Oggi a Roma la conferenza stampa sull’emendamento alla Legge di bilancio 2025 per un segno distintivo che identifichi i prodotti da filiere senza gabbie, considerato però inammissibile dalla Commissione Bilancio

Humane Society International / Europa


HSI

ROMA—“Sì alla trasparenza, no alle gabbie, sì al segno distintivo cage-free” è l’appello che alcune associazioni – Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CIWF Italia, ENPA, Essere Animali, Humane Society International/Europe, LAV, Legambiente e LNDC Animal Protection – a nome della coalizione italiana End the Cage Age1 hanno rivolto al Parlamento, durante la conferenza stampa tenutasi presso la Sala stampa della Camera dei Deputati, dal titolo “La fine delle gabbie: opportunità e sfide per sostenere la transizione del settore zootecnico in Italia”.

Presenti diversi parlamentari delle forze di opposizione che si sono uniti alla richiesta della creazione di un segno distintivo “cage-free” (“senza gabbie”) per tutte le specie allevate nell’ambito della specifica etichettatura relativa al “Sistema di qualità nazionale per il benessere animale” (SQNBA2) che sarà sul mercato dall’anno prossimo.

La certificazione “cage-free” darebbe rilievo positivo ai prodotti provenienti da sistemi che non fanno uso di gabbie, riconoscendo l’impegno delle numerose aziende agroalimentari – tra cui molte italiane – che stanno eliminando gradualmente le gabbie dalle loro filiere3. Sono già oltre 1.400 le aziende alimentari europee che si sono impegnate a non utilizzare le gabbie per l’allevamento delle galline impiegate nell’industria delle uova e ben oltre la metà di queste aziende ha già realizzato i propri impegni per vendere o utilizzare solo uova cage-free anche per i prodotti confezionati, mentre altre si sono impegnate a eliminare le gabbie per l’allevamento di scrofe e conigli4. In Italia, tre importanti produttori del settore suinicolo hanno preso impegni pubblici e concreti per eliminare le gabbie per le scrofe dalle proprie filiere, generando un impatto economico positivo e allargando le possibilità per l’export del Made in Italy verso mercati esteri ed europei che presentano standard più elevati, come Regno Unito e Svezia.

I parlamentari presenti hanno raccolto questa istanza presentando un apposito emendamento alla Legge di bilancio 2025, con cui si chiede l’introduzione di un chiaro segno distintivo “cage-free” all’interno dell’attuale sistema di certificazione SQNBA per valorizzare il sistema produttivo italiano che ha già fatto investimenti. Tuttavia, la Commissione Bilancio ha dichiarato l’emendamento inammissibile.

“Siamo sorpresi e sconcertati che l’emendamento per la creazione del bollino ‘cage-free’ sia stato dichiarato inammissibile” – dichiarano le associazioni. “Sarà stata una svista o un mero errore formale, sarebbe inspiegabile perdere l’occasione, a costo quasi zero, per migliorare le condizioni degli animali allevati e, soprattutto, far uscire dal buio e dall’anonimato l’impegno delle tante aziende agroalimentari italiane che stanno eliminando gradualmente le gabbie dalle loro filiere. Per far ciò queste aziende hanno compiuto investimenti a proprie spese e il minimo che Parlamento e Governo possono fare è permettere loro di rendere riconoscibili i loro prodotti da quelli che invece arrivano da animali in gabbia. Questa svista non chiude la questione, ci attendiamo che la battaglia politica per il riconoscimento di questo importante strumento di giustizia e trasparenza venga, con eventuali modifiche, raccolta e vinta da tutto il Parlamento sin da questa Legge di bilancio”.

Dopo il saluto del Vicepresidente della Camera On.le Sergio Costa, sono intervenuti le deputate On. Eleonora Evi (PD) e On. Giulia Pastorella (Azione), e i deputati On. Alessandro Caramiello (M5S) e On. Devis Dori (AVS), con la moderazione di Cristina Del Tutto, Direttrice di Radio Parlamentare. Era presente anche l’On. Benedetto Della Vedova (+Europa), fra i firmatari dell’emendamento.

In Europa, ogni anno oltre 300 milioni di animali allevati a fini alimentari – di cui almeno 40 milioni in Italia – trascorrono ancora tutta la vita o gran parte della vita in gabbia. Gli animali tenuti in gabbia sono rinchiusi in ambienti spogli, in condizioni di sovraffollamento o di totale privazione di contatti sociali, incapaci di girarsi su loro stessi o di esprimere anche i più basilari comportamenti naturali della specie. La ricerca scientifica dimostra che le gabbie sono gravemente dannose per il benessere degli animali: posizione da cui non si discostano, ma anzi confermano, i più recenti pareri scientifici dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare5 (EFSA).

Tuttavia, mentre a livello normativo europeo le cose, anche se lentamente, si stanno muovendo6, la transizione verso sistemi senza gabbie da parte delle aziende del settore alimentare è già iniziata; riflesso, questa, anche della sensibilità dei cittadini-consumatori sul tema.

In occasione della conferenza stampa è stata proiettata la recentissima video-inchiesta realizzata da Compassion in World Farming (CIWF) in alcuni allevamenti di conigli italiani e polacchi. Immagini sconvolgenti, che hanno mostrato le drammatiche condizioni in cui vive la stragrande maggioranza dei 14 milioni di conigli allevati.

In Italia, cresce l’interesse pubblico verso il benessere animale, come  dimostrano l’Eurobarometro 2023 – secondo cui il 93% dei cittadini italiani ritiene importante che gli animali allevati abbiano spazio sufficiente per muoversi, sdraiarsi e alzarsi – e il sondaggio realizzato da Youtrend/Quorum per la campagna Vote4Animals, in vista delle elezioni europee dello scorso giugno, secondo cui 3 su 4 persone vorrebbero la fine delle crudeli pratiche diffuse negli allevamenti intensivi.

On. Sergio Costa dichiara: “La vita in gabbia per gli animali è veramente pesante e contrasta con tutti i principi di benessere animale, costringendoli ad uno straziante ergastolo. Saremmo felici se questo diventasse un emendamento governativo, è una speranza, forse un’utopia, ma è quella che seguiamo, quella di un futuro senza gabbie”.

On. Eleonora Evi (PD) afferma: “Siamo riusciti a mettere sullo stesso tavolo tutte le opposizioni, che hanno presentato insieme questo emendamento, che chiede una cosa semplice e chiara: riempire di significato la certificazione SQNBA che attualmente è una scatola vuota. Un’etichetta distintiva consentirebbe la possibilità di scelta ai consumatori e sosterrebbe quegli allevatori che la transizione a sistemi non in gabbia l’hanno già fatta”.

On. Giulia Pastorella (Azione) dice: “Condividiamo l’importanza di riconoscere lo sforzo di tutti quegli allevatori che hanno già investito in sistemi senza gabbie. È importante evitare fenomeni di ‘cage-free washing’ per spingere sempre più aziende a intraprendere una vera transizione verso sistemi senza gabbie e i consumatori a fare scelte consapevoli”.

On. Alessandro Caramiello (M5S) aggiunge: “Questo Governo non è né animalista né ambientalista, perciò sono scettico. Ci vuole una rivoluzione culturale, anche alimentare: si mangia troppa carne. Bisogna fare capire ai cittadini e alle aziende – che vanno accompagnate nella transizione – che gli animali non possono essere tenuti in queste condizioni”.

On. Devis Dori (AVS) dichiara: “Ringrazio tutte le associazioni animaliste, che sono uno stimolo e un importante pungolo per la politica, che spesso se non sente il fiato sul collo resta ferma. È importante creare sinergia, tra le associazioni, i partiti di opposizione, e anche la maggioranza: oltre a chiedere uno stop alle gabbie negli allevamenti per tutti gli animali, auspico che si possano marginalizzare le lobby che sono alla ricerca del mero profitto e non del benessere animale come i cacciatori e gli allevamenti intensivi”.

“È urgente istituire il segno distintivo cage-free all’interno della nuova etichettatura sul benessere animale che altrimenti risulterebbe veramente vuota di significato. I consumatori hanno diritto alla trasparenza e alle aziende virtuose deve venire riconosciuto il valore aggiunto (e il vantaggio competitivo) di allevare senza le crudeli gabbie”, concludono le associazioni.

A questo link è possibile scaricare le immagini dell’evento e altri materiali utili.

FINE

NOTE AI MEDIA

  1. La coalizione italiana End the Cage Age è formata da: Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, HSI/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus.
  2. In Italia, a novembre 2022, è stato introdotto il “Sistema di qualità nazionale benessere animale” (SQNBA) con l’obiettivo di “qualificare la gestione del processo di allevamento degli animali destinati alla produzione alimentare, distinti per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento, compresa la gestione delle emissioni nello stabilimento” (art. 1, co. 1, decreto SQNBA).
  3. Nel 2021, dieci aziende alimentari leader in Europa hanno espresso il loro appoggio all’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age inviando una lettera congiunta alla Commissione Europea e ai parlamentari europei, sostenendo la richiesta dell’Iniziativa di eliminare gradualmente le gabbie.
  4. Per maggiori informazioni e casi studio sugli impegni delle aziende europee si rimanda al report Le aziende alimentari preparano il terreno per un’Europa senza gabbie verso sistemi cage-free.
  5. Nei suoi ultimi pareri scientifici sul benessere degli animali, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha raccomandato di non utilizzare più le gabbie per galline ovaiole, scrofe da riproduzione, quaglie e anatre per tutelare il benessere di queste specie.
  6. Il  5 settembre è stato pubblicato il report frutto del Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura dell’UE, nel quale si esorta la Commissione a presentare entro il 2026 le proposte per realizzare la promessa eliminazione delle gabbie dagli allevamenti europei. Inoltre, in occasione delle audizioni parlamentari per i ruoli nel nuovo esecutivo UE, il Commissario candidato a Salute e benessere animale ha dichiarato di volersi occupare di questo tema quanto prima.
  7. Nel 2021, in risposta all’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age, che aveva raccolto con successo oltre 1,4 milioni di firme certificate attraverso l’impegno di oltre 170 associazioni europee, la Commissione UE aveva assunto un chiaro impegno formale a presentare entro la fine del 2023 una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti europei. Tuttavia, l’esecutivo UE non ha ancora tenuto fede all’impegno preso.

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

Purtroppo, rende noto Humane Society International/Europe, l’emendamento sui trofei di caccia è stato giudicato inammissibile

Humane Society International / Italia


Chiara Muzzini/Fondazione Cave Canem

ROMA—Contrasto dei combattimenti tra animali, in particolare tra cani, e divieto di importazione di trofei di caccia di specie animali minacciate di estinzione: questi i punti principali dei tre emendamenti alla Legge di bilancio 2025 sostenuti da Humane Society International/Europe a prima firma dell’On. Michela Vittoria Brambilla, Presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali; dell’On. Sergio Costa, Vicepresidente della Camera e dello stesso Intergruppo, e dell’On. Susanna Cherchi, membro dell’Intergruppo.

Solo gli emendamenti 82.0180 e 119.03, contenenti disposizioni volte alla “formazione dei Carabinieri” e al “contrasto dei combattimenti tra animali”, sono stati giudicati ammissibili e saranno presi in esame dal Parlamento. I due emendamenti, rispettivamente a firma dei deputati Cherchi, Carmina, Costa, Dell’Olio, Donno e Torto e dei deputati Brambilla, Costa, Longi, Evi e Dalla Chiesa, prendono spunto dal progetto IO NON COMBATTO, ideato da Humane Society International/Europe e Fondazione Cave Canem Onlus con l’obiettivo di contrastare il fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani, già vietati in Italia dall’articolo 544 quinquies del codice penale.

Entrambi propongono, nello specifico, lo stanziamento di € 150.000 per la formazione specialistica del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri, e di € 350.000 per coprire i costi di custodia e di riabilitazione psicofisica degli animali sequestrati o confiscati a seguito del loro coinvolgimento nelle suddette attività criminali, nonché affetti da problematiche comportamentali.

Quello del combattimento tra animali, in particolare tra cani, è un fenomeno che risulta spesso associato al traffico di stupefacenti e al gioco d’azzardo, che incide in maniera profondamente negativa sul benessere psicofisico delle specie e delle razze coinvolte—in particolare, gli American Pit Bull Terrier—e che può coinvolgere anche cittadini minorenni, portandoli a sviluppare insensibilità verso la sofferenza degli animali, entusiasmo per la violenza e mancanza di rispetto per la legge.

“La formazione specialistica dei Carabinieri forestali e la riabilitazione psicofisica degli animali sequestrati o confiscati sono due pilastri della politica di contrasto all’odioso reato di organizzazione di combattimenti tra animali, in particolare tra cani. Il terzo è l’aumento delle pene, con estensione della punibilità ai semplici spettatori, previsto dal testo della pdl AC30, di cui sono prima firmataria e relatrice. Mi auguro che sia tenuta nella dovuta considerazione l’esigenza di fermare un’attività non solo pericolosissima e letale per gli animali, vittime innocenti, ma indissolubilmente legata agli stessi gruppi criminali che si arricchiscono con il traffico di droga e il gioco illegale. Quelli che ci proponiamo di finanziare con l’emendamento sono investimenti indispensabili per salvare gli animali e metter fine a queste barbare competizioni, indegne di un Paese civile”, ha dichiarato l’On. Michela Vittoria Brambilla.

Anche l’emendamento 82.0202, giudicato inammissibile per “estraneità di materia”, avrebbe previsto lo stanziamento di fondi da destinare alla formazione e all’addestramento delle Forze di polizia, finalizzati in questo caso “al contrasto del commercio illegale e al controllo del commercio internazionale e della detenzione di specie di fauna e flora minacciate di estinzione”. Tale emendamento, a firma dei deputati Costa, Cherchi, Caramiello, Carmina, Dell’Olio, Donno, Torto, Fontana, L’Abbate, Morfino e Santillo, avrebbe inoltre previsto l’introduzione di un “divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione dei trofei di caccia” di specie minacciate di estinzione, accanto a specifiche pene da comminare ai trasgressori.

“Siamo contrariati dalla decisione di inammissibilità sull’emendamento che introduceva il divieto di importazione dei trofei di caccia di specie a rischio estinzione. Purtroppo questo non ci sorprende, visto l’atteggiamento di gran parte della maggioranza verso la tutela degli animali in generale e sul tema in particolare. La nostra battaglia sul tema proseguirà, proveremo a ripresentare l’emendamento alla prima occasione utile. Chiediamo che i partiti di Governo siano disposti ad ascoltarci, anche rispetto alle altre proposte per la tutela degli animali presentate alla Legge di bilancio”, ha dichiarato l’On. Sergio Costa.

Fra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato trofei di caccia provenienti da oltre 27.000 animali appartenenti a specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), posizionandosi come il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti d’America. L’Italia, nello stesso periodo, ha importato 492 trofei, appartenenti a specie come l’elefante africano, l’orso polare, il rinoceronte nero, il leone e il leopardo.

Con la campagna #NotInMyWorld, HSI/Europe mira a sensibilizzare Governi e aziende sul tema. La pratica della caccia al trofeo non contribuisce né al sostentamento delle comunità locali, cui viene destinata solo un’infinitesima parte delle entrate, né alla conservazione degli ambienti naturali: al contrario, mette a rischio interi ecosistemi, in cui l’equilibrio fra erbivori e carnivori è fondamentale. L’ecoturismo è un’alternativa più sostenibile e più redditizia, capace di generare risorse e posti di lavoro per sostenere la conservazione e l’occupazione locale.

“Abbiamo accolto con grande favore la presentazione, anche a questa Legge di bilancio, di questi emendamenti, da parte di un largo numero di deputati e deputate di differenti partiti, anche di maggioranza”, ha concluso Alessandro Fazzi, Consulente rapporti istituzionali di Humane Society International/Europe. “Per quanto riguarda il fenomeno dei combattimenti tra cani, legato ad altre pratiche criminali come il traffico di stupefacenti e il gioco d’azzardo, esso ha effetti devastanti sia sugli animali coinvolti sia sul tessuto sociale, soprattutto per le giovani generazioni. L’approvazione degli emendamenti che prevedono fondi specifici volti al suo contrasto rappresenterebbe un passo concreto verso la protezione degli animali. Purtroppo, invece, il Presidente della V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati ha giudicato inammissibile l’emendamento relativo all’importazione ed esportazione di trofei di caccia di specie animali a rischio estinzione. Siamo delusi, poiché il divieto di importazione ed esportazione dei trofei di caccia di specie minacciate avrebbe rappresentato un segnale forte e necessario per porre fine a pratiche che mettono a rischio l’equilibrio degli ecosistemi e vanificano gli sforzi per la conservazione”.

FINE

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe: escuri@hsi.org

Il proprietario, il signor Cuong, avvierà un’attività di fornitura di bombole di gas con il supporto di Humane Society International

Humane Society International


Nhan Tran/AP Images for HSI

DONG NAI, Viet Nam—Una struttura che fungeva da macello e da ristorante di carne di cane nel distretto di Trang Bom, nella provincia vietnamita di Dong Nai, ha chiuso dopo vent’anni, come parte del programma Models for Change dell’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International.

Lanciato in Vietnam nel 2022, il programma aiuta le persone a effettuare la transizione al di fuori dal crudele e pericoloso commercio di carne di cane e gatto, riducendo al contempo la crudeltà verso gli animali e la trasmissione della rabbia, in collaborazione con il Dipartimento per gli Animali Allevati, la Salute Animale e la Pesca di Dong Nai. Il proprietario quarantenne, il signor Dao Van Cuong, ha in programma di avviare un’attività di vendita di vernici e successivamente anche di fornire bombole di gas per uso domestico agli abitanti della comunità locale, con un contributo economico per l’avvio dell’attività da parte di HSI.

La provincia di Dong Nai, situata nel sud del Vietnam, al confine con la città di Ho Chi Minh, ospita circa cinquecento ristoranti che servono carne di cane e di gatto. È anche una via di transito per i cani destinati ai macelli nel nord del paese. HSI ha iniziato a lavorare nella provincia su richiesta delle autorità locali e, fino a oggi, ha sostenuto attività educative per i bambini sul tema della rabbia, formato veterinari governativi nelle tecniche di sterilizzazione e castrazione e condotto workshop sulla prevenzione della rabbia in tutta Dong Nai.

Phuong Tham, Direttrice per il Vietnam di Humane Society International, ha dichiarato: “Qui nelle province di Dong Nai e Thai Nguyen siamo orgogliosi di aiutare il Governo a raggiungere l’obiettivo di azzerare il numero di morti umane per rabbia derivanti da interazioni con i cani entro il 2030, anche affrontando la questione del commercio di carne di cane. Il Vietnam non può sperare di eliminare la rabbia e raggiungere questo obiettivo senza affrontare il commercio di carne di cane. Speriamo che il nostro programma Models for Change in Vietnam diventi una componente fondamentale della strategia del paese per offrire mezzi di sostentamento alternativi ed economicamente sostenibili a chi, come il signor Cuong, dipende da questo commercio, e che il programma possa servire come complemento pratico alla riforma legislativa e normativa”.

Per oltre due decenni, il ristorante e il macello attualmente gestiti dal signor Cuong si sono fatti consegnare migliaia di cani da tutto il paese, che venivano uccisi e serviti per il consumo umano. In tutta la provincia, ci sono cani vivi che vengono consegnati a strutture come questa, stipati all’interno di gabbie a bordo di camion che viaggiano per ore dalla vicina provincia del Delta del Mekong. Molti cani provengono anche da commercianti locali che prelevano i cani in moto dai residenti che vendono i loro animali domestici o allevano cuccioli per il commercio di carne. Il signor Cuong ha preso in gestione l’attività nove anni fa, ma il senso di colpa e lo stress derivanti dall’uccisione dei cani hanno contribuito alla sua decisione di abbandonare definitivamente il commercio di carne di cane e di passare a un’attività economica alternativa.

Il signor Cuong ha dichiarato: “Per nove anni ho ucciso cani e polli, li ho macellati e serviti ai miei clienti. I soldi vanno bene, ma questo lavoro non mi rende per niente felice. Non voglio più uccidere questi animali, mi fa sentire male. Vendere vernici e bombole di gas ai residenti locali sarà un’attività molto più tranquilla. Non vedo l’ora di avviare un’impresa dove possa avere la coscienza a posto e non essere coinvolto nell’uccisione di cani. Non sarei riuscito a compiere questo passo senza il supporto del programma Models for Change di HSI e delle autorità di Dong Nai; quindi, sono grato per tutto il loro sostegno”.

Nell’ultimo giorno di attività del signor Cuong, HSI ha salvato gli ultimi sedici cani rimasti, che sono stati trovati tremanti nelle gabbie sul retro del ristorante. HSI li ha trasferiti in una struttura temporanea, dove stanno ricevendo cure veterinarie – compresa la sterilizzazione e le vaccinazioni contro la rabbia e il cimurro – e saranno valutati per eventuali adozioni locali. Molti di loro hanno il pelo pieno di nodi, disturbi alla pelle e infezioni agli occhi. È possibile sostenere le cure con un piccolo contributo.

Phuong Tham di HSI ha aggiunto: “Questi cani erano chiaramente terrorizzati quando li abbiamo trovati. Hanno passato un’odissea e sono stati a un passo dalla morte per il commercio di carne di cane, ma fortunatamente siamo riusciti a salvarli in tempo. Per questi cani, il commercio di carne è finito e nessun altro cane dovrà mai più soffrire e morire in questa struttura. Ma per i milioni di altri cani che continuano a soffrire in tutto il Vietnam, e per i milioni di cittadini la cui salute è messa a rischio dalla diffusione della rabbia e di altre malattie, continueremo a lavorare attivamente con l’obiettivo di porre fine a questo commercio crudele e pericoloso”.

Dopo il salvataggio, il team di HSI in Vietnam ha tenuto una tavola rotonda con i funzionari del Dipartimento della Salute Animale delle province di Dong Nai e Thai Nguyen, durante la quale i leader provinciali hanno concordato di proporre una direttiva ai rispettivi Consigli Popolari per garantire l’applicazione rigorosa delle leggi e delle normative sulla rabbia e sul trasporto e macellazione interprovinciale degli animali, rendendo più difficile il funzionamento dei commerci di carne di cane e gatto.

La rabbia uccide ogni anno più di settanta persone in Vietnam, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con quasi tutti i casi causati da morsi di cane, inclusi casi verificati e dati provenienti dall’Istituto Nazionale di Igiene ed Epidemiologia del Vietnam che mostrano infezioni umane dopo l’uccisione, la macellazione o il consumo di cani. Organizzazioni internazionali, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, hanno fissato l’obiettivo di eliminare la rabbia trasmessa dai cani entro il 2030, identificando il Vietnam come una delle regioni chiave per il raggiungimento di questo traguardo. Intervenire sul commercio di carne di cane in Vietnam è fondamentale per eradicare la rabbia.

Nguyen Truong Giang, Direttore del Dipartimento di Produzione dei Mezzi di Sussistenza e Salute Animale della Provincia di Dong Nai, ha commentato: “Per affrontare la rabbia, dobbiamo intervenire su tutte le modalità con cui questa malattia si diffonde in Vietnam. È chiaro che il commercio di carne di cane contribuisce alla diffusione del virus, ed è per questo che siamo felici di lavorare con il programma Models for Change di HSI per aiutare i lavoratori del commercio di carne di cane e gatto a passare a mezzi di sussistenza migliori e più sicuri per sé stessi e per le loro comunità”.

NOTE

  • Il commercio di carne di cane in Vietnam è per lo più rifornito da cani rapiti dalle strade o rubati da case private. I commercianti usano frequentemente esche avvelenate, come polpette imbottite di cianuro, e catturano i cani con dolorose pistole taser e pinze.
  • I commercianti si recano anche di villaggio in villaggio per acquistare cani dalle comunità rurali che occasionalmente vendono animali “in eccesso” per guadagnare un reddito extra.
  • Per il trasporto a lunga distanza, i cani vengono stipati in piccole gabbie e trasportati per ore o addirittura giorni senza cibo né acqua; molti di loro subiscono lesioni e sopportano stanchezza, disidratazione, soffocamento, colpi di calore e persino la morte prima di arrivare al macello, al mercato o al ristorante.
  • La vendita e il consumo di carne di cane non sono illegali in Vietnam, ma il trasporto interprovinciale non regolamentato di cani è illegale dal 2009, e il furto di animali domestici è stato reso reato nel 2016. Sebbene diverse città, tra cui Hanoi e Hoi An, abbiano promesso di porre fine al commercio, l’applicazione delle leggi è rara e i camion continuano a trasportare centinaia di cani alla volta sulle autostrade nazionali.
  • La maggior parte delle persone in Vietnam non mangia carne di cane. Un sondaggio condotto da Nielsen tra agosto e settembre 2023 su commissione di HSI ha rilevato che circa un quarto della popolazione (il 24%) aveva consumato carne di cane (thịt chó) nell’ultimo anno, con il 64% e il 68% dei rispondenti rispettivamente favorevoli a un divieto sul consumo e sul commercio di tale prodotto. Alcuni consumatori, nonostante l’assenza di prove scientifiche, credono che la carne di cane abbia proprietà medicinali e che possa aumentare la virilità maschile.

Il programma Models for Change di HSI è approdato in Vietnam nel 2022 dopo aver operato con successo in Corea del Sud a partire dal 2015, dove HSI ha chiuso diciotto allevamenti per la produzione di carne di cane, salvando più di 2.500 cani e aiutando gli allevatori a passare a mezzi di sussistenza più sostenibili, come la coltivazione di peperoncini o prezzemolo.

A questo link è possibile visionare foto e video. Si prega di inviare una mail a escuri@hsi.org per il download.

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Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe: escuri@hsi.org

Le associazioni: «L’ennesima riprova del “malessere animale” nei sistemi in gabbia italiani ed europei. L’UE deve fare la sua parte, e presentare la proposta di divieto al più presto possibile»

Humane Society International / Europa


CIWF

ROMA—Una nuova video-inchiesta realizzata da Compassion in World Farming e resa pubblica ieri dalla coalizione italiana End the Cage Age, di cui fa parte anche Humane Society International/Europe, punta ancora una volta i riflettori sulle sofferenze patite dagli animali allevati a scopo alimentare in gabbia e, con esse, la necessità di un divieto a livello europeo che metta fine a questo sistema crudele e obsoleto.

La pubblicazione della video-inchiesta avviene in concomitanza con un passaggio fondamentale per il nuovo esecutivo europeo: l’avvio delle udienze a Bruxelles per la nomina dei nuovi Commissari, inclusi quelli chiamati in causa sul tema dell’allevamento in gabbia. La Commissione UE – fanno appello le associazioni – deve tener fede alla parola data e presentare il promesso divieto dell’utilizzo delle gabbie nell’allevamento.

Le sconvolgenti immagini, filmate in allevamenti italiani e polacchi, mostrano conigli in gabbie così piccole da impedire loro di allungare completamente le zampe, che masticano disperatamente le grate in un gesto di frustrazione, e altri costretti a condividere il poco spazio con altri esemplari morti.

Anche negli allevamenti italiani gli investigatori hanno trovato conigli stipati in piccole gabbie sovraffollate, senza sufficiente spazio in altezza. In un allevamento, poi hanno assistito a parte della inquietante procedura per la raccolta del seme per l’inseminazione artificiale, che consisteva anche nel forzare un coniglio maschio a rapporti sessuali con un suo compagno. A quanto affermato dall’allevatore, si trattava di una pratica per “scaldare” i maschi.

In un altro caso, gli investigatori hanno osservato due tipi di gabbie cosiddette “arricchite”. Sebbene queste avessero più spazio in verticale e in orizzontale, erano comunque troppo piccole per permettere ai conigli di fare salti consecutivi, il che è un elemento essenziale per garantire loro condizioni di vita più rispettose. In più, la maggior parte delle gabbie aveva comunque la pavimentazione metallica e mancava di arricchimenti ambientali come gli elementi masticabili, cruciali per il benessere psicofisico dei conigli. Le gabbie “arricchite”, seppure rappresentino un minimo miglioramento rispetto alle gabbie “convenzionali”, non rispettano le esigenze di benessere dei conigli.

Le immagini mostrano conigli:

  • stipati in gabbie così piccole da non potersi allungare, saltare o sollevare sulle zampe posteriori, tutti comportamenti naturali fondamentali altamente motivati;
  •  confinati in gabbie individuali, nonostante siano animali sociali;
  • morti o malati, che giacevano senza vita con le orecchie rosicchiate o incapaci di sollevare la testa accanto ai conigli vivi;
  • privi di materiali da rosicchiare per limare i denti in costante crescita, spinti così a masticare le grate della gabbia o le orecchie dei compagni;
  • stabulati su scomode pavimentazioni di rete metallica, con conseguenti ferite alla cute, piaghe sulle zampe o lesioni ai garretti;
  • (in due allevamenti) che ansimavano per via delle alte temperature;
  • (in un allevamento) con la gran parte del loro corpo privo di pelliccia, probabilmente per via di una parassitosi o un’infezione.

In Italia nel 2023 sono stati macellati 14,5 milioni di conigli, la stragrande maggioranza dei quali proveniente da allevamenti intensivi in gabbia.

Ma ciò che è stato osservato dagli investigatori in Italia e Polonia è rappresentativo delle condizioni della maggior parte degli allevamenti di conigli in tutta l’UE, in cui non sono tutelate neanche le più basilari necessità comportamentali dei conigli.

Purtroppo, a causa del ritardo della Commissione Europea nel vietare l’allevamento in gabbia e dell’assenza di leggi specie-specifiche che proteggano il benessere dei conigli allevati nell’UE, queste riprese ritraggono condizioni di allevamento agghiaccianti, ma perfettamente legali.

In Europa, ogni anno vengono macellati circa 77 milioni di conigli*. Si stima che il 90% di essi sia allevato in gabbia, compresa la quasi totalità degli esemplari impiegati nella riproduzione.

Nel 2021, in risposta all’Iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age, che aveva raccolto con successo oltre 1,4 milioni di firme certificate, la Commissione UE aveva assunto un chiaro impegno formale a presentare entro la fine del 2023 una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti europei. Tuttavia, l’esecutivo UE non ha ancora tenuto fede al proprio proposito.

Solo poche settimane fa, CIWF ha lanciato un nuovo report che mostra come alcune delle maggiori aziende agro-alimentari europee stiano transitando con successo a sistemi senza gabbie, non solo nel caso dei conigli, già implementati da Paesi come l’Austria, il Belgio e i Paesi Bassi. Una chiara dimostrazione della loro fattibilità.

La stragrande maggioranza dei cittadini in Europa – nove su dieci – ritiene che gli animali non dovrebbero essere allevati in gabbie individuali. Al contempo, dal Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura dell’UE è emerso un diffuso consenso nel settore agroalimentare secondo cui le gabbie devono essere eliminate gradualmente e la proposta di revisione della normativa sul benessere animale pubblicata al più tardi entro il 2026.

“Questa video-inchiesta dimostra ancora una volta quanto sosteniamo da sempre,” commentano le associazioni. “E cioè che non può esistere benessere animale in gabbia. Qui non si tratta di ‘mele marce’ del sistema, ma dello standard comune di ‘malessere animale’ che riguarda la quasi totalità degli allevamenti di conigli in Italia e nell’UE.”

“Alternative più rispettose sono possibili e già in uso in tutto il mondo,” concludono. “La Commissione Europea deve fare la sua parte e tenere fede al suo impegno formale a presentare la proposta per vietare l’allevamento in gabbia per tutti gli animali allevati al più presto possibile.”

CIWF ha inviato una sintesi della propria inchiesta ai membri del Parlamento Europeo e funzionari della Commissione Europea, mentre invita la società civile a fare appello all’esecutivo UE affinché la proposta legislativa per mettere fine all’uso delle gabbie nella zootecnia sia una priorità e venga inclusa in modo esplicito nel Programma di lavoro della Commissione.

Per maggiori informazioni sulla campagna, visitare www.endthecageage.eu/it

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Note ai media

Qui potete trovare foto e video dell’inchiesta. Credit: CIWF.

  • *Dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, riportati nel report Eu Caged Rabbit Farming Investigation 2024.
  • La Coalizione italiana End the Cage Age è formata da 22 organizzazioni (Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, Humane Society International/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus).
  •  Le informazioni disponibili sulla portata dell’allevamento di conigli all’interno dell’UE sono limitate, ma in base a un report della Commissione UE del 2017, al 2016 venivano allevati e macellati ogni anno circa 119 milioni di conigli a livello commerciale, più altri 61 milioni in allevamenti familiari. Da allora, l’UE non ha pubblicato dati sul numero di conigli, ma in base ai dati pubblicati attraverso le dashboard del CIRCABC (Communication and Information Resource Center for Administrations, Businesses and Citizens) sul tonnellaggio di carne di coniglio prodotta si evince che al 2022, il numero di conigli è sceso a circa 70-80 milioni all’anno. Ciò è in linea con i dati pubblicati dalla FAO, in base al quale si stima che in Unione Europea nel 2022 siano stati macellati 72.196.700 conigli.
  • Nel 2020, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha riportato che uno dei principali effetti della privazione di materiali adatti all’espressione del comportamento di rosicchiamento nei conigli è il reindirizzamento di tale comportamento verso la gabbia o addirittura verso i loro simili. Per quanto riguarda le problematiche legate allo spazio insufficiente, l’EFSA indica che la lunghezza di un salto è di 70 cm, a seconda delle dimensioni del coniglio, e che il Consiglio d’Europa raccomanda che i conigli allevati a scopo sperimentale debbano essere in grado di completare tre salti consecutivi.
  • Circa 300 milioni di animali sono rinchiusi in gabbia nell’Unione Europea ogni anno, incluso il 40% delle galline (quasi 152 milioni), il 94% dei conigli (circa 70 milioni) e il 96% delle scrofe (10 milioni). Gli animali tenuti in gabbia sono rinchiusi in ambienti spogli, in condizioni di sovraffollamento o di totale privazione di contatti sociali, incapaci di girarsi su loro stessi o di esprimere anche i basilari comportamenti naturali.
  • Secondo l’Eurobarometro 2023, il 94% dei cittadini dell’UE ritiene importante che gli animali allevati dispongano di uno spazio sufficiente per muoversi, sdraiarsi e alzarsi, e l’89% ritiene importante che gli animali allevati non siano tenuti in gabbie singole.

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

HSI/Europe celebra una decisione storica per la protezione degli animali in Romania

Humane Society International / Europa


HSI

BUCAREST—Humane Society International/Europe celebra oggi una vittoria epocale per la protezione degli animali in Romania: il Parlamento rumeno ha votato a stragrande maggioranza per vietare l’allevamento di visoni e cincillà per la produzione di pellicce, le uniche due specie allevate a tale scopo nel paese. Questa decisione all’avanguardia è il risultato di quasi due anni di dibattiti politici e di una campagna costante da parte dell’ufficio rumeno di HSI/Europe e di altre organizzazioni impegnate nella tutela degli animali. La Romania diventa così il 22° paese in Europa a vietare l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, segnando un traguardo significativo nella campagna globale di HSI per porre fine alla crudele pratica di allevare e uccidere animali in nome della moda di indossare pellicce.

Andreea Roseti, Direttrice per la Romania di HSI/Europe, ha dichiarato: “Il voto di oggi non rappresenta solo una decisione innovativa per la protezione degli animali in Romania e un traguardo legislativo, ma anche un’affermazione chiara del crescente impegno del nostro paese verso il benessere degli animali. Vietando l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, la Romania compie un passo significativo verso una società più etica, in cui gli animali non sono più considerati alla stregua di merci per l’industria della moda. Insieme, possiamo proteggere questi esseri vulnerabili dalla sofferenza”.

“Estendiamo i nostri più sentiti ringraziamenti al popolo rumeno e a tutti coloro che hanno firmato petizioni e inviato lettere, le cui voci hanno fatto la differenza in questo percorso. Il vostro supporto impedirà la sofferenza di migliaia di animali e speriamo che questa legge ci avvicini all’introduzione di un divieto che ponga fine all’allevamento di animali per la produzione di pellicce in tutta l’UE”.

Il disegno di legge è stato originariamente proposto dopo che HSI/Europe ha condotto un’inchiesta sotto copertura che ha svelato le condizioni critiche in cui versavano gli animali allevati allo scopo di produrre pellicce in Romania. I filmati hanno mostrato come i cincillà fossero rinchiusi all’interno di gabbie metalliche piccole e sporche, per poi essere uccisi a pochi mesi di vita in camere a gas improvvisate o tramite la rottura del collo.

Il disegno di legge è stato approvato dalla Camera dei Deputati; una volta promulgato, allevare animali per produrre pellicce diverrà illegale in Romania a partire dal 1° gennaio 2027. Anche se la legislazione deve essere promulgata dal presidente Klaus Iohannis e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore, si prevede che questo passaggio avverrà senza ritardi.

Oltre il 67 per cento dei cittadini rumeni e delle cittadine rumene è favorevole a vietare l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, stando a un sondaggio commissionato da HSI/Europe, cosa che sottolinea come l’opinione pubblica sia contraria all’industria delle pellicce. Inoltre, la campagna di HSI/Europe in Romania ha raccolto più di 74.000 firme a favore della chiusura degli allevamenti, che sono state consegnate al Parlamento rumeno.

L’industria della pelliccia è in declino in Romania: il numero degli allevamenti è sceso drasticamente, passando da oltre 150 nel 2013 a circa una dozzina nel 2022, compresi due grandi allevamenti di visoni che producono circa 100.000 pellicce di visone e 15.000 pellicce di cincillà all’anno. Il divieto approvato in Romania tiene conto anche dei rischi per l’ambiente e per la salute umana derivanti dall’allevamento di animali per la produzione di pellicce, inclusa la diffusione di malattie zoonotiche, posizionando la Romania all’interno del più ampio movimento europeo che promuovere il benessere animale e l’adozione di pratiche sostenibili.

È possibile visionare foto e video a questo link. Per il download, si prega di inviare una mail a escuri@hsi.org .

NOTE

  • Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno a causa del commercio globale di pellicce, la maggior parte dei quali è allevata in sterili gabbie in modalità intensiva.
  • L’allevamento di animali per la produzione di pellicce è stato vietato in 22 paesi europei, fra cui 16 Stati membri dell’UE (Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia), oltre a Bosnia ed Erzegovina, Guernsey, Norvegia, Regno Unito, Macedonia del Nord e Serbia. Inoltre, Svizzera e Germania hanno attuato regolamenti rigorosi che hanno di fatto messo fine alla pratica, mentre Danimarca, Svezia e Ungheria hanno imposto misure che hanno interrotto l’allevamento di alcune specie. Sono in corso discussioni politiche sull’introduzione di un divieto in Bulgaria e Svezia.
  • I visoni di quasi 500 allevamenti per la produzione di pellicce in 13 paesi d’Europa e Nord America sono risultati positivi al COVID-19, mentre l’influenza aviaria ad alta patogenicità A(H5N1) è stata finora riscontrata in 72 allevamenti (uno in Spagna e 71 in Finlandia). Milioni di visoni, volpi artiche, volpi rosse, cani procione e zibellini sono stati uccisi per motivi di salute pubblica.
  • Dieci marchi di moda in Romania si sono impegnati a rinunciare alla pelliccia dopo aver collaborato con Humane Society International/Europe, diventando i primi designer in Romania a unirsi al programma globale Fur Free Retailer. Ioana Ciolacu, Muse um Concept, REDU, OCTAVIA CHIRU, Katerini, Hooldra, Feeric Fashion Week, Scapadona, Axente e Lenca si aggiungono ai quasi 1.600 marchi di moda, rivenditori e designer in 25 paesi nel mondo che fanno parte del programma Fur Free Retailer, tra cui Adidas, H&M, Zara, Gucci, Moncler e Prada. L’ultimo brand italiano che si è aggiunto alla lista, nell’agosto 2024, è il Max Mara Fashion Group.

FINE

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

I suoi suggestivi scatti di resti di animali contribuiscono a fare pressione sui decisori politici affinché rafforzino le misure a tutela delle specie in pericolo e vietino le importazioni di trofei di caccia

Humane Society International / Europa


@Britta Jaschinski

BRUXELLES/ROMA—Humane Society International/Europe si congratula con la fotografa Britta Jaschinski per aver vinto il prestigioso premio Wildlife Photographer of the Year 2024 nella categoria “Fotogiornalismo”. Organizzato dal Museo di Storia Naturale di Londra, questo concorso è riconosciuto come uno dei più stimati contest fotografici al mondo.

La foto vincitrice di Jaschinski mostra l’applicazione di una nuova polvere magnetica su una zanna di elefante sequestrata. Questa tecnica consente di individuare impronte digitali fino a 28 giorni dopo che i bracconieri hanno maneggiato le zanne, risolvendo le criticità dovute alla porosità dell’avorio. Oltre 200 kit per l’utilizzo di questa polvere sono stati distribuiti alle autorità di frontiera in Africa e Asia, per essere impiegati nei casi di traffico di avorio, artigli di tigre e corni di rinoceronte. Il metodo è apprezzato per la sua semplicità e la sua efficacia, nel caso in cui non si possa fare ricorso alle analisi del DNA.

“Che sia per i trofei o per soddisfare la domanda di avorio, i dati dimostrano che rischiamo di assistere all’estinzione di una delle specie più iconiche entro il 2040”, dichiara Jaschinski. “Perdere i nostri splendidi elefanti in nome dello sport, del potere e dell’avidità è semplicemente inaccettabile. Individuare le impronte digitali sull’avorio e su altri resti di animali selvatici sequestrati è una tecnica importante nell’analisi forense che alimenta la speranza di arrestare e persino smantellare intere filiere commerciali. Se non riusciamo a salvare le specie più carismatiche, che speranze ci sono per le altre? Sono grata a organizzazioni come Humane Society International/Europe per aver amplificato questi temi e aver fatto pressione per un’azione politica concreta volta a rafforzare la protezione della fauna selvatica e, in particolare, porre fine all’importazione di trofei di caccia”.

HSI/Europe ammira lo straordinario lavoro di Jaschinski e ha collaborato con lei alla realizzazione della mostra “Natura morta. In consegna.”, nell’ambito della campagna #NotInMyWorld. La campagna di HSI si concentra sulla caccia al trofeo, ovvero sull’uccisione legale e insensata di animali selvatici per sport, che ha gravi impatti ambientali, etici, sociali ed economici. Specie in pericolo come l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare vengono trasformate in oggetti privi di vita – dagli apribottiglie ai posacenere –, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. HSI/Europe chiede all’Unione Europea e ai suoi Stati membri di vietare le importazioni di trofei di caccia e invita le aziende a smettere di sostenere questa pratica. La mostra “Natura morta. In consegna.” è già stata allestita a Roma e Varsavia, con l’intento di portarla in altre città per esporre queste opere che rivelano come animali maestosi vengano uccisi dai cacciatori di trofei e trasformati in oggetti inanimati e lugubri per mera soddisfazione personale.

Attraverso il suo lavoro, la fotografa, che vive a Londra, esplora il rapporto tra uomo e natura e le sue implicazioni. Nota per il suo stile distintivo, documenta i crimini contro la fauna selvatica e collabora con autorità internazionali e organizzazioni ambientaliste. Come cofondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e creatrice di The Evidence Project, promuove la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e l’azione politica per proteggere la fauna selvatica e gli habitat naturali.

Ruud Tombrock, direttore esecutivo di HSI/Europe, si congratula con Jaschinski per il suo premio e sottolinea l’urgenza di un intervento politico: “I suggestivi scatti di Britta Jaschinski svelano la cruda realtà dietro la caccia al trofeo e l’immenso dolore e sfruttamento degli animali che essa comporta, inviando un messaggio forte ai decisori politici europei affinché prendano misure decisive per fermare l’importazione di questi assurdi trofei. Non si tratta solo di proteggere singoli animali, ma di preservare interi ecosistemi e salvaguardare il futuro delle specie a rischio in tutto il mondo”.

Tra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato oltre 27.000 trofei di animali tutelati dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), posizionandosi come il secondo importatore mondiale di trofei di caccia dopo gli Stati Uniti. Tra le specie coinvolte, ci sono animali come ippopotami, rinoceronti, leoni e orsi polari.

A livello globale, si è sviluppato un forte movimento contro l’industria della caccia al trofeo. Molti paesi, come Colombia, Costa Rica, India, Kenya, Singapore, Sud Sudan e altri, hanno già vietato questa pratica e/o il commercio di trofei di caccia, a livello totale o parziale. In altri paesi, come Argentina, Australia, Belgio, Canada, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Stati Uniti e altri, sono in vigore delle restrizioni nazionali sul commercio di trofei di caccia che vanno al di là dei requisiti minimi della CITES. Anche il settore privato si è posizionato come leader globale nell’ambito della sostenibilità e della responsabilità ambientale, con 45 società di trasporti che hanno vietato il trasporto di alcune o di tutte le tipologie di trofei di caccia sui loro vettori, fra cui alcune delle compagnie aeree appartenenti ai cinque principali gruppi aerei del mondo e ai tre maggiori gruppi aerei dell’UE.

A questo link è possibile scaricare la foto premiata (si prega di creare un account).

FINE

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

HSI/Europe e Fondazione Cave Canem ribadiscono la necessità di facilitare l’adozione di animali sequestrati altrimenti destinati a trascorrere anni nei canili in attesa dell’eventuale confisca a fine procedimento penale

Humane Society International / Europa


Chiara Muzzini/Fondazione Cave Canem.

ROMA—Humane Society International/Europe e Fondazione Cave Canem Onlus, impegnate nella prevenzione e repressione dei combattimenti fra cani con il progetto IO NON COMBATTO, ringraziano il Vicepresidente della Camera dei Deputati, Sergio Costa, per aver accolto il loro appello e chiesto al Ministero della Giustizia di sviluppare strategie efficaci per contrastare questi crimini e stabilire procedure chiare per la gestione degli animali sequestrati, che tengano maggiormente conto del loro benessere fisico e psicologico e delle eventuali esigenze specifiche di accasamento e riabilitazione. Le due organizzazioni auspicano dunque che il Ministro Carlo Nordio prenda provvedimenti in tempi rapidi.

I combattimenti fra cani, spesso associati ad altre attività criminali, sono puniti, in Italia, dall’art. 544 quinquies del codice penale. Tuttavia, poiché gli animali sono contemporaneamente considerati beni mobili ed esseri senzienti, la loro tutela in ambito penale presenta un carattere a volte ondivago. Una soluzione che potrebbe contribuire a risolvere questo problema, come sostengono HSI/Europe e Fondazione Cave Canem accanto ad altre organizzazioni, è quella del deposito cauzionale. Questo strumento consiste nel versamento di una somma per l’affido definitivo dei cani sequestrati e spesso traumatizzati a enti o privati che siano in grado di garantirne il benessere e il recupero psicofisico, invece di accasarli in strutture temporanee e non idonee per la durata – spesso alquanto estesa – del procedimento penale, il cui esito è altresì incerto.

In caso di assoluzione, la somma verrà corrisposta agli imputati; in caso di condanna, la stessa verrà versata nel Fondo Unico di Giustizia. Come esposto in un convegno a riguardo, tenutosi ad aprile al Campidoglio, le due organizzazioni ritengono che il deposito cauzionale sia, in considerazione delle norme vigenti, uno strumento da diffondere il più possibile: da un lato, consente di svincolare facilmente l’animale sequestrato dall’esito del procedimento penale, senza dover attendere un’eventuale confisca a seguito di condanna penale, agevolandone l’adozione in tempi rapidi; dall’altro, determina un significativo risparmio per le casse dello Stato.

“Per quanto possa sembrare assurdo e contro ogni tipo di natura, i reati di maltrattamento di animali sono ancora molto diffusi in Italia, nonostante il grande sforzo delle Forze dell’ordine. Ho scritto al Ministro Nordio dicendo che è cruciale che il Ministero della Giustizia sviluppi strategie efficaci per prevenire e contrastare questi crimini, ma è altrettanto importante stabilire procedure chiare per la gestione degli animali sequestrati. Possiamo e dobbiamo garantire un futuro di serenità e benessere a questi esseri senzienti, glielo dobbiamo!”, ha dichiarato Sergio Costa, Vicepresidente della Camera dei Deputati.

“Nei casi di combattimenti tra cani o altre gravi forme di maltrattamento di animali, oltre al tempestivo intervento delle Forze di polizia è necessaria la collaborazione, intesa come spiccata sensibilità procedurale, della magistratura. Considerando quanto possono essere incerti i tempi e gli esiti dei procedimenti penali, è importante che si agisca nel miglior interesse dell’animale che sicuramente non è rappresentato dalla permanenza, per anni e anni, in un canile, in attesa della confisca, privandolo del diritto all’adozione. È quindi necessario delineare, diffondere e standardizzare l’uso di strumenti legali, come il deposito cauzionale, per dare a questi animali la possibilità di una nuova vita il prima possibile e confidiamo che il Ministro Nordio condivida questa posizione”, dichiarano Martina Pluda e Federica Faiella, rispettivamente Direttrice per l’Italia di HSI/Europe e Presidente della Fondazione Cave Canem.

Il processo Green Hill, come evidenziato dal Vicepresidente Costa, è un esempio della bontà di questo strumento giuridico, che ha permesso di trovare nuove famiglie a quasi tremila cani sequestrati da un allevamento in provincia di Brescia, che li avrebbe destinati alla sperimentazione. In considerazione dei molteplici vantaggi che il deposito cauzionale garantisce, lo stesso potrebbe essere adottato quale best practice dalla magistratura, facilitando l’adozione di animali che, altrimenti, si troverebbero probabilmente a trascorrere molteplici anni all’interno di canili o altre strutture di accoglienza o, ancora peggio, tornare nelle mani dei loro maltrattatori.

Per questo, HSI/Europe e Fondazione Cave Canem auspicano che il Ministro Carlo Nordio valuti presto la standardizzazione di tale misura, garantendo una gestione più etica degli animali sequestrati e offrendo loro l’opportunità di una nuova vita. Con la piena ripresa dei lavori parlamentari, le due organizzazioni mirano a trovare sostegno politico per la presentazione di un emendamento volto a prevedere, nella prossima Legge di bilancio, lo stanziamento di appositi fondi da destinare alla formazione specialistica delle Forze di polizia e alla copertura dei costi di custodia e di recupero comportamentale degli animali vittime di reato, a partire dai combattimenti tra cani.

FINE

Crediti della fotografia in allegato: Chiara Muzzini/Fondazione Cave Canem

Contatti stampa:

Humane Society International / South Korea


HSI

SEUL, Corea del Sud—È stato pubblicato ieri il tanto atteso “piano base” del Governo della Corea del Sud per porre gradualmente fine al commercio di carne di cane. Gli attivisti di Humane Society International/Korea hanno accolto la notizia come un “importante traguardo in questo storico percorso” e hanno esortato altri paesi dell’Asia a seguire l’esempio. Tuttavia, secondo HSI/Korea, sono necessarie ulteriori azioni per prevenire le terribili sofferenze dei cani.

Sangkyung Lee, responsabile della campagna di HSI/Korea per porre fine al commercio della carne di cane, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “La pubblicazione del piano del governo per la graduale dismissione dell’industria della carne di cane in Corea del Sud rappresenta un importante traguardo in questo storico percorso che vi porrà fine una volta per tutte. Speriamo che altri paesi asiatici, dove il commercio della carne di cane persiste nonostante l’opposizione pubblica, seguano l’esempio della Corea del Sud, affinché la nostra legge speciale e il piano base possano fungere da catalizzatori per simili prese di posizione etiche in tutto il mondo. HSI/Korea è pronta a fornire ulteriori consigli al Governo sul benessere dei cani e a salvarli quando possibile, affinché le vittime di questa brutale industria abbiano la possibilità di una vita felice”.

Riguardo al piano di sostegno finanziario per gli allevatori di cani destinati alla produzione di carne, la referente di HSI/Korea ha commentato: “Siamo delusi che il piano base del governo preveda aiuti finanziari per gli allevamenti di cani sulla base del numero di animali allevati. Sebbene siano stati fissati limiti in base alla capacità dichiarata degli impianti di smaltimento dei rifiuti, questo approccio rischia di portare a un improvviso aumento del numero di cani allevati al solo scopo di ottenere più indennizzi, alimentando le nascite di cuccioli destinati a soffrire. Questo approccio va nella direzione opposta rispetto allo scopo della legge speciale e rischia di esporre ancora più cani a crudeltà, rendendo la gestione da parte del Ministero dell’Agricoltura, delle Risorse Alimentari e degli Affari Rurali di questi animali ancora più difficoltosa. Esortiamo il Ministero a rivalutare la decisione e a optare invece per un importo fisso o un pacchetto di aiuti basato sul piano di transizione di ciascun allevatore”.

Riguardo alla gestione dei cani durante e dopo il periodo di transizione, Lee ha aggiunto: “Sono chiaramente necessarie discussioni urgenti sulle azioni prioritarie da intraprendere per arrestare la nascita di cuccioli negli allevamenti durante la fase di transizione. Il Governo nazionale deve impegnarsi attivamente con le amministrazioni locali e le organizzazioni di tutela degli animali, come HSI/Korea, per garantire che gli allevatori separino immediatamente gli esemplari di sesso maschile e femminile negli allevamenti per fermare le attività riproduttive. Non c’è alcun motivo per far nascere altri cuccioli innocenti in questa crudele industria proprio ora che l’obiettivo è quello di porvi fine”.

Note:

  • Con oltre 6 milioni di cani domestici che vivono nelle case dei coreani, la domanda di carne di cane è ai minimi storici. Stando a un sondaggio condotto da Nielsen Korea nel 2023, l’86% degli abitanti della Corea del Sud non è intenzionato a consumare carne di cane in futuro e il 57% è favorevole all’introduzione di un divieto.
  • Dal 2015, HSI/Korea ha aiutato 18 allevatori di cani in tutta la Corea del Sud a passare alla coltivazione di vegetali come peperoncino e prezzemolo, o alla consegna dell’acqua e ad altre attività economiche nell’ambito del programma Models for Change.
  • La Corea del Sud si unisce a un numero crescente di paesi in tutta l’Asia che hanno vietato il commercio di carne di cane (con diversi gradi di applicazione), tra cui Hong Kong, Taiwan, le Filippine, l’India, la Thailandia e Singapore, oltre alle città di Shenzhen e Zhuhai nella Cina continentale, la provincia di Siem Reap in Cambogia e più di 60 città, distretti e province dell’Indonesia.

A questo link è possibile visionare le foto e i video raccolti da HSI/Korea a testimonianza della chiusura degli allevamenti di cani per la produzione di carne. Si prega di contattare escuri@hsi.org per scaricare gli asset desiderati.

FINE

Contatti stampa:

  • Eva-Maria Heinen, Senior Manager Media & Communications, HSI/Europe. emheinen@hsi.org +39 3338608589
  • Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

Dopo essere state salvate dal traffico illegale, sono state reintrodotte nel loro habitat grazie alle organizzazioni che si occupano della conservazione e della tutela della fauna selvatica

Humane Society International / Europa


ARCAS

PETEN, Guatemala―All’apertura dei box adibiti al trasporto, la giungla della Riserva della Biosfera Maya, in Guatemala, si è nuovamente riempita di piume multicolore. Diciannove esemplari di ara scarlatta (Ara macao cyanoptera), specie emblematica dell’America centrale, sono stati reintrodotti nel loro habitat naturale dopo essere stati tratti in salvo dal traffico illegale di fauna selvatica.

A questo link è possibile scaricare le foto della liberazione; qui si possono scaricare i video.

Anche se l’ara scarlatta è attualmente classificata come “a rischio minimo di estinzione” dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, diversi paesi dell’America centrale e meridionale l’hanno inclusa nell’elenco delle specie in grave pericolo. I ricercatori stimano che in Guatemala rimangano tra i 150 e i 200 esemplari di ara scarlatta, dove sono classificati come minacciati. La sottospecie settentrionale è considerata in pericolo di estinzione in Messico, Belize, Costa Rica e Panama; è classificata come a rischio in Honduras, ed è protetta dalla cattura in Nicaragua. La perdita di habitat nella foresta pluviale e le catture legate al commercio illegale di animali domestici esotici rappresentano le principali minacce per questa specie. Strappati dai loro nidi in natura, questi pappagalli possono essere venduti per centinaia di dollari in diversi paesi di tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, dove il Fish & Wildlife Service li annovera fra le specie minacciate.

Il rilascio di questi uccelli tanto colorati, quanto minacciati, è stato il risultato di un lavoro congiunto di organizzazioni non governative e senza scopo di lucro, Asociación Rescate y Conservación de Vida Silvestre (conosciuta come ARCAS) e Humane Society International/Latin America, con il supporto della Fondazione Luis Von Ahn e di Defensores de la Naturaleza, così come del Consiglio Nazionale delle Aree Protette, noto come CONAP.

Tutti gli esemplari liberati erano vittime del traffico illegale di fauna selvatica. Mentre la maggior parte di loro è nata presso il centro di recupero per animali selvatici di ARCAS da genitori salvati dal commercio illegale, due esemplari sono stati confiscati direttamente dalle autorità. Fernando Martinez, Direttore di ARCAS Petén, spiega: I due pappagalli confiscati erano tenuti in scatole e destinati al commercio illegale di animali domestici. Essendo arrivati al centro di recupero ancora giovani, hanno avuto l’opportunità di unirsi al resto del gruppo e tornare nell’habitat da cui erano stati prelevati”.

“Attraverso il nostro processo di riabilitazione, tutti e diciannove i giovani uccelli hanno acquisito le abilità necessarie per vivere in libertà e contribuire all’espansione della popolazione di are selvatiche nella Riserva della Biosfera Maya”.

Andrea Borel, Direttrice Esecutiva di HSI/Latin America, ha aggiunto: “Il traffico illegale di fauna selvatica in Guatemala rappresenta una grave minaccia per le specie in pericolo come le are, perché i trafficanti prelevano i pulli dai loro nidi per venderli come animali domestici. Una simile operazione attribuisce un prezzo a queste specie, portando a un declino insostenibile della popolazione. Oltre alle ulteriori minacce derivanti dalla perdita di habitat, questa attività illegale causa sofferenza e stress agli uccelli che vengono sottratti alla natura e contrabbandati per lunghe distanze per essere venduti sul mercato nero come animali domestici. È per questo che, dal 2007, HSI/Latin America lavora con il nostro partner locale, ARCAS, per la protezione e la conservazione della fauna selvatica in Guatemala”.

La reintroduzione delle are nel loro habitat naturale è stata facilitata dai membri delle organizzazioni non governative sopra elencate, sotto la supervisione del CONAP. Gli uccelli rilasciati saranno monitorati per quindici giorni per tracciare i loro progressi.

FINE

Contatti stampa:

  1. Eva-Maria Heinen, Senior Manager Media & Communications, HSI/Europe. emheinen@hsi.org +39 3338608589
  2. Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

Humane Society International/Europe ricorda che anche in Italia ci sono ancora centinaia di visoni detenuti in gabbia

Humane Society International / Europa


HSI

MILANO— Decine di nuovi virus sono stati identificati negli animali in Cina, compresi quelli allevati allo scopo di produrre pellicce (visoni, volpi artiche, conigli e cani procione), dimostrando la pericolosità di questa industria per la salute umana e spingendo Humane Society International, organizzazione leader nella protezione degli animali, a rinnovare la sua richiesta di porre fine al commercio di pellicce. Analizzando gli esemplari presenti negli allevamenti cinesi, i ricercatori hanno individuato 36 nuovi virus, oltre a localizzare virus associati a infezioni umane e a riscontrare il rischio di trasmissione da una specie all’altra di coronavirus e influenza aviaria. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, avvertono che gli allevamenti di animali da pelliccia fungono da hub per la trasmissione dei virus.

La ricerca, che ha preso in esame 461 campioni di tessuto prelevati dagli animali allevati per la loro pelliccia, ha identificato 39 virus classificati come “potenzialmente ad alto rischio” per la trasmissione all’organismo umano, inclusi 13 virus nuovi e 11 virus responsabili di zoonosi che possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani. Questi virus potenzialmente ad alto rischio sono stati localizzati in visoni, volpi artiche e conigli, così come nei cani procione, capaci di veicolarne il numero più elevato (fino a 10). Gli scienziati hanno osservato che questi animali “costituiscono ospiti potenzialmente ad alto rischio per la trasmissione di virus agli esseri umani e ad altri animali”. Sette specie di coronavirus sono state identificate in 66 animali allevati per le loro pellicce. I ricercatori esprimono anche una particolare preoccupazione per la scoperta di coronavirus dei pipistrelli (HKU5) e, separatamente, di virus responsabili dell’influenza aviaria (H5N6) nei visoni allevati, e sottolineano come i casi di coinfezione siano comuni.

“Allevare animali per la produzione di pellicce non è solo un’attività incompatibile con il benessere animale, ma è anche una grave minaccia per la salute pubblica. Sebbene in Italia questa industria sia stata vietata già nel 2022, l’assenza di un decreto ministeriale vede ancora migliaia di visoni rinchiusi nelle gabbie degli allevamenti chiusi in Lombardia, Romagna e Abruzzo. Questo ritardo non è solamente inammissibile ma anche incredibilmente irresponsabile”, ha dichiarato Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe. “È poco lungimirante correre il rischio di scatenare una nuova pandemia in nome di un prodotto, la pelliccia di origine animale, che non è più richiesto dalla maggior parte dei consumatori. Non è un caso se sono sempre di più i brand che hanno deciso di eliminarlo dalle proprie collezioni, fra cui, per citare l’ultimo esempio, il Max Mara Fashion Group”.

Solo lo scorso anno, HSI ha diffuso immagini allarmanti provenienti da allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina, dove gli animali sono allevati in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale rischio di diffusione di malattie zoonotiche. Gli investigatori hanno osservato diversi altri rischi per la biosicurezza, tra cui l’uso diffuso di antibiotici, l’alimentazione degli animali allevati con carne di pollo cruda e la vendita di carcasse di cani procione per il consumo umano.

Non è la prima volta che gli scienziati esprimono preoccupazione riguardo ai rischi degli allevamenti di animali da pelliccia per la diffusione di virus con potenziale pandemico. Nel luglio 2023, dopo l’intercettazione di focolai di influenza aviaria (H5N1) in allevamenti di visoni e volpi in Spagna e Finlandia, i virologi del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Imperial College di Londra hanno avvertito che l’allevamento intensivo di visoni dovrebbe essere considerato al pari del commercio di carne di animali selvatici e dei mercati di animali vivi, a causa della minaccia che rappresenta per l’insorgenza di futuri focolai di malattie. Sono state sollevate preoccupazioni anche riguardo alla diffusione di SARS-CoV-2 nei visoni in quasi 500 allevamenti sparsi fra Europa e Nord America, con il virus che passa dagli esseri umani ai visoni allevati, si trasmette fra i visoni e, di nuovo, dagli animali all’uomo. Negli ultimi anni, milioni di esemplari presenti negli allevamenti sono stati abbattuti per motivi di salute pubblica – a migliaia anche in Italia.

A questo link è possibile scaricare le foto degli allevamenti in Cina; qui si possono scaricare i video.

Note

  • Da aprile 2020, i visoni di 488 allevamenti in Nord America e in Europa sono risultati positivi al SARS-CoV-2. Il virus ha dimostrato di essere in grado di passare da mammifero a mammifero negli allevamenti, e sono stati segnalati casi di trasmissione dagli animali agli esseri umani in almeno sei Paesi. L’ultimo focolaio è stato registrato in Bulgaria nell’ottobre 2023.
  • Gli animali di più di 70 allevamenti europei per la produzione di pellicce sono stati infettati da influenza aviaria altamente patogena A (H5N1) – in Spagna nel 2022 e in Finlandia nel 2023 – con conseguente ordine da parte delle autorità di abbattere più di 500.000 visoni, cani procione, volpi e zibellini per motivi di salute pubblica.
  • In Italia, nonostante l’allevamento di animali da pelliccia sia vietato dal 2022, si stima ci siano ancora 1 600 visoni detenuti in gabbia negli allevamenti di Capergnanica (CR), Ravenna e Castel di Sangro (AQ), a causa della mancata pubblicazione del decreto attuativo inteso a regolare l’eventuale cessione degli animali a strutture autorizzate. A gennaio 2022 i visoni ancora in vita erano 5.700. A novembre 2022, è stato confermato un focolaio di SARS-CoV-2 all’interno di un allevamento nel Comune di Galeata (FC), risultando nell’abbattimento sanitario dei restanti 1.500 visoni della struttura. A maggio 2023 un altro contagio è stato riscontrato a Calvagese della Riviera (BS), portando all’abbattimento di oltre 1.500 visoni.

FINE

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