governo irlandese si è impegnato a porre fine all’allevamento di animali da pelliccia e la Francia farà lo stesso entro il 2025.
  • Anche la Bulgaria, l’Estonia, la Lituania, il Montenegro, la Polonia e l’Ucraina stanno attualmente considerando di vietare gli allevamenti di animali da pelliccia e in Finlandia il partito di maggioranza ha recentemente annunciato il suo sostegno ad un divieto.

FINE

Contatto: Martina Pluda: Direttrice per l’Italia – mpluda@hsi.org; 3714120885

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