Le associazioni: «L’ennesima riprova del “malessere animale” nei sistemi in gabbia italiani ed europei. L’UE deve fare la sua parte, e presentare la proposta di divieto al più presto possibile»

Humane Society International / Europa


CIWF

ROMA—Una nuova video-inchiesta realizzata da Compassion in World Farming e resa pubblica ieri dalla coalizione italiana End the Cage Age, di cui fa parte anche Humane Society International/Europe, punta ancora una volta i riflettori sulle sofferenze patite dagli animali allevati a scopo alimentare in gabbia e, con esse, la necessità di un divieto a livello europeo che metta fine a questo sistema crudele e obsoleto.

La pubblicazione della video-inchiesta avviene in concomitanza con un passaggio fondamentale per il nuovo esecutivo europeo: l’avvio delle udienze a Bruxelles per la nomina dei nuovi Commissari, inclusi quelli chiamati in causa sul tema dell’allevamento in gabbia. La Commissione UE – fanno appello le associazioni – deve tener fede alla parola data e presentare il promesso divieto dell’utilizzo delle gabbie nell’allevamento.

Le sconvolgenti immagini, filmate in allevamenti italiani e polacchi, mostrano conigli in gabbie così piccole da impedire loro di allungare completamente le zampe, che masticano disperatamente le grate in un gesto di frustrazione, e altri costretti a condividere il poco spazio con altri esemplari morti.

Anche negli allevamenti italiani gli investigatori hanno trovato conigli stipati in piccole gabbie sovraffollate, senza sufficiente spazio in altezza. In un allevamento, poi hanno assistito a parte della inquietante procedura per la raccolta del seme per l’inseminazione artificiale, che consisteva anche nel forzare un coniglio maschio a rapporti sessuali con un suo compagno. A quanto affermato dall’allevatore, si trattava di una pratica per “scaldare” i maschi.

In un altro caso, gli investigatori hanno osservato due tipi di gabbie cosiddette “arricchite”. Sebbene queste avessero più spazio in verticale e in orizzontale, erano comunque troppo piccole per permettere ai conigli di fare salti consecutivi, il che è un elemento essenziale per garantire loro condizioni di vita più rispettose. In più, la maggior parte delle gabbie aveva comunque la pavimentazione metallica e mancava di arricchimenti ambientali come gli elementi masticabili, cruciali per il benessere psicofisico dei conigli. Le gabbie “arricchite”, seppure rappresentino un minimo miglioramento rispetto alle gabbie “convenzionali”, non rispettano le esigenze di benessere dei conigli.

Le immagini mostrano conigli:

  • stipati in gabbie così piccole da non potersi allungare, saltare o sollevare sulle zampe posteriori, tutti comportamenti naturali fondamentali altamente motivati;
  •  confinati in gabbie individuali, nonostante siano animali sociali;
  • morti o malati, che giacevano senza vita con le orecchie rosicchiate o incapaci di sollevare la testa accanto ai conigli vivi;
  • privi di materiali da rosicchiare per limare i denti in costante crescita, spinti così a masticare le grate della gabbia o le orecchie dei compagni;
  • stabulati su scomode pavimentazioni di rete metallica, con conseguenti ferite alla cute, piaghe sulle zampe o lesioni ai garretti;
  • (in due allevamenti) che ansimavano per via delle alte temperature;
  • (in un allevamento) con la gran parte del loro corpo privo di pelliccia, probabilmente per via di una parassitosi o un’infezione.

In Italia nel 2023 sono stati macellati 14,5 milioni di conigli, la stragrande maggioranza dei quali proveniente da allevamenti intensivi in gabbia.

Ma ciò che è stato osservato dagli investigatori in Italia e Polonia è rappresentativo delle condizioni della maggior parte degli allevamenti di conigli in tutta l’UE, in cui non sono tutelate neanche le più basilari necessità comportamentali dei conigli.

Purtroppo, a causa del ritardo della Commissione Europea nel vietare l’allevamento in gabbia e dell’assenza di leggi specie-specifiche che proteggano il benessere dei conigli allevati nell’UE, queste riprese ritraggono condizioni di allevamento agghiaccianti, ma perfettamente legali.

In Europa, ogni anno vengono macellati circa 77 milioni di conigli*. Si stima che il 90% di essi sia allevato in gabbia, compresa la quasi totalità degli esemplari impiegati nella riproduzione.

Nel 2021, in risposta all’Iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age, che aveva raccolto con successo oltre 1,4 milioni di firme certificate, la Commissione UE aveva assunto un chiaro impegno formale a presentare entro la fine del 2023 una proposta legislativa per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti europei. Tuttavia, l’esecutivo UE non ha ancora tenuto fede al proprio proposito.

Solo poche settimane fa, CIWF ha lanciato un nuovo report che mostra come alcune delle maggiori aziende agro-alimentari europee stiano transitando con successo a sistemi senza gabbie, non solo nel caso dei conigli, già implementati da Paesi come l’Austria, il Belgio e i Paesi Bassi. Una chiara dimostrazione della loro fattibilità.

La stragrande maggioranza dei cittadini in Europa – nove su dieci – ritiene che gli animali non dovrebbero essere allevati in gabbie individuali. Al contempo, dal Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura dell’UE è emerso un diffuso consenso nel settore agroalimentare secondo cui le gabbie devono essere eliminate gradualmente e la proposta di revisione della normativa sul benessere animale pubblicata al più tardi entro il 2026.

“Questa video-inchiesta dimostra ancora una volta quanto sosteniamo da sempre,” commentano le associazioni. “E cioè che non può esistere benessere animale in gabbia. Qui non si tratta di ‘mele marce’ del sistema, ma dello standard comune di ‘malessere animale’ che riguarda la quasi totalità degli allevamenti di conigli in Italia e nell’UE.”

“Alternative più rispettose sono possibili e già in uso in tutto il mondo,” concludono. “La Commissione Europea deve fare la sua parte e tenere fede al suo impegno formale a presentare la proposta per vietare l’allevamento in gabbia per tutti gli animali allevati al più presto possibile.”

CIWF ha inviato una sintesi della propria inchiesta ai membri del Parlamento Europeo e funzionari della Commissione Europea, mentre invita la società civile a fare appello all’esecutivo UE affinché la proposta legislativa per mettere fine all’uso delle gabbie nella zootecnia sia una priorità e venga inclusa in modo esplicito nel Programma di lavoro della Commissione.

Per maggiori informazioni sulla campagna, visitare www.endthecageage.eu/it

FINE

Note ai media

Qui potete trovare foto e video dell’inchiesta. Credit: CIWF.

  • *Dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, riportati nel report Eu Caged Rabbit Farming Investigation 2024.
  • La Coalizione italiana End the Cage Age è formata da 22 organizzazioni (Amici della Terra, Animal Aid, Animal Equality Italia, ALI – Animal Law Italia, Animalisti Italiani, CIWF Italia, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, Humane Society International/Europe, Il Fatto Alimentare, Jane Goodall Institute Italia, LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia, LAV, Legambiente, LEIDAA, LNDC Animal Protection, LUMEN, OIPA, Partito animalista, Terra Nuova, Terra! Onlus).
  •  Le informazioni disponibili sulla portata dell’allevamento di conigli all’interno dell’UE sono limitate, ma in base a un report della Commissione UE del 2017, al 2016 venivano allevati e macellati ogni anno circa 119 milioni di conigli a livello commerciale, più altri 61 milioni in allevamenti familiari. Da allora, l’UE non ha pubblicato dati sul numero di conigli, ma in base ai dati pubblicati attraverso le dashboard del CIRCABC (Communication and Information Resource Center for Administrations, Businesses and Citizens) sul tonnellaggio di carne di coniglio prodotta si evince che al 2022, il numero di conigli è sceso a circa 70-80 milioni all’anno. Ciò è in linea con i dati pubblicati dalla FAO, in base al quale si stima che in Unione Europea nel 2022 siano stati macellati 72.196.700 conigli.
  • Nel 2020, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha riportato che uno dei principali effetti della privazione di materiali adatti all’espressione del comportamento di rosicchiamento nei conigli è il reindirizzamento di tale comportamento verso la gabbia o addirittura verso i loro simili. Per quanto riguarda le problematiche legate allo spazio insufficiente, l’EFSA indica che la lunghezza di un salto è di 70 cm, a seconda delle dimensioni del coniglio, e che il Consiglio d’Europa raccomanda che i conigli allevati a scopo sperimentale debbano essere in grado di completare tre salti consecutivi.
  • Circa 300 milioni di animali sono rinchiusi in gabbia nell’Unione Europea ogni anno, incluso il 40% delle galline (quasi 152 milioni), il 94% dei conigli (circa 70 milioni) e il 96% delle scrofe (10 milioni). Gli animali tenuti in gabbia sono rinchiusi in ambienti spogli, in condizioni di sovraffollamento o di totale privazione di contatti sociali, incapaci di girarsi su loro stessi o di esprimere anche i basilari comportamenti naturali.
  • Secondo l’Eurobarometro 2023, il 94% dei cittadini dell’UE ritiene importante che gli animali allevati dispongano di uno spazio sufficiente per muoversi, sdraiarsi e alzarsi, e l’89% ritiene importante che gli animali allevati non siano tenuti in gabbie singole.

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

HSI/Europe celebra una decisione storica per la protezione degli animali in Romania

Humane Society International / Europa


HSI

BUCAREST—Humane Society International/Europe celebra oggi una vittoria epocale per la protezione degli animali in Romania: il Parlamento rumeno ha votato a stragrande maggioranza per vietare l’allevamento di visoni e cincillà per la produzione di pellicce, le uniche due specie allevate a tale scopo nel paese. Questa decisione all’avanguardia è il risultato di quasi due anni di dibattiti politici e di una campagna costante da parte dell’ufficio rumeno di HSI/Europe e di altre organizzazioni impegnate nella tutela degli animali. La Romania diventa così il 22° paese in Europa a vietare l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, segnando un traguardo significativo nella campagna globale di HSI per porre fine alla crudele pratica di allevare e uccidere animali in nome della moda di indossare pellicce.

Andreea Roseti, Direttrice per la Romania di HSI/Europe, ha dichiarato: “Il voto di oggi non rappresenta solo una decisione innovativa per la protezione degli animali in Romania e un traguardo legislativo, ma anche un’affermazione chiara del crescente impegno del nostro paese verso il benessere degli animali. Vietando l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, la Romania compie un passo significativo verso una società più etica, in cui gli animali non sono più considerati alla stregua di merci per l’industria della moda. Insieme, possiamo proteggere questi esseri vulnerabili dalla sofferenza”.

“Estendiamo i nostri più sentiti ringraziamenti al popolo rumeno e a tutti coloro che hanno firmato petizioni e inviato lettere, le cui voci hanno fatto la differenza in questo percorso. Il vostro supporto impedirà la sofferenza di migliaia di animali e speriamo che questa legge ci avvicini all’introduzione di un divieto che ponga fine all’allevamento di animali per la produzione di pellicce in tutta l’UE”.

Il disegno di legge è stato originariamente proposto dopo che HSI/Europe ha condotto un’inchiesta sotto copertura che ha svelato le condizioni critiche in cui versavano gli animali allevati allo scopo di produrre pellicce in Romania. I filmati hanno mostrato come i cincillà fossero rinchiusi all’interno di gabbie metalliche piccole e sporche, per poi essere uccisi a pochi mesi di vita in camere a gas improvvisate o tramite la rottura del collo.

Il disegno di legge è stato approvato dalla Camera dei Deputati; una volta promulgato, allevare animali per produrre pellicce diverrà illegale in Romania a partire dal 1° gennaio 2027. Anche se la legislazione deve essere promulgata dal presidente Klaus Iohannis e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore, si prevede che questo passaggio avverrà senza ritardi.

Oltre il 67 per cento dei cittadini rumeni e delle cittadine rumene è favorevole a vietare l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, stando a un sondaggio commissionato da HSI/Europe, cosa che sottolinea come l’opinione pubblica sia contraria all’industria delle pellicce. Inoltre, la campagna di HSI/Europe in Romania ha raccolto più di 74.000 firme a favore della chiusura degli allevamenti, che sono state consegnate al Parlamento rumeno.

L’industria della pelliccia è in declino in Romania: il numero degli allevamenti è sceso drasticamente, passando da oltre 150 nel 2013 a circa una dozzina nel 2022, compresi due grandi allevamenti di visoni che producono circa 100.000 pellicce di visone e 15.000 pellicce di cincillà all’anno. Il divieto approvato in Romania tiene conto anche dei rischi per l’ambiente e per la salute umana derivanti dall’allevamento di animali per la produzione di pellicce, inclusa la diffusione di malattie zoonotiche, posizionando la Romania all’interno del più ampio movimento europeo che promuovere il benessere animale e l’adozione di pratiche sostenibili.

È possibile visionare foto e video a questo link. Per il download, si prega di inviare una mail a escuri@hsi.org .

NOTE

  • Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno a causa del commercio globale di pellicce, la maggior parte dei quali è allevata in sterili gabbie in modalità intensiva.
  • L’allevamento di animali per la produzione di pellicce è stato vietato in 22 paesi europei, fra cui 16 Stati membri dell’UE (Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia), oltre a Bosnia ed Erzegovina, Guernsey, Norvegia, Regno Unito, Macedonia del Nord e Serbia. Inoltre, Svizzera e Germania hanno attuato regolamenti rigorosi che hanno di fatto messo fine alla pratica, mentre Danimarca, Svezia e Ungheria hanno imposto misure che hanno interrotto l’allevamento di alcune specie. Sono in corso discussioni politiche sull’introduzione di un divieto in Bulgaria e Svezia.
  • I visoni di quasi 500 allevamenti per la produzione di pellicce in 13 paesi d’Europa e Nord America sono risultati positivi al COVID-19, mentre l’influenza aviaria ad alta patogenicità A(H5N1) è stata finora riscontrata in 72 allevamenti (uno in Spagna e 71 in Finlandia). Milioni di visoni, volpi artiche, volpi rosse, cani procione e zibellini sono stati uccisi per motivi di salute pubblica.
  • Dieci marchi di moda in Romania si sono impegnati a rinunciare alla pelliccia dopo aver collaborato con Humane Society International/Europe, diventando i primi designer in Romania a unirsi al programma globale Fur Free Retailer. Ioana Ciolacu, Muse um Concept, REDU, OCTAVIA CHIRU, Katerini, Hooldra, Feeric Fashion Week, Scapadona, Axente e Lenca si aggiungono ai quasi 1.600 marchi di moda, rivenditori e designer in 25 paesi nel mondo che fanno parte del programma Fur Free Retailer, tra cui Adidas, H&M, Zara, Gucci, Moncler e Prada. L’ultimo brand italiano che si è aggiunto alla lista, nell’agosto 2024, è il Max Mara Fashion Group.

FINE

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

I suoi suggestivi scatti di resti di animali contribuiscono a fare pressione sui decisori politici affinché rafforzino le misure a tutela delle specie in pericolo e vietino le importazioni di trofei di caccia

Humane Society International / Europa


@Britta Jaschinski

BRUXELLES/ROMA—Humane Society International/Europe si congratula con la fotografa Britta Jaschinski per aver vinto il prestigioso premio Wildlife Photographer of the Year 2024 nella categoria “Fotogiornalismo”. Organizzato dal Museo di Storia Naturale di Londra, questo concorso è riconosciuto come uno dei più stimati contest fotografici al mondo.

La foto vincitrice di Jaschinski mostra l’applicazione di una nuova polvere magnetica su una zanna di elefante sequestrata. Questa tecnica consente di individuare impronte digitali fino a 28 giorni dopo che i bracconieri hanno maneggiato le zanne, risolvendo le criticità dovute alla porosità dell’avorio. Oltre 200 kit per l’utilizzo di questa polvere sono stati distribuiti alle autorità di frontiera in Africa e Asia, per essere impiegati nei casi di traffico di avorio, artigli di tigre e corni di rinoceronte. Il metodo è apprezzato per la sua semplicità e la sua efficacia, nel caso in cui non si possa fare ricorso alle analisi del DNA.

“Che sia per i trofei o per soddisfare la domanda di avorio, i dati dimostrano che rischiamo di assistere all’estinzione di una delle specie più iconiche entro il 2040”, dichiara Jaschinski. “Perdere i nostri splendidi elefanti in nome dello sport, del potere e dell’avidità è semplicemente inaccettabile. Individuare le impronte digitali sull’avorio e su altri resti di animali selvatici sequestrati è una tecnica importante nell’analisi forense che alimenta la speranza di arrestare e persino smantellare intere filiere commerciali. Se non riusciamo a salvare le specie più carismatiche, che speranze ci sono per le altre? Sono grata a organizzazioni come Humane Society International/Europe per aver amplificato questi temi e aver fatto pressione per un’azione politica concreta volta a rafforzare la protezione della fauna selvatica e, in particolare, porre fine all’importazione di trofei di caccia”.

HSI/Europe ammira lo straordinario lavoro di Jaschinski e ha collaborato con lei alla realizzazione della mostra “Natura morta. In consegna.”, nell’ambito della campagna #NotInMyWorld. La campagna di HSI si concentra sulla caccia al trofeo, ovvero sull’uccisione legale e insensata di animali selvatici per sport, che ha gravi impatti ambientali, etici, sociali ed economici. Specie in pericolo come l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare vengono trasformate in oggetti privi di vita – dagli apribottiglie ai posacenere –, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. HSI/Europe chiede all’Unione Europea e ai suoi Stati membri di vietare le importazioni di trofei di caccia e invita le aziende a smettere di sostenere questa pratica. La mostra “Natura morta. In consegna.” è già stata allestita a Roma e Varsavia, con l’intento di portarla in altre città per esporre queste opere che rivelano come animali maestosi vengano uccisi dai cacciatori di trofei e trasformati in oggetti inanimati e lugubri per mera soddisfazione personale.

Attraverso il suo lavoro, la fotografa, che vive a Londra, esplora il rapporto tra uomo e natura e le sue implicazioni. Nota per il suo stile distintivo, documenta i crimini contro la fauna selvatica e collabora con autorità internazionali e organizzazioni ambientaliste. Come cofondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e creatrice di The Evidence Project, promuove la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e l’azione politica per proteggere la fauna selvatica e gli habitat naturali.

Ruud Tombrock, direttore esecutivo di HSI/Europe, si congratula con Jaschinski per il suo premio e sottolinea l’urgenza di un intervento politico: “I suggestivi scatti di Britta Jaschinski svelano la cruda realtà dietro la caccia al trofeo e l’immenso dolore e sfruttamento degli animali che essa comporta, inviando un messaggio forte ai decisori politici europei affinché prendano misure decisive per fermare l’importazione di questi assurdi trofei. Non si tratta solo di proteggere singoli animali, ma di preservare interi ecosistemi e salvaguardare il futuro delle specie a rischio in tutto il mondo”.

Tra il 2013 e il 2022, l’Unione Europea ha importato oltre 27.000 trofei di animali tutelati dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), posizionandosi come il secondo importatore mondiale di trofei di caccia dopo gli Stati Uniti. Tra le specie coinvolte, ci sono animali come ippopotami, rinoceronti, leoni e orsi polari.

A livello globale, si è sviluppato un forte movimento contro l’industria della caccia al trofeo. Molti paesi, come Colombia, Costa Rica, India, Kenya, Singapore, Sud Sudan e altri, hanno già vietato questa pratica e/o il commercio di trofei di caccia, a livello totale o parziale. In altri paesi, come Argentina, Australia, Belgio, Canada, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Stati Uniti e altri, sono in vigore delle restrizioni nazionali sul commercio di trofei di caccia che vanno al di là dei requisiti minimi della CITES. Anche il settore privato si è posizionato come leader globale nell’ambito della sostenibilità e della responsabilità ambientale, con 45 società di trasporti che hanno vietato il trasporto di alcune o di tutte le tipologie di trofei di caccia sui loro vettori, fra cui alcune delle compagnie aeree appartenenti ai cinque principali gruppi aerei del mondo e ai tre maggiori gruppi aerei dell’UE.

A questo link è possibile scaricare la foto premiata (si prega di creare un account).

FINE

Contatti stampa: Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

HSI/Europe e Fondazione Cave Canem ribadiscono la necessità di facilitare l’adozione di animali sequestrati altrimenti destinati a trascorrere anni nei canili in attesa dell’eventuale confisca a fine procedimento penale

Humane Society International / Europa


Chiara Muzzini/Fondazione Cave Canem.

ROMA—Humane Society International/Europe e Fondazione Cave Canem Onlus, impegnate nella prevenzione e repressione dei combattimenti fra cani con il progetto IO NON COMBATTO, ringraziano il Vicepresidente della Camera dei Deputati, Sergio Costa, per aver accolto il loro appello e chiesto al Ministero della Giustizia di sviluppare strategie efficaci per contrastare questi crimini e stabilire procedure chiare per la gestione degli animali sequestrati, che tengano maggiormente conto del loro benessere fisico e psicologico e delle eventuali esigenze specifiche di accasamento e riabilitazione. Le due organizzazioni auspicano dunque che il Ministro Carlo Nordio prenda provvedimenti in tempi rapidi.

I combattimenti fra cani, spesso associati ad altre attività criminali, sono puniti, in Italia, dall’art. 544 quinquies del codice penale. Tuttavia, poiché gli animali sono contemporaneamente considerati beni mobili ed esseri senzienti, la loro tutela in ambito penale presenta un carattere a volte ondivago. Una soluzione che potrebbe contribuire a risolvere questo problema, come sostengono HSI/Europe e Fondazione Cave Canem accanto ad altre organizzazioni, è quella del deposito cauzionale. Questo strumento consiste nel versamento di una somma per l’affido definitivo dei cani sequestrati e spesso traumatizzati a enti o privati che siano in grado di garantirne il benessere e il recupero psicofisico, invece di accasarli in strutture temporanee e non idonee per la durata – spesso alquanto estesa – del procedimento penale, il cui esito è altresì incerto.

In caso di assoluzione, la somma verrà corrisposta agli imputati; in caso di condanna, la stessa verrà versata nel Fondo Unico di Giustizia. Come esposto in un convegno a riguardo, tenutosi ad aprile al Campidoglio, le due organizzazioni ritengono che il deposito cauzionale sia, in considerazione delle norme vigenti, uno strumento da diffondere il più possibile: da un lato, consente di svincolare facilmente l’animale sequestrato dall’esito del procedimento penale, senza dover attendere un’eventuale confisca a seguito di condanna penale, agevolandone l’adozione in tempi rapidi; dall’altro, determina un significativo risparmio per le casse dello Stato.

“Per quanto possa sembrare assurdo e contro ogni tipo di natura, i reati di maltrattamento di animali sono ancora molto diffusi in Italia, nonostante il grande sforzo delle Forze dell’ordine. Ho scritto al Ministro Nordio dicendo che è cruciale che il Ministero della Giustizia sviluppi strategie efficaci per prevenire e contrastare questi crimini, ma è altrettanto importante stabilire procedure chiare per la gestione degli animali sequestrati. Possiamo e dobbiamo garantire un futuro di serenità e benessere a questi esseri senzienti, glielo dobbiamo!”, ha dichiarato Sergio Costa, Vicepresidente della Camera dei Deputati.

“Nei casi di combattimenti tra cani o altre gravi forme di maltrattamento di animali, oltre al tempestivo intervento delle Forze di polizia è necessaria la collaborazione, intesa come spiccata sensibilità procedurale, della magistratura. Considerando quanto possono essere incerti i tempi e gli esiti dei procedimenti penali, è importante che si agisca nel miglior interesse dell’animale che sicuramente non è rappresentato dalla permanenza, per anni e anni, in un canile, in attesa della confisca, privandolo del diritto all’adozione. È quindi necessario delineare, diffondere e standardizzare l’uso di strumenti legali, come il deposito cauzionale, per dare a questi animali la possibilità di una nuova vita il prima possibile e confidiamo che il Ministro Nordio condivida questa posizione”, dichiarano Martina Pluda e Federica Faiella, rispettivamente Direttrice per l’Italia di HSI/Europe e Presidente della Fondazione Cave Canem.

Il processo Green Hill, come evidenziato dal Vicepresidente Costa, è un esempio della bontà di questo strumento giuridico, che ha permesso di trovare nuove famiglie a quasi tremila cani sequestrati da un allevamento in provincia di Brescia, che li avrebbe destinati alla sperimentazione. In considerazione dei molteplici vantaggi che il deposito cauzionale garantisce, lo stesso potrebbe essere adottato quale best practice dalla magistratura, facilitando l’adozione di animali che, altrimenti, si troverebbero probabilmente a trascorrere molteplici anni all’interno di canili o altre strutture di accoglienza o, ancora peggio, tornare nelle mani dei loro maltrattatori.

Per questo, HSI/Europe e Fondazione Cave Canem auspicano che il Ministro Carlo Nordio valuti presto la standardizzazione di tale misura, garantendo una gestione più etica degli animali sequestrati e offrendo loro l’opportunità di una nuova vita. Con la piena ripresa dei lavori parlamentari, le due organizzazioni mirano a trovare sostegno politico per la presentazione di un emendamento volto a prevedere, nella prossima Legge di bilancio, lo stanziamento di appositi fondi da destinare alla formazione specialistica delle Forze di polizia e alla copertura dei costi di custodia e di recupero comportamentale degli animali vittime di reato, a partire dai combattimenti tra cani.

FINE

Crediti della fotografia in allegato: Chiara Muzzini/Fondazione Cave Canem

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Humane Society International/Europe ricorda che anche in Italia ci sono ancora centinaia di visoni detenuti in gabbia

Humane Society International / Europa


HSI

MILANO— Decine di nuovi virus sono stati identificati negli animali in Cina, compresi quelli allevati allo scopo di produrre pellicce (visoni, volpi artiche, conigli e cani procione), dimostrando la pericolosità di questa industria per la salute umana e spingendo Humane Society International, organizzazione leader nella protezione degli animali, a rinnovare la sua richiesta di porre fine al commercio di pellicce. Analizzando gli esemplari presenti negli allevamenti cinesi, i ricercatori hanno individuato 36 nuovi virus, oltre a localizzare virus associati a infezioni umane e a riscontrare il rischio di trasmissione da una specie all’altra di coronavirus e influenza aviaria. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, avvertono che gli allevamenti di animali da pelliccia fungono da hub per la trasmissione dei virus.

La ricerca, che ha preso in esame 461 campioni di tessuto prelevati dagli animali allevati per la loro pelliccia, ha identificato 39 virus classificati come “potenzialmente ad alto rischio” per la trasmissione all’organismo umano, inclusi 13 virus nuovi e 11 virus responsabili di zoonosi che possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani. Questi virus potenzialmente ad alto rischio sono stati localizzati in visoni, volpi artiche e conigli, così come nei cani procione, capaci di veicolarne il numero più elevato (fino a 10). Gli scienziati hanno osservato che questi animali “costituiscono ospiti potenzialmente ad alto rischio per la trasmissione di virus agli esseri umani e ad altri animali”. Sette specie di coronavirus sono state identificate in 66 animali allevati per le loro pellicce. I ricercatori esprimono anche una particolare preoccupazione per la scoperta di coronavirus dei pipistrelli (HKU5) e, separatamente, di virus responsabili dell’influenza aviaria (H5N6) nei visoni allevati, e sottolineano come i casi di coinfezione siano comuni.

“Allevare animali per la produzione di pellicce non è solo un’attività incompatibile con il benessere animale, ma è anche una grave minaccia per la salute pubblica. Sebbene in Italia questa industria sia stata vietata già nel 2022, l’assenza di un decreto ministeriale vede ancora migliaia di visoni rinchiusi nelle gabbie degli allevamenti chiusi in Lombardia, Romagna e Abruzzo. Questo ritardo non è solamente inammissibile ma anche incredibilmente irresponsabile”, ha dichiarato Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe. “È poco lungimirante correre il rischio di scatenare una nuova pandemia in nome di un prodotto, la pelliccia di origine animale, che non è più richiesto dalla maggior parte dei consumatori. Non è un caso se sono sempre di più i brand che hanno deciso di eliminarlo dalle proprie collezioni, fra cui, per citare l’ultimo esempio, il Max Mara Fashion Group”.

Solo lo scorso anno, HSI ha diffuso immagini allarmanti provenienti da allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina, dove gli animali sono allevati in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale rischio di diffusione di malattie zoonotiche. Gli investigatori hanno osservato diversi altri rischi per la biosicurezza, tra cui l’uso diffuso di antibiotici, l’alimentazione degli animali allevati con carne di pollo cruda e la vendita di carcasse di cani procione per il consumo umano.

Non è la prima volta che gli scienziati esprimono preoccupazione riguardo ai rischi degli allevamenti di animali da pelliccia per la diffusione di virus con potenziale pandemico. Nel luglio 2023, dopo l’intercettazione di focolai di influenza aviaria (H5N1) in allevamenti di visoni e volpi in Spagna e Finlandia, i virologi del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Imperial College di Londra hanno avvertito che l’allevamento intensivo di visoni dovrebbe essere considerato al pari del commercio di carne di animali selvatici e dei mercati di animali vivi, a causa della minaccia che rappresenta per l’insorgenza di futuri focolai di malattie. Sono state sollevate preoccupazioni anche riguardo alla diffusione di SARS-CoV-2 nei visoni in quasi 500 allevamenti sparsi fra Europa e Nord America, con il virus che passa dagli esseri umani ai visoni allevati, si trasmette fra i visoni e, di nuovo, dagli animali all’uomo. Negli ultimi anni, milioni di esemplari presenti negli allevamenti sono stati abbattuti per motivi di salute pubblica – a migliaia anche in Italia.

A questo link è possibile scaricare le foto degli allevamenti in Cina; qui si possono scaricare i video.

Note

  • Da aprile 2020, i visoni di 488 allevamenti in Nord America e in Europa sono risultati positivi al SARS-CoV-2. Il virus ha dimostrato di essere in grado di passare da mammifero a mammifero negli allevamenti, e sono stati segnalati casi di trasmissione dagli animali agli esseri umani in almeno sei Paesi. L’ultimo focolaio è stato registrato in Bulgaria nell’ottobre 2023.
  • Gli animali di più di 70 allevamenti europei per la produzione di pellicce sono stati infettati da influenza aviaria altamente patogena A (H5N1) – in Spagna nel 2022 e in Finlandia nel 2023 – con conseguente ordine da parte delle autorità di abbattere più di 500.000 visoni, cani procione, volpi e zibellini per motivi di salute pubblica.
  • In Italia, nonostante l’allevamento di animali da pelliccia sia vietato dal 2022, si stima ci siano ancora 1 600 visoni detenuti in gabbia negli allevamenti di Capergnanica (CR), Ravenna e Castel di Sangro (AQ), a causa della mancata pubblicazione del decreto attuativo inteso a regolare l’eventuale cessione degli animali a strutture autorizzate. A gennaio 2022 i visoni ancora in vita erano 5.700. A novembre 2022, è stato confermato un focolaio di SARS-CoV-2 all’interno di un allevamento nel Comune di Galeata (FC), risultando nell’abbattimento sanitario dei restanti 1.500 visoni della struttura. A maggio 2023 un altro contagio è stato riscontrato a Calvagese della Riviera (BS), portando all’abbattimento di oltre 1.500 visoni.

FINE

Contatti stampa

  • Eva-Maria Heinen, Senior Manager Media & Communications, HSI/Europe. emheinen@hsi.org  +39 3338608589
  • Elisabetta Scuri, Media & Communications Manager Italy, HSI/Europe. escuri@hsi.org

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HSI

MILANO—Dopo aver ricevuto migliaia di richieste via e-mail, al telefono e sui propri profil social media da consumatori preoccupati di tutto il mondo e aver assistito al sorvolo della propria sede centrale, a Reggio Emilia, di una mongolfiera che chiedeva all’azienda di eliminare l’uso delle pellicce, il Max Mara Fashion Group ha annunciato ufficialmente l’introduzione di una politica fur-free.

In una nota interna al personale, Max Mara ha dichiarato: “L’Azienda non vende, né online né in nessuna delle sue sedi fisiche di vendita al dettaglio, prodotti realizzati con pellicce, né c’è l’intenzione di introdurre prodotti realizzati con pellicce nelle prossime collezioni dei marchi del Max Mara Fashion Group”.

Questo è stato confermato da un dirigente di Max Mara, che ha aggiunto: “Max Mara, compreso il MMFG e tutte le sue filiali, ha adottato una policy fur-free e non ha intenzione di introdurre la pelliccia in nessuna delle prossime collezioni per nessuno dei marchi del MMFG”.

Questo annuncio giunge dopo che la Fur Free Alliance, una coalizione di oltre 50 organizzazioni per la protezione degli animali – tra cui Humane Society International – provenienti da oltre 35 Paesi, ha lanciato una campagna globale durante le settimane della moda di febbraio 2024 a New York, Londra, Milano e Parigi, esortando il gigante della moda italiana ad adottare una politica fur-free. In questo periodo sono state inviate oltre 270.000 e-mail, effettuate 5.000 telefonate e pubblicati innumerevoli post sui social media che hanno fatto arrivare un messaggio chiaro a Max Mara: eliminare l’uso di pelliccia animale.

Il Max Mara Fashion Group ha oltre 2.500 negozi in 105 paesi. In passato vendeva articoli come guanti di visone, polsini in pelliccia di volpe e un portachiavi di cane procione. Con questa policy, gruppo si unisce a molte delle principali case di moda del mondo che sono già diventate fur-free, tra cui Dolce & Gabbana, Saint Laurent, Valentino, Prada, Gucci, Versace, Alexander McQueen, Balenciaga e Armani.

Nel febbraio di quest’anno, Humane Society International/Europe e LAV hanno sorvolato con una mongolfiera la sede di Max Mara a Reggio Emilia, durante la Settimana della Moda di Milano, esponendo uno striscione con la richiesta di diventare fur-free.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe, ha dichiarato: “Siamo lieti di congratularci finalmente con il Max Mara Fashion Group per essersi unito ai numerosi gruppi di moda, marchi e rivenditori che hanno già preso la decisione etica di eliminare le pellicce dalle loro collezioni e dai loro scaffali. Sembra che la voce degli attivisti di tutto il mondo e il messaggio inviato a febbraio da LAV e HSI/Europe, con una mongolfiera in volo sopra la sede di Max Mara a Reggio Emilia, abbiano contribuito a convincere il gruppo a fare la cosa giusta. Ce l’abbiamo fatta!”.

Joh Vinding, presidente della Fur Free Alliance, ha dichiarato: “La Fur Free Alliance applaude Max Mara per essere diventata fur-free. Max Mara era uno degli ultimi marchi di moda globali a vendere ancora pellicce, quindi siamo felici che si sia ora unito alla lista di marchi fur-free che non vogliono avere più nulla a che fare con la crudeltà inflitta gli animali per la produzione di pellicce”.

Ad oggi, oltre 1.500 marchi e rivenditori hanno preso questa decisione aderendo al Fur Free Retailer Program.

Dati:

  • Decine di milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno per il commercio globale di pellicce. La maggior parte degli animali uccisi per la loro pelliccia sono allevati in in gabbie spoglie, in maniera intensiva.
  • L’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato in 21 Paesi Europei, tra cui 15 Stati Membri dell’UE: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia più Bosnia Erzegovina, Guernsey, Norvegia, Regno Unito, Macedonia del Nord e Serbia. Inoltre, due Paesi (Svizzera e Germania) hanno implementato normative talmente restrittive da aver di fatto posto fine all’allevamento di animali da pelliccia e tre Paesi (Danimarca, Svezia, Ungheria) hanno imposto misure che hanno posto fine all’allevamento di alcune specie. L’allevamento di visoni è stato vietato anche nella provincia canadese della Colombia Britannica. In Bulgaria, Romania e Svezia si sta attualmente discutendo l’introduzione di un divieto.
  • Israele è diventato il primo Paese a vietare la vendita di pellicce, nel 2021. Negli Stati Uniti, la vendita di pellicce è vietata nello Stato della California e in 16 città. La Svizzera sta attualmente valutando la possibilità di introdurre divieto di importazione per le pellicce.
  • I visoni di quasi 488 allevamenti in 13 Paesi in Europa e Nord America sono risultati infetti con il COVID-19. Per milioni di visoni, in Paesi come la Danimarca e l’Olanda, è stata ordinata la soppressione per motivi di salute pubblica. L’influenza aviaria A(H5N1) altamente patogena è stata riscontrata in 72 allevamenti di animali da pelliccia (uno in Spagna, 71 in Finlandia). Per circa 500.000 animali, tra cui visoni, volpi artiche, volpi rosse, cani procione e zibellini, è stato ordinato l’abbattimento sanitario.

Foto dello stunt in mongolfiera (creare account per il download)

FINE

Contatto stampa:

  • Yavor Gechev, Direttore Comunicazione Europa: ygechev@hsi.org
  • Martina Pluda, Direttrice per l’Italia: mpluda@hsi.org; 3714120885

 

LAV e HSI: “persa una grande occasione per compiere scelte coraggiose e sostenibili. Nessun segnale di una progressiva dismissione di materiali animali critici. Incoraggiamo il Gruppo a farlo!”

Humane Society International / Europa


Emma Varley/Getty Images

Milano—Il Gruppo Prada ha pubblicato la sua prima “Animal Welfare policy”; per le associazioni animaliste LAV e Humane Society International/Europe non ambisce a eradicare la sofferenza animale dalla supply chain dell’azienda. La policy rappresenta un’autoregolamentazione delle modalità di approvvigionamento di materie prime ricavate da animali quali piume (per imbottiture e decorative), pelli (da quella bovina alle “esotiche”) e filati (lana di pecora, cashmere, mohair, alpaca e altri filati) e deferisce a sistemi di certificazione elaborati da queste stesse industrie che spesso non sono trasparenti, sostenibili e credibili in termini di benessere animale.

“Una grande delusione! Dopo gli importanti traguardi raggiunti nel 2020 con gli annunci della definitiva dismissione di pellicce prima e pelle di canguro poi, a seguito del proseguire delle relazioni con l’azienda in particolare sulle filiere più critiche quali sono quelle delle pelli esotiche e delle piume, ci saremmo aspettati ulteriori impegni di sostenibilità. Il Gruppo Prada si è invece limitato ad elencare quali sono le Certificazioni “Responsabili” da cui continuerà ad approvvigionarsi; unica positiva novità, la rinuncia alla lana d’angora (un filato ricavato da conigli e con metodi cruenti),” dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, commenta: “Se qualche anno fa abbiamo celebrato il Gruppo Prada per le sue scelte etiche in merito a certi materiali di origine animale, oggi la loro nuova policy, invece di costruire su quei principi etici, desta preoccupazione per ciò che l’azienda intende come standard accettabili di benessere animale e per la sua disponibilità a deferire a sistemi di certificazione gestiti dall’industria. Non possiamo che scuotere il capo di fronte all’uso di materiali estremamente problematici come le pelli di rettili selvatici, cacciati o allevati contro natura, o le piume che potrebbero derivare dall’industria cruenta del foie-gras. Dal dialogo con l’azienda ci saremmo aspettati più ambizione, in linea con la crescente domanda di prodotti veramente cruelty-free.”

Tra i punti più discutibili della Animal Welfare Policy di Prada, evidenziamo i seguenti:

  • nel paragrafo “Vision and Goals” Prada dichiara: “il Gruppo mira a procurarsi fibre e materiali animali solo da catene di approvvigionamento responsabili attraverso solidi schemi di verifica, con parametri misurabili e tracciabilità integrata”;

questa affermazione è tuttavia incoerente con quanto poi l’azienda stessa scrive in riferimento ai sistemi di certificazione da cui si approvvigiona e che, per esempio per piume e pelli di struzzo risulta che “Il Gruppo è consapevole che lo standard (il SAOBC South African Ostrich Business Chamber) è ancora in fase di piena implementazione e richiede ancora attenzione per quanto riguarda la robustezza e la creazione di una catena di custodia”.

  • Nel paragrafo “Core principles” l’azienda dichiara che: “si impegna a eliminare gradualmente in futuro altri materiali di origine animale la cui provenienza, secondo evidenze scientifiche, non è in linea con questa policy”;

tuttavia, questa policy si limita a citare standard industriali (anche riconoscendo il fatto che, alcuni, sono incompleti e necessitano di ulteriori verifiche) che sono scritti dagli stessi allevatori/fornitori dei materiali animali cui fanno riferimento; l’azienda non definisce propri standard cui i fornitori dovrebbero adeguarsi.

Inoltre, la decisione dell’azienda sulla eventuale dismissione di determinati materiali non dovrebbe essere in funzione di sole valutazioni “scientifiche”, ma deve tenere conto anche di considerazioni etiche e dell’opinione pubblica.

  • Nel paragrafo “Animal welfare commitment” l’azienda dichiara che: “I sistemi standard prescelti vengono selezionati in base alle loro prestazioni e devono contenere criteri validi nei settori chiave della tracciabilità, della trasparenza, della qualità delle pratiche relative al benessere degli animali e della metodologia di verifica.”;

Tuttavia, diversi standard industriali citati nella Policy non sono pubblici, quindi mancano in trasparenza (per esempio per i rettili quello dell’International Crocodilian Farmers Association ed il Responsible Reptile Sourcing Standard; ma anche quello della South African Ostrich Business Chamber per la filiera di pelle e piume di struzzo)

  • Infine, il Gruppo Prada dichiara che la pelle animale è un key material; ciononostante, nella Animal Welfare policy del Gruppo non c’è traccia di standard industriali o specifiche azioni dell’azienda in termini di maggiori tutele per gli animali di questa filiera oltre a quanto già prevedono le minime norme di legge vigenti nei Paesi da cui il Gruppo si approvvigiona (paesi che, non essendo esplicitati, possono anche essere extra-UE quindi con parametri anche inferiori a quelli europei).

“Le filiere produttive di materiali animali per la moda, oltre a criticità etiche, implicano palesi problemi di impatto ambientale legate alle emissioni di gas serra, al consumo e all’inquinamento dell’acqua, al consumo di suolo. Considerato che il Gruppo Prada si è voluto fortemente impegnare sul fronte della Sostenibilità del comparto moda, aderendo ai network ‘The Fashion Pact’ (iniziativa avviata dal presidente francese Emmanuel Macron con François-Henri Pinault, CEO Kering Group) e della ‘Fashion taskforce’ nell’ambito della Sustainable Markets Initiative di re Carlo III, incoraggiamo e chiediamo al Gruppo Prada di definire e rendere pubblica, per coerenza, una roadmap ambiziosa, da qui al 2030, per la riduzione e dismissione di materiali animali critici” concludono LAV e HSI/Europe.

Per approfondimenti:

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Contatto stampa: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885

La produzione cinese di pellicce è diminuita di quasi il 90% nell’ultimo decennio, ma milioni di animali continuano a soffrire confinati negli allevamenti nonostante i rischi che pongono alla salute pubblica

Humane Society International / Europa


Investigation

PECHINO/ROMA—I filmati allarmanti provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina mostrano volpi, cani procione e visoni esibire comportamenti ripetitivi e stereotipati associati ad un deterioramento mentale e animali tenuti in condizioni intensive, anche in prossimità di pollame, nonostante il potenziale per la diffusione di malattie zoonotiche. L’organizzazione per la protezione degli animali Humane Society International ha pubblicato i filmati e rinnovato il suo appello per una fine globale al commercio delle pellicce.

Gli investigatori hanno visitato cinque allevamenti di animali da pelliccia nel dicembre 2023 nelle regioni settentrionali di Hebei e Liaoning, rilevando un ampio uso di antibiotici e la commercializzazione di carcasse di cani procione destinate al consumo umano.

Le statistiche ufficiali dell’Associazione cinese dell’Industria della Pelliccia e della Pelle, indicano una diminuzione del 50% nella produzione di pellicce nel Paese, tra il 2022 e il 2023 e un calo di quasi il 90% nel periodo dal 2014 al 2023. Dati in linea con la diminuzione globale della produzione di pellicce. Gli investigatori hanno notato la chiusura di un significativo numero di allevamenti di piccole e medie dimensioni precedentemente attivi nella zona, dovuta alle scarse vendite. Nonostante rimanga il principale paese produttore di pellicce al mondo, la Cina non può ignorare il cambiamento globale che ha investito consumatori e designer, sempre meno inclini ad utilizzare le pellicce, sia per motivi di benessere animale, sia per motivi ambientali.

L’investigatore cinese Xiao Chen ha dichiarato: “Gli allevamenti di animali da pelliccia che abbiamo visitato rappresentano la tipica realtà di questo tipo di allevamenti in tutta la Cina. Qui gli animali sono tristemente confinati in gabbie strette e spoglie e molti di loro manifestano stereotipie comportamentali a causa di problemi psicologici. Questi animali, naturalmente curiosi ed energici, sono ridotti ad una triste esistenza in gabbie metalliche, senza alcuna possibilità di movimento o stimolo. Non riesco a immaginare quanto siano frustrati e annoiati. Questo per produrre qualcosa di così inutile come la pelliccia. Mi vergogno di essere un essere umano quando visito questi allevamenti di animali da pelliccia; vedo la crudeltà e l’indifferenza di cui siamo capaci”.

Ognuno degli allevamenti di animali da pelliccia visitati teneva tra i 2.000 e i 4.000 animali in piccole gabbie in batteria, così vicine tra loro che in alcuni casi i visoni o i cani procione potevano toccare gli animali nelle gabbie vicine attraverso i divisori di filo metallico, aumentando il rischio di trasmissione di malattie. Nonostante le centinaia di casi di COVID-19 e di influenza aviaria confermati negli allevamenti di animali da pelliccia a livello globale dal 2020, i proprietari degli allevamenti hanno confermato agli investigatori di non sterilizzare abitualmente le strutture per motivi economici. Sebbene nessun allevatore abbia richiesto agli investigatori di rispettare i protocolli sanitari per prevenire la trasmissione di malattie prima di accedere alle strutture, gli investigatori hanno preso le loro precauzioni.

Nelle aree dedicate alla preparazione del cibo, in diversi allevamenti, sono state rinvenute ingenti quantità di pesce, carne e fegato di pollo congelati, uova e latte in polvere macinati fino a ottenere una pasta e somministrati agli animali. L’alimentazione di carne di pollo cruda agli animali in questi allevamenti non solo contribuisce all’impronta di carbonio dell’allevamento di animali da pelliccia, ma rappresenta anche, secondo esperti dell’Unione Europea, un rischio per la biosicurezza.

Il Professor Alastair Macmillan, veterinario specializzato in microbiologia, che ha visionato le registrazioni, ha dichiarato: “In qualità di esperto in microbiologia veterinaria, sono profondamente preoccupato per l’apparente mancanza di biosicurezza e per il potenziale di trasmissione dell’influenza aviaria dovuto alla libera movimentazione di polli e anatre tra le gabbie di cani procione. Questo rappresenta una via di trasmissione diretta tramite contatto o contaminazione fecale. Negli allevamenti europei di animali da pelliccia sono già stati documentati casi di influenza aviaria, e una così stretta vicinanza tra le specie aumenta notevolmente il rischio di trasmissione dall’avifauna ai mammiferi. L’elevata densità di cani procione potrebbe altresì agevolare l’adattamento del virus agli ospiti mammiferi e la selezione di ceppi virali capaci di trasmettersi tra mammiferi. Anche la vendita di carcasse di cani procione e di carne cotta destinata al consumo umano solleva preoccupazioni riguardo alla possibile trasmissione di malattie zoonotiche.”

L’indagine ha rivelato che il metodo di uccisione più diffuso negli allevamenti di animali da pelliccia è quello dell’elettroshock, sebbene alcuni allevatori uccidano i visoni sbattendoli contro una barra metallica o con un bastone. Nella regione sono presenti diversi mercati dove le carcasse degli animali provenienti dagli allevamenti di animali da pelliccia vengono vendute a circa 2-3 yuan/kg. Un ristorante locale visitato dagli investigatori offriva ai clienti locali carne di cane procione bollita, fritta e marinata per circa 20 yuan, confermando inoltre di cucinare 42 cani procione al giorno.

Il dottor Peter Li, esperto di politica cinese di Humane Society International ha dichiarato: “Sebbene questa indagine abbia avuto luogo in Cina, la sofferenza degli animali insita nel commercio di pellicce è osservabile anche negli allevamenti in Europa e Nord America. Animali con disturbi psichici, ammassi di sterco animale, gabbie spoglie e un preoccupante rischio di malattie zoonotiche sono in netto contrasto con l’immagine glamour che l’industria della pellicceria cerca di promuovere. Una triste realtà. La Cina esporta pellicce in paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e l’intera Europa, rendendo tali nazioni complici di questa crudeltà. In risposta al rifiuto per le pellicce da parte di molti designer e consumatori, la produzione di pellicce in Cina è drasticamente diminuita negli ultimi anni. Ma la fine di questa industria crudele, dannosa per l’ambiente e pericolosa per la salute, non arriverà mai abbastanza presto”.

Foto e video dell’indagine (creare account per il download)

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Contatto: Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia/Germania: emheinen@hsi.org; 3338608589

Note

Nel 2023 la Cina ha prodotto 10 milioni di pellicce di volpe, visone e cane procione, con una diminuzione di oltre il 50% rispetto ai 22 milioni di pellicce prodotte nel 2022 e un calo dell’88% rispetto a un decennio fa. Nel 2014, la Cina ha prodotto 87 milioni di pellicce: 60 milioni di pellicce di visone, 14 milioni di pellicce di cane procione e 13 milioni di pellicce di volpe.

Uno studio condotto dagli esperti nella valutazione delle impronte carboniche di Foodsteps, commissionato da Humane Society International e rivisto dal famoso esperto di sostenibilità Dr Isaac Emery, ha rilevato che l’impatto ambientale della produzione di pellicce di visone, volpe e cane procione supera in modo significativo quello di altri materiali utilizzati nella moda, tra cui il cotone e persino il poliestere e l’acrilico usati per realizzare pellicce finte. Una componente significativa dell’impronta di carbonio della pelliccia è la grande quantità di prodotti animali usati per alimentare gli animali carnivori negli allevamenti.

Nell’ambito del progetto IO NON COMBATTO realizzato da Fondazione CAVE CANEM e Humane Society International/Europe in materia di prevenzione e contrasto ai combattimenti tra animali, avrà luogo un momento formativo e divulgativo volto a dotare gli addetti ai lavori di strategie legali orientate al benessere dei cani

Humane Society International / Europa


HSI e FCC Chiara Muzzini

ROMA—Si terrà in data 18 aprile, presso la sala della Protomoteca in sede del Campidoglio, a Roma, il convegno “La tutela giuridica degli animali sotto sequestro giudiziario. Dalla elaborazione della segnalazione per ipotesi di maltrattamento o detenzione incompatibile allo svincolo dall’esito del procedimento – Prediligere il deposito cauzionale quale misura di maggior tutela per l’animale e brevità rispetto alla confisca”. Organizzata nell’ambito delle attività formative e divulgative del progetto IO NON COMBATTO, realizzato da Humane Society International/Europe e Fondazione CAVE CANEM per la prevenzione e la repressione del fenomeno criminoso dei combattimenti tra cani, la conferenza ha l’obbiettivo di fornire agli addetti ai lavori le conoscenze e gli strumenti operativi necessari per porre la priorità sul benessere dei cani, vittime di queste attività illecite.

Con il patrocinio dall’Assessorato all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei Rifiuti di Roma Capitale, apriranno i lavori l’Assessora Sabrina Alfonsi, il Generale di Brigata Giorgio Maria Borrelli, l’Avv. Federica Faiella, Presidente della Fondazione CAVE CANEM, Mirko Zuccari educatore cinofilo specializzato nel recupero di cani vittime di gravi maltrattamenti; modererà l’evento la Dott.sa Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International/Europe.

L’iniziativa ha l’obiettivo di trasmettere conoscenze e informazioni utili a diversi livelli, con particolare attenzione alle condizioni incompatibili di benessere dei cani, vittime del fenomeno criminoso dei combattimenti clandestini. Dalla fotografia della normativa vigente, alle modalità di intervento della Magistratura e delle Forze di Polizia. Dall’ipotesi di reato alla confisca degli animali tratti in salvo. Dall’operato di coloro i quali sono impegnati costantemente nei canili rifugio per garantire il recupero psico-fisico delle vittime al ruolo del custode giudiziario. Fino ad analizzare il profilo psicologico-comportamentale del dog-fighter.

Il programma prevede l’intervento di autorità, rappresentanti delle Forze di Polizia e della Magistratura nonché esperti del settore:

• Dott.ssa Diana Russo, Sostituta Procuratore;
• Ten. Col. Marco Trapuzzano, Comandante del Nucleo Carabinieri CITES di Napoli;
• Avv. Federica Faiella, Presidente Fondazione CAVE CANEM;
• Avv. Maria Silvia D’Alessandro, consulente legislativo dalla XIV legislatura presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, specializzata in normativa sulla tutela degli animali;
• Avv. Alessandra Itro, specialista in normativa sulla tutela degli animali;
• Dott.ssa Carolina Salomoni, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO;
• Angela Maria Panzini, beneficiaria dell’incarico di studio e ricerca IO NON COMBATTO.

Tra i temi che verranno trattati e di estremo interesse nell’ambito della tutela giuridica degli animali, il deposito cauzionale, uno strumento che prevede il versamento di una somma per l’affido definitivo di animali sequestrati a enti o privati che ne garantiscano il benessere e il rispetto delle caratteristiche etologiche: in caso di assoluzione, la somma sarà corrisposta agli imputati; in caso di condanna, la stessa verrà versata nel Fondo Unico di Giustizia. Il deposito cauzionale emerge come una misura di maggior tutela per gli animali rispetto alla confisca, in quanto consente di svincolare l’animale dall’esito del procedimento penale, che può essere lungo e incerto. Tale strumento risulta facilmente utilizzabile laddove sia accertata la mancanza di legame affettivo tra gli animali sequestrati e le persone imputate, ad esempio nel caso di flagranza di reato di combattimento.

I combattimenti fra animali sono un fenomeno criminale sommerso, di portata nazionale e internazionale che coinvolge diverse specie animali, tra cui i cani, in particolare i molossi. Il coinvolgimento in queste attività causa loro gravi danni fisici e traumi psicologici. In Italia, il combattimento tra animali, è un reato punito dall’art. 544 quinquies del Codice penale. Si tratta di una pratica sanguinaria che mette cani l’uno contro l’altro, all’interno di ring o fosse, più o meno improvvisati, in alcuni casi previa somministrazione di sostanze dopanti, ai fini dell’intrattenimento di chi assiste, spesso associato al gioco d’azzardo e altre attività criminali.

Il convegno si svolgerà giovedì, 18 aprile 2024, dalle 9:30 alle 13:00, presso la Sala della Protomoteca, Piazza del Campidoglio 1, Roma. Per iscriversi, mandare una mail a info@iononcombatto.it.FINE

Contatti: Martina Pluda, mpluda@hsi.org; 3714120885

Basta ostruzionismo, HSI/Europe chiede al Parlamento e al Governo di approvare al più presto il divieto

Humane Society International / Europa


Britta Jaschinski

ROMA—Humane Society International/Europe (HSI/Europe) esprime profondo disappunto per la decisione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On. Maschio (Fratelli d’Italia), di dichiarare inammissibile  l’emendamento 14.01 durante la discussione sul disegno di legge dell’On. Brambilla (Noi Moderati) in materia di reati contro gli animali. Tale emendamento, a prima firma dell’On. Costa (Movimento 5 Stelle), mirava a introdurre in Italia il divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia di specie a rischio estinzione, adattando il testo dei disegni di legge già presentati la scorsa legislatura alla Camera a prima firma dell’ex Sottosegretario alla Giustizia On. Ferraresi (Movimento 5 Stelle) e nella presente legislatura dalla stessa On. Brambilla e, al Senato, dalla Sen.ce Bevilacqua (Movimento 5 Stelle).

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di HSI/Europe, dichiara: “Siamo profondamente rammaricati e delusi da questa decisione, contraria all’impegno bipartisan dell’On. Brambilla e della Sen.ce Bevilacqua, rispettivamente presidente e membro dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente. L’emendamento che si inseriva tra le norme riguardanti la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES) era assolutamente attinente e rappresentava un passo avanti fondamentale per contrastare la crudele e inutile pratica della caccia al trofeo e per tutelare la sopravvivenza di specie animali vulnerabili. Rinnoviamo l’invito al Presidente Maschio a visitare la mostra fotografica «Natura morta. In consegna.», allestita da HSI/Europe e attualmente in corso presso Palazzo Valdina, per comprendere la realtà straziante che si cela dietro a questi trofei. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte all’insensatezza di uccidere animali a rischio di estinzione per trasformarli in sgabelli, portapenne, apribottiglie e altri macabri oggetti”.

La mostra “Natura morta. In consegna.” organizzata da HSI, con il patrocinio dell’On. Michela Vittoria Brambilla e inaugurata lo scorso 12 marzo, presenta gli scatti della fotografa pluripremiata Britta Jaschinski, co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime™ e rimarrà aperta la pubblico presso Palazzo Valdina, sede della Camera dei Deputati, fino al prossimo giovedì 21 marzo. Attraverso immagini forti e suggestive, l’esposizione denuncia la brutalità della caccia al trofeo e l’impatto devastante che essa ha su animali, ambiente e comunità locali, con l’obiettivo di accelerare l’adozione di un divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia ottenuti da specie protette a livello internazionale

Vista l’ennesima occasione persa, HSI/Europe sollecita il Parlamento italiano e, in particolare, i due Presidenti delle Commissioni Giustizia (l’On. Maschio alla Camera e la Sen.ce Bongiorno al Senato), a calendarizzare la discussione dei due disegni di legge presentati sul tema e il Governo italiano ad agire con urgenza per vietare l’importazione di trofei di caccia, allineandosi con la posizione di numerosi altri Paesi europei, tra cui il Belgio, che hanno già adottato misure in tal senso, oltre a sostenere con forza la necessità di un divieto di importazione a livello europeo.

“È inaccettabile che l’Italia continui a permettere l’ingresso nel proprio territorio di resti di animali selvatici uccisi per puro divertimento”, aggiunge Martina Pluda. “Le proposte di legge per il divieto di importazione, depositate sia alla Camera che al Senato, attendono di essere discusse. Ci auguriamo che questa mostra possa servire da sprone per accelerare l’iter legislativo e finalmente mettere un freno a questa barbarie.”

La mostra “Natura morta. In consegna. – Il macabro business della caccia al trofeo negli scatti di Britta Jaschinski”, è aperta al pubblico dal 12 al 21 marzo 2024 presso la Camera dei Deputati – Palazzo Valdina, Piazza in Campo Marzio 42, Roma, ad accesso libero.

Foto della mostra e dell’inaugurazione.

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Contatto stampa: Eva-Maria Heinen, Communications & PR Manager Italia/Germania: emheinen@hsi.org; 3338608589

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